La Procura riapre le indagini sul caso di Ciccio e Tore
Accolto l'esposto presentato dalla madre dei due fanciulli. Al vaglio degli inquirenti la posizione di cinque giovani
martedì 21 febbraio 2012
18.30
Chi c'era con Ciccio e Tore quella sera? Perchè ha taciuto su quanto accaduto nella casa delle cento stanze? Se chi sapeva avesse parlato, avrebbe potuto sottrarli alla morte?
Interrogativi da sempre senza risposte. Quelle che ora potrebbero giungere dalle indagini che la Procura di Bari, su impulso del procuratore aggiunto Annamaria Tosto, ha deciso di riaprire.
Al centro della scena, e dell'inchiesta, l'orrenda fine di Salvatore e Francesco Pappalardi, i due fratelli di 11 e 13 anni morti il 5 giugno del 2006, dopo essere caduti nel pozzo di un palazzo abbandonato che li custodì nel suo ventre per venti mesi, fino al 25 febbraio del 2008, quando le operazioni di soccorso attivate per riportare in superficie un altro ragazzino scivolato nella stessa cisterna portarono al loro ritrovamento dei corpi. Nel frattempo cercati dappertutto con la convinzione che a farli sparire per sempre fosse stato il padre, Filippo, per quasi due anni erroneamente ritenuto dagli inquirenti l'esecutore materiale di un delitto, ipotizzarono a lungo gli inquirenti, maturato tra le mura domestiche.
Invece così non era. Tutto falso. E falsa sarebbe pure la circostanza secondo la quale Ciccio e Tore, quel giorno di giugno del 2006, fossero soli nella casa delle cento stanze, un maestoso edificio diruto e disabitato, nel cuore di Gravina. Di questo, almeno, è convinta la madre dei due fratellini, Rosa Carlucci, che col suo esposto è riuscita a convincere la Procura ordinaria e quella dei minorenni, che hanno decretato così la riapertura dell'inchiesta.
In particolare, secondo la donna, i suoi figli caddero nella cisterna mentre partecipavano, assieme ad altri cinque adolescenti di qualche anno più grandi, ad un gioco, ad una sorta di prova di coraggio. Il quintetto, per Rosa Carlucci, avrebbe assistito alla caduta di Ciccio e Tore, ma anzichè correre a dare l'allarme, avrebbe preferito la fuga, tacendo sull'accaduto ed impedendo, col proprio silenzio, che i soccorritori potessero intervenire tempestivamente e, forse, salvare Ciccio e Tore. I due, infatti, non morirono subito: i loro cadaveri vennero ritrovati lontani dall'imboccatura del pozzo, in posizione fetale, distanti l'uno dall'altro circa sei metri. Ed uno dei due non aveva ai piedi le scarpe, deposte ordinatamente poco più in là, presumibilmente a seguito del vano tentativo di risalire la parete umida.
Insomma, quanto basta per indurre a credere ad una morte giunta lentamente, tra disperate grida d'aiuto rimaste senza ascolto. Se davvero le cose siano andate così, lo chiariranno adesso gli accertamenti disposti, specie quelli affidati alla Procura dei minorenni, chiamata a valutare le eventuali responsabilità dei cinque presunti testimoni dell'accaduto, tutti oggi maggiorenni.
Interrogativi da sempre senza risposte. Quelle che ora potrebbero giungere dalle indagini che la Procura di Bari, su impulso del procuratore aggiunto Annamaria Tosto, ha deciso di riaprire.
Al centro della scena, e dell'inchiesta, l'orrenda fine di Salvatore e Francesco Pappalardi, i due fratelli di 11 e 13 anni morti il 5 giugno del 2006, dopo essere caduti nel pozzo di un palazzo abbandonato che li custodì nel suo ventre per venti mesi, fino al 25 febbraio del 2008, quando le operazioni di soccorso attivate per riportare in superficie un altro ragazzino scivolato nella stessa cisterna portarono al loro ritrovamento dei corpi. Nel frattempo cercati dappertutto con la convinzione che a farli sparire per sempre fosse stato il padre, Filippo, per quasi due anni erroneamente ritenuto dagli inquirenti l'esecutore materiale di un delitto, ipotizzarono a lungo gli inquirenti, maturato tra le mura domestiche.
Invece così non era. Tutto falso. E falsa sarebbe pure la circostanza secondo la quale Ciccio e Tore, quel giorno di giugno del 2006, fossero soli nella casa delle cento stanze, un maestoso edificio diruto e disabitato, nel cuore di Gravina. Di questo, almeno, è convinta la madre dei due fratellini, Rosa Carlucci, che col suo esposto è riuscita a convincere la Procura ordinaria e quella dei minorenni, che hanno decretato così la riapertura dell'inchiesta.
In particolare, secondo la donna, i suoi figli caddero nella cisterna mentre partecipavano, assieme ad altri cinque adolescenti di qualche anno più grandi, ad un gioco, ad una sorta di prova di coraggio. Il quintetto, per Rosa Carlucci, avrebbe assistito alla caduta di Ciccio e Tore, ma anzichè correre a dare l'allarme, avrebbe preferito la fuga, tacendo sull'accaduto ed impedendo, col proprio silenzio, che i soccorritori potessero intervenire tempestivamente e, forse, salvare Ciccio e Tore. I due, infatti, non morirono subito: i loro cadaveri vennero ritrovati lontani dall'imboccatura del pozzo, in posizione fetale, distanti l'uno dall'altro circa sei metri. Ed uno dei due non aveva ai piedi le scarpe, deposte ordinatamente poco più in là, presumibilmente a seguito del vano tentativo di risalire la parete umida.
Insomma, quanto basta per indurre a credere ad una morte giunta lentamente, tra disperate grida d'aiuto rimaste senza ascolto. Se davvero le cose siano andate così, lo chiariranno adesso gli accertamenti disposti, specie quelli affidati alla Procura dei minorenni, chiamata a valutare le eventuali responsabilità dei cinque presunti testimoni dell'accaduto, tutti oggi maggiorenni.