Gravina nel patrimonio Unesco
Sei anni dopo, è giallo sulla procedura avviata dall’ex sindaco Vendola. Il Ministero: "Nessuna risposta alle sollecitazioni nostre e dell’Unesco"
Gravina patrimonio mondiale Unesco come Matera città dei sassi. Per assicurare protezione all'habitat rupestre, messo in pericolo dai continui assalti dei palazzinari, ma pure per agganciarsi a nuovi circuiti di sviluppo e crescita economica e sociale.
Ci aveva provato, l'ex sindaco Rino Vendola, a far entrare la cittadina pugliese da lui all'epoca amministrata nel novero dei siti protetti dall'Unesco. E per riuscirci, aveva chiesto ed ottenuto anche la spinta ed il sostegno della città materana.
Era il 2005: sei anni dopo, di quel sogno forse troppo ambizioso non resta neppure traccia. Eppure, gli archivi e i cassetti, della memoria come degli enti interessati, sono pieni di ricordi e di documenti. Ai quali, in tutti questi anni, si è deciso di riservare, quasi con accanimento terapeutico, la cura del silenzio.
A squarciare il muro di gomma, le carte. Raccontano una storia che ha inizio il 19 dicembre del 2005, quando i consigli comunali di Gravina e Matera, in seduta congiunta, decidono con voto unanime, si legge nel corpo della deliberazione, "di condividere l'aspirazione della città di Gravina in Puglia ad essere riconosciuta sito Unesco e di promuovere iniziative adeguate presso la Commissione internazionale". Per dare forza all'iniziativa, l'allora primo cittadino gravinese Vendola chiama a raccolta archeologi, architetti, storici ed esperti, si legge ancora nell'atto, "di fama internazionale".
Semplice l'idea: poiché Matera e Gravina hanno molto in comune quanto a storia e tradizioni, e poiché la prima già reca il marchio Unesco, allora viene quasi spontaneo chiedere l'estensione dei confini del sito materano fino a ricomprendere in essi anche la città di Benedetto XIII. Per molti un'intuizione felice. Per altri, più semplicemente, una furbata pensata per eludere gli stretti vincoli fissati per il riconoscimento della tutela Unesco. E poiché tutti i nodi arrivano al pettine, ecco che il tempo galantuomo fa fiorire sulla rosa gravinese le prime spine. Passa infatti poco meno di un anno: il 20 novembre del 2006 la richiesta di ingresso nella famiglia Unesco, che per essere approvata abbisogna di giungere felicemente alla fine di un lungo e complesso iter nel quale l'appoggio del Governo nazionale costituisce lasciapassare indispensabile, viene presentata al dipartimento per la ricerca e l'innovazione del Ministero dei beni culturali. Ed il dipartimento, a stretto giro di posta, il successivo dicembre fa sapere che la proposta potrebbe non avere vita facile, avendo l'Unesco caldamente esortato i Paesi di tutto il mondo a non avanzare candidature che si presentino come estensione di siti già esistenti. Però, la porta della speranza, almeno quella, viene lasciata aperta. Ed il Ministero invita il Municipio gravinese a far pervenire "all'Ufficio lista del Patrimonio mondiale Unesco una sintetica documentazione su Gravina di Puglia, nella quale, in particolare, evidenziare le caratteristiche di eccezionalità della città, lo stato di conservazione della stessa, nonché gli strumenti di tutela vigenti e le modalità attuali di gestione". Il Comune risponde, ma in maniera ritenuta lacunosa.
Ad ogni buon conto, il Ministero concede un'altra chance, e programma un sopralluogo per integrare il dossier giudicato incompleto. S'arriva così al primo marzo 2007. È, probabilmente, l'inizio della fine: dalla visita in città i tecnici e gli esperti dei Beni culturali ricavano sensazioni ed elementi sconfortanti. E scrivono, nero su bianco: "Desta preoccupazione lo stato di conservazione del centro storico che in alcune parti è abbandonato, pericolante e transennato, né risultano programmate iniziative per porre rimedio a tale condizione di degrado. Appare chiaro che una situazione del genere mal si concilia con la richiesta di iscrizione nella Lista; si rende quindi necessario che l'Amministrazione comunale si attivi per avviare un programma di riqualificazione del centro storico, ponendosi questa azione come condizione indispensabile per presentare la candidatura. Contemporaneamente, è stato richiesto di approfondire l'aspetto scientifico della candidatura, tenuto conto che la documentazione trasmessa non sembra coerente con i requisiti imposti dall'Unesco. Inoltre, tenendo presente gli orientamenti emersi per le nuove candidature in sede Unesco, è stato suggerito di verificare la possibilità di presentare una candidatura più articolata, comprendendo anche ulteriori testimonianze di insediamenti rupestri e di paesaggio culturale nel territorio compreso tra Gravina e Matera".
Nient'altro, probabilmente, che una foto esatta delle manchevolezze caratterizzanti l'istanza e dello stato, a tratti comatoso, d'un borgo alla faticosa ricerca della propria identità. Ma è quanto basta, ed avanza, per chiudere il discorso. Perché, a parte un'interrogazione parlamentare a firma del dipietrista Pierfelice Zazzera, risalente al settembre del 2008, più nulla accade. O meglio: quel che accade rimane senza risposte. Perché, a quanto pare, proprio nel settembre di tre anni addietro l'Ufficio Unesco invita per iscritto il Comune ad inviare la documentazione necessaria ad una valutazione della richiesta inoltrata.
Se a quella nota si dia seguito riesce difficile dire: nel carteggio col Ministero non ve ne è neppure menzione. Così, in cronaca resta spazio solo per le parole d'uno dei gravinesi più noti al mondo, l'ex ambasciatore (e vicepresidente di Finmeccanica, oltre che consigliere diplomatico della Presidenza del Consiglio dei Ministri e mille altre cose ancora) Giovanni Castellaneta. Che a domanda risponde: "Gravina nel patrimonio Unesco? Dato che l'Unesco deve occuparsi istituzionalmente di educazione, scienza e cultura, a me sembrerebbe del tutto naturale se si interessasse alle nostre gravine".
A seguire, una considerazione: "Siamo noi che dobbiamo valorizzare ciò che la natura e i nostri antenati hanno costruito e ci hanno tramandato: innanzitutto conservando gelosamente quanto di bello e di utile già esiste. E poi dandoci da fare perché anche le zone più abbandonate del nostro territorio vengano gestite in maniera lungimirante, per poter consegnare ai nostri discendenti un patrimonio ancora migliore di quello che abbiamo ricevuto in eredità. Se sapremo comportarci responsabilmente, anche l'Unesco non potrà non riconoscere, sempre meglio e sempre di più, il valore del nostro patrimonio culturale".
Ad occhio e croce, l'immagine a rovescio di una città che, col passare del tempo, fa registrare sempre più crolli, sempre più costruzioni abusive, sempre più strade e piazze chiuse perché inagibili nel proprio centro storico. E che pare aver scelto da sé di rinunciare senza colpo ferire ad una delle sue tante aspirazioni: essere un sito Unesco. Già, ma perché? E soprattutto, chi e quando ha deciso che così debba essere?