Centro servizi: il comune rilascia il collaudo
Ma non fa chiarezza su tante questioni
lunedì 7 novembre 2011
9.42
Da tre settimane l'amministrazione Divella è stata mandata a casa e in attesa che inizi la campagna elettorale, dove ne siamo certi ne sentiremo di tutti i colori, in città si tirano le somme tra ciò che l'amministrazione Divella ci ha regalato e quello che l'onorevole Giovanni avrebbe potuto risparmiarci. E giusto perché a volte "tornare e sempre meglio che partire" facciamo un passo indietro a torniamo a parlare del Centro Servizi.
Con determina dirigenziale del 30 agosto, l'amministrazione comunale ha concesso il collaudo definitivo del Centro servizi. Il documento, che porta la firma di Felice Paolucci, nonostante una delibera di giunta a luglio lo ha trasferito alla direzione del Piano Stategico, suscita alcuni interrogativi. La struttura edificata in zona pip, presentata dalle passate amministrazioni come la soluzione ai problemi della zona artigianale, rischia di diventare un altro bubbone pronto a scoppiare nelle mani del Commissario prefettizio. Infatti, studiando un po' di date si capisce subito che il collaudo amministrativo arriva praticamente alla scadenza dei due anni previsti per legge dal rilascio del primo collaudo provvisorio, predisposto il 22 giugno 2009. Un documento che sostanzialmente non risolve nessuna delle questioni aperte in questi anni.
Per capire meglio la vicenda, riavvolgiamo il nastro e partiamo dall'inizio.
L'idea di costruire un Centro servizi a Gravina è nata nel 2002 con l'approvazione del progetto presentato dalla Edil Costruzioni e candidato a finanziamento regionale per un importo complessivo di €.5.164.568,69: 2 milioni di finanziamenti regionali e 2,5 mln di parte privata a cui si aggiungono poco più di 300 mila euro di finanziamento comunale. In più l'amministrazione si impegna, in cambio di alcuni locali da destinare ad uffici pubblici (quello che in seguito è diventato un cilindro vuoto e intaccato dall'umidità), a cedere in diritto di superfici all'Ati realizzatrice dell'opera, le aree su cui realizzare alcune strutture dove allocare attività private. Nel 2006, però, la progettazione del Centro servizi è affidata all'Ati RU.CA. Srl di Nicola Canonico in collaborazione con l'impresa Rana. I lavori iniziati nel 2006 vengono consegnati ad ottobre 2008. Sin qui tutto bene o quasi, visto che sei mesi dopo (giugno 2009) la commissione collaudatrice ha rilasciato il verbale e il certificato di collaudo da cui si evincono alcune irregolarità. Infatti secondo la stessa commissione, i lavori in esame "risultano essere stati eseguiti secondo il progetto e la perizia suppletiva di variante approvata, salvo quanto rappresentato in merito alla categoria Scavi e rinterri" dove "i lavori sono stati verosimilmente realizzati perché non esistono elementi che possano confermare l'effettiva realizzazione".
L'impresa per conto suo, ha accettato il primo documento di collaudo con riserva, presentando pochi giorni dopo un documento con il quale respinge l'intero atto. Innanzitutto viene contestato l'operato della Commissione stessa dal momento che i lavori in oggetto erano da considerarsi, come stabilito dalla direzione lavori nel 2007, effettuati «a corpo» e non «a misura», pertanto, i tecnici avrebbero dovuto solo verificare l'esatta rispondenza delle opere realizzate con il progetto di riferimento e non valutare, per eccesso di zelo anche un ammanco nei materiale pari a 300 mila euro. Inoltre, l'impresa RuCa mette nero su bianco che non solo non è disposta a rimborsare alcunché, ma si dice creditrice di 1 mln di euro nei confronti dell'amministrazione a causa delle inadempienze di quest'ultima che non ha provveduto nei tempi stabiliti a completare la cessione delle aree, impedendo di fatto all'impresa di accedere ai finanziamenti bancari e di completare le pratiche di compravendita dei locali destinati alle attività private. Una svista che alla collettività gravinese dovrebbe costare in totale 1,5 milioni di euro. Tutte accuse a cui l'amministrazione comunale risponde respingendole totalmente e chiedendo un risarcimento di oltre 135 mila euro per i lavori non effettuati. In definitiva e nonostante i procedimenti giudiziari messi in moto da un ex dipendente dell'Ati che ha denunciato diverse "imprecisioni" nella realizzazione delle opere, l'amministrazione ha rilasciato l'atto definito di collaudo certificando che 'le condizioni delle opere eseguite si presentano in normale stato di conservazione' e che i lavori corrispondono a quanto richiesto dall'amministrazione appaltante.
Se così stanno le cose: come mai l'amministrazione ha aspettato due anni prima di rilasciare un documento con il quale sostanzialmente dice che va tutto bene salvo poi chiedere un rimborso economico? E soprattutto: come mai a giugno di quest'anno, dall'ufficio tecnico è partita una nota ufficiale che denuncia all'impresa ' vizi di forma'. Una nota a cui è seguito un incontro informale a luglio durante il quale i tecnici comunali e gli ingegneri di Canonico si sono dati appuntamento ad agosto per cercare una soluzione condivisa da entrambe le parti. Ad agosto sotto il sol leone, però, c'era solo un infastidito ingegnere barese che se ne è tornato a casa senza nemmeno ricevere pubbliche scuse dagli impiegati in vacanza. Il 30 agosto, infine, è stato stilato un documento che non chiarisce nessun dubbio compresa la questione dell'ordine di servizio n.4 con cui la Direzione Lavori ha autorizzato delle pitturazioni speciali senza il definitivo consenso dell'amministrazione, richiesto per legge dal codice degli appalti. Pena? : il rimborso delle spese da parte della stessa direzione. Con l'atto definitivo di collaudo, invece, emerge chiara la volontà di rimandare l'intera questione al giudizio di un giudice visto che a margine della determina si legge ' trasmettere copia del presente provvedimento al Servizio Legale del Comune di Gravina in Puglia per l'avvio della procedura per il recupero delle somme dovute dall'impresa concessionaria'. A questo punto qualcuno dovrà dare risposta d una semplice domanda: Se davvero sussistono vizi di forma, perché l'amministrazione non ha chiesto un nuovo collaudo così come previsto dal codice degli appalti?
Restiamo in attesa di risposte.
Con determina dirigenziale del 30 agosto, l'amministrazione comunale ha concesso il collaudo definitivo del Centro servizi. Il documento, che porta la firma di Felice Paolucci, nonostante una delibera di giunta a luglio lo ha trasferito alla direzione del Piano Stategico, suscita alcuni interrogativi. La struttura edificata in zona pip, presentata dalle passate amministrazioni come la soluzione ai problemi della zona artigianale, rischia di diventare un altro bubbone pronto a scoppiare nelle mani del Commissario prefettizio. Infatti, studiando un po' di date si capisce subito che il collaudo amministrativo arriva praticamente alla scadenza dei due anni previsti per legge dal rilascio del primo collaudo provvisorio, predisposto il 22 giugno 2009. Un documento che sostanzialmente non risolve nessuna delle questioni aperte in questi anni.
Per capire meglio la vicenda, riavvolgiamo il nastro e partiamo dall'inizio.
L'idea di costruire un Centro servizi a Gravina è nata nel 2002 con l'approvazione del progetto presentato dalla Edil Costruzioni e candidato a finanziamento regionale per un importo complessivo di €.5.164.568,69: 2 milioni di finanziamenti regionali e 2,5 mln di parte privata a cui si aggiungono poco più di 300 mila euro di finanziamento comunale. In più l'amministrazione si impegna, in cambio di alcuni locali da destinare ad uffici pubblici (quello che in seguito è diventato un cilindro vuoto e intaccato dall'umidità), a cedere in diritto di superfici all'Ati realizzatrice dell'opera, le aree su cui realizzare alcune strutture dove allocare attività private. Nel 2006, però, la progettazione del Centro servizi è affidata all'Ati RU.CA. Srl di Nicola Canonico in collaborazione con l'impresa Rana. I lavori iniziati nel 2006 vengono consegnati ad ottobre 2008. Sin qui tutto bene o quasi, visto che sei mesi dopo (giugno 2009) la commissione collaudatrice ha rilasciato il verbale e il certificato di collaudo da cui si evincono alcune irregolarità. Infatti secondo la stessa commissione, i lavori in esame "risultano essere stati eseguiti secondo il progetto e la perizia suppletiva di variante approvata, salvo quanto rappresentato in merito alla categoria Scavi e rinterri" dove "i lavori sono stati verosimilmente realizzati perché non esistono elementi che possano confermare l'effettiva realizzazione".
L'impresa per conto suo, ha accettato il primo documento di collaudo con riserva, presentando pochi giorni dopo un documento con il quale respinge l'intero atto. Innanzitutto viene contestato l'operato della Commissione stessa dal momento che i lavori in oggetto erano da considerarsi, come stabilito dalla direzione lavori nel 2007, effettuati «a corpo» e non «a misura», pertanto, i tecnici avrebbero dovuto solo verificare l'esatta rispondenza delle opere realizzate con il progetto di riferimento e non valutare, per eccesso di zelo anche un ammanco nei materiale pari a 300 mila euro. Inoltre, l'impresa RuCa mette nero su bianco che non solo non è disposta a rimborsare alcunché, ma si dice creditrice di 1 mln di euro nei confronti dell'amministrazione a causa delle inadempienze di quest'ultima che non ha provveduto nei tempi stabiliti a completare la cessione delle aree, impedendo di fatto all'impresa di accedere ai finanziamenti bancari e di completare le pratiche di compravendita dei locali destinati alle attività private. Una svista che alla collettività gravinese dovrebbe costare in totale 1,5 milioni di euro. Tutte accuse a cui l'amministrazione comunale risponde respingendole totalmente e chiedendo un risarcimento di oltre 135 mila euro per i lavori non effettuati. In definitiva e nonostante i procedimenti giudiziari messi in moto da un ex dipendente dell'Ati che ha denunciato diverse "imprecisioni" nella realizzazione delle opere, l'amministrazione ha rilasciato l'atto definito di collaudo certificando che 'le condizioni delle opere eseguite si presentano in normale stato di conservazione' e che i lavori corrispondono a quanto richiesto dall'amministrazione appaltante.
Se così stanno le cose: come mai l'amministrazione ha aspettato due anni prima di rilasciare un documento con il quale sostanzialmente dice che va tutto bene salvo poi chiedere un rimborso economico? E soprattutto: come mai a giugno di quest'anno, dall'ufficio tecnico è partita una nota ufficiale che denuncia all'impresa ' vizi di forma'. Una nota a cui è seguito un incontro informale a luglio durante il quale i tecnici comunali e gli ingegneri di Canonico si sono dati appuntamento ad agosto per cercare una soluzione condivisa da entrambe le parti. Ad agosto sotto il sol leone, però, c'era solo un infastidito ingegnere barese che se ne è tornato a casa senza nemmeno ricevere pubbliche scuse dagli impiegati in vacanza. Il 30 agosto, infine, è stato stilato un documento che non chiarisce nessun dubbio compresa la questione dell'ordine di servizio n.4 con cui la Direzione Lavori ha autorizzato delle pitturazioni speciali senza il definitivo consenso dell'amministrazione, richiesto per legge dal codice degli appalti. Pena? : il rimborso delle spese da parte della stessa direzione. Con l'atto definitivo di collaudo, invece, emerge chiara la volontà di rimandare l'intera questione al giudizio di un giudice visto che a margine della determina si legge ' trasmettere copia del presente provvedimento al Servizio Legale del Comune di Gravina in Puglia per l'avvio della procedura per il recupero delle somme dovute dall'impresa concessionaria'. A questo punto qualcuno dovrà dare risposta d una semplice domanda: Se davvero sussistono vizi di forma, perché l'amministrazione non ha chiesto un nuovo collaudo così come previsto dal codice degli appalti?
Restiamo in attesa di risposte.