Grano all’ocratossina: assolti Casillo e Dimaggio

Per il Tribunale non sarebbe provata la radioattività. Nessun risarcimento per le comunità dell'Alta Murgia

giovedì 5 luglio 2012 11.40
Innocenti, e perciò assolti.

Si è concluso con l'assoluzione piena, dinanzi al Tribunale di Trani, il processo a carico di Francesco Casillo, l'imprenditore coratino imputato del reato colposo di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari. Con lui alla sbarra era finito anche il gravinese Alessio Dimaggio, direttore tecnico dell'Azienda Speciale Samer, partner della Camera di Commercio di Bari, che il 24 novembre 2009 era stato rinviato a giudizio per le ipotesi di favoreggiamento, falso ideologico e falso materiale.

I fatti contestati risalgono al 2005, quando nel porto di Bari attraccò la nave "Loch Alyn", con un carico di 26 tonnellate di grano destinato in gran parte al molino Casillo. L'allarme scattò dopo il ritrovamento di alcuni volatili morti proprio nei pressi dell'imbarcazione. Dopo il sequestro del mercantile e l'avvio delle indagini, che rilevarono la presenza di muffe nella stiva, nel 2009 l'imprenditore coratino fu rinviato a giudizio nonostante la richiesta di patteggiamento presentata dalla difesa e che fu rigettata dal giudice Maria Teresa Giancaspro, che ritenne inadeguata ed incongrua la pena proposta per il patteggiamento: 3.040 euro di multa. A due anni dall'inizio del processo, lo scorso febbraio il pm Savasta richiese la condanna a 4 anni di reclusione per Casillo e l'assoluzione dal reato di favoreggiamento per Di Maggio, chiedendo invece che lo stesso fosse condannato al minimo della pena per il falso.

Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 90 giorni, ma sembra potersi ipotizzare che il giudice abbia accolto le richieste dei difensori degli imputati, concedendo l'assoluzione per insufficienza di prove: secondo la difesa di Casillo, in particolare, le analisi condotte dagli investigatori, concordate con la stessa difesa, non avrebbero dimostrato l'effettiva tossicità del grano che dopo il dissequestro finì regolarmente nella catena alimentare, impedendo di fatto il proseguimento delle indagini.

Lo scorso anno, dopo il clamore mediatico provocato dalla vicenda, le associazioni dei consumatori e soprattutto le comunità di Spinazzola e Gravina si costituirono parte civile chiedendo il risarcimento danni per le comunità a cui verosimilmente il grano contaminato era destinato. Non avranno un centesimo: per il Tribunale, quel grano non era radioattivo. O comunque, mancano le prove che lo fosse. Pertanto, non v'è nulla da risarcire.