la presenza giudaica
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Passeggiando con la storia

La presenza giudaica a Gravina

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

Venti di guerra stanno spirando, nuovamente, tra palestinesi ed israeliani. Una guerra infinita per la propria sopravvivenza e per la conquista di nuovi territori. In quelle terre martoriate dal sangue, a volte e spesso innocente, non c'è da evocare una pace con le bandiere del pacifismo. Ci vogliono le bandiere delle coscienze umane per mettere fine a veri e propri crimini di guerra. In quest'ottica di speranza e anche alla luce di dibattiti sempre aperti e con discussioni sulla presenza ebraica a Gravina, ho voluto dedicare la odierna puntata a questo argomento. In verità testimonianze architettoniche o di cimeli certi che possano datare il giusto periodo o la giusta allocazione, purtroppo mancano, e, quindi sembra che il tutto venga o sia stato fondato e costruito solo su e per ipotesi. Al contrario, però, cercando, ricercando, studiando ed approfondendo qualcosa di solido è emerso, tanto che ci sono fonti documentarie, magari scarne, non esaustive, che confermerebbero una presenza giudaica nella nostra città. Dal sito Italia Judaica ho tratto le notizie di seguito riportate.

"Gravina, sita nella Murgia Alta, sull'Appia Antica, era già sede vescovile nel IX secolo e fu contesa da Bizantini e Longobardi. Passata ai Normanni verso il 1040, divenne capoluogo di contea. La più antica testimonianza sulla presenza ebraica a Gravina è costituita da un'iscrizione sinagogale conservata in apografo. Essa, datata 4945 A.M. (1184-85 dell'era volgare), ricorda la pavimentazione della sinagoga e del cortile con un lastricato di pietre e la costruzione di panchine lungo i muri. Le opere furono fatte eseguire da Baruch b. Mosè in memoria del figlio Mosè, deceduto all'età di diciotto anni.

La presenza ebraica in età normanna è documentata da un'iscrizione del 1185, che commemora i lavori eseguiti in quell'anno per la sinagoga locale. L'epigrafe, giuntaci in copia su supporto car­taceo, riporta un frammento di vita quotidiana, l'amarezza di un padre per la perdita di un figlio e il rifugio del genitore nella preghiera: «Questa iscrizione abbiamo inciso per Baruch figlio di Mosè, il quale ha pavimentato la sinagoga e il cortile con un lastricato di pietre e costruito sedili all'intorno in memoria del figlio suo Mosè, morto all'età di diciotto anni, perché sia ricordato nel sabato e nel giorno festivo. Fu compiuta la pavimentazione nell'anno 4945. Sia la sua anima custodita [nella custodia della vita] Amen». Passato il Regno sotto il dominio degli Angioini, i cittadini provocarono nel 1284 un intervento della corte contro i giustizieri di Terra di Bari, che erano stati accusati di favorire i giudei nelle cause con i cristiani, al punto da non accettare le prove addotte da questi ultimi. Il comportamento fu giudicato oltraggioso per la religione cristiana e per il re, il quale riteneva suo dovere «reprimere la protervia dei reprobi e largheggiare in favori con i fedeli».

In futuro, quindi, dovevano essere ammesse le accuse e le testimonianze portate contro i giudei, senza tenere conto di alcun privilegio allegato da essi in proprio favore. Il proselitismo angioino riuscì a fiaccare la resistenza degli israeliti e a sfaldare le comunità: nel 1294 a Gravina sei giudei passarono al cattolicesimo, ricevendo in premio l'esenzione dalle tasse. Essi erano: Benedetto (già Madio de Silano), suo figlio Angelo (già Gaudio), suo genero Grimaldogià (già Tobia), Francesco (già Gaudio), Martino (già Shemariah) e Giovanni (già Salomone). Gli ebrei ricomparvero in città sotto gli Aragonesi. Con la popolazione locale i rapporti furono per parecchi anni assai buoni, come prova la missione che nel 1463 le autorità locali affidarono a mastro Astruc Marsilio, ricco mercante e uomo di fiducia di Ferrante I, di perorare presso il re la remissione della pena in cui la città era incorsa per non aver comunicato la quantità di sale che conservava nei depositi. La missione riuscì e mastro Astruc si trasferì a Gravina con tutti i familiari. Alla sua morte, però, la vedova Stella dovette faticare per salvare i propri beni dalle mire del feudatario, al quale la Camera della Sommaria ricordò che era volontà del re che ai giudei non fosse fatta alcuna violenza o ingiuria.

Protetta dal sovrano, Stella poté riparare a Trani, ma qui incappò nell'esosità fiscale dei correligionari e ancora una volta la Sommaria venne in suo aiuto, ordinando che fosse eseguito un apprezzo giusto ed equo della sua consistenza economica.Nel periodo aragonese abitavano, o erano attivi come prestatori, a Gravina Mometto di mastro Bonifacio e i giudei leccesi Criscio e Vitale Mayr. I rapporti tra quest'ultimo con Mometto di mastro Bonifacio erano assai stretti, avendo un fratello di Vitale, di nome Leone, sposato a Bitonto nel 1465, Fina, sorella di Mometto. Con l'invasione del Regno da parte di Carlo VIII di Francia (1495), anche qui ci furono disordini. La vittima più illustre fu proprio Mometto di mastro Bonifacio, nipote di messer David Calonimos, medico personale del re. La sua abitazione fu assalita e svuotata di quanto c'era di valore: quattro carra di grano, sei casse d'indumenti e biancheria, denaro, argenti. Tornati gli Aragonesi, egli chiese la restituzione delle sue robe, ma gli fu risposto che esse non esistevano più perché le autorità, per evitare che la popolazione venisse al sangue per spartirsele, le avevano donate alla cattedrale per la riparazione dei danni provocati nel 1456 da un terremoto. La controversia non era ancora arrivata a soluzione nel 1497 e Mometto pensò di aggirarla e di rifarsi del torto subito, chiedendo e ottenendo il soddisfacimento dei debiti che i gravinesi avevano contratto con lui.

Con la caduta del Regno sotto il dominio spagnolo, i pochi giudei che abitavano a Gravina lasciarono la città e si trasferirono in località più accoglienti, tra cui Trani. Da noi restarono però gli ex-giudei, ossia i cristiani novelli, qualcuno discendente dai convertiti del 1294, altri immigrati da località vicine. Con l'espulsione generale decretata nel 1510 da Ferdinando il Cattolico, nuovo sovrano del Regno, anche i neofiti furono costretti a esulare. Essi rispondevano ai nomi di mastro Raimondo de Molillo, mastro Marco d'Acquaviva con il figlio Terenzio, mastro Loise d'Acquaviva e Manna de Vitale. Le necessità della popolazione costrinsero gli spagnoli ad attenuare temporaneamente il proprio rigore, ed ebrei e neofiti furono di nuovo attivi nel Regno. Nel 1523 troviamo così a G. i neofiti mastro Addario e mastro Galiotto, che era probabilmente conciapelli. Esercitava lo stesso mestiere, o almeno era ad esso collegato, il giudeo di nome Marco che il 7 aprile 1524 acquistò dal capitolo della Cattedrale un grosso quantitativo di pelli d'agnello. Poiché tra i neofiti che nel 1511 si allontanarono da Gravina. c'era un mastro Marco d'Acquaviva, è possibile che si tratti dello stesso, che era rimpatriato e, nonostante il battesimo, era ritenuto ancora giudeo, come attestano altri casi".
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  • Giuseppe Massari
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