Omicidio Turturo, custodia cautelare in carcere per Giuseppe Lacarpia
L’uomo è ancora in ospedale. Si attende l’interrogatorio di garanzia
giovedì 10 ottobre 2024
12.22
Non c'è la conferma del fermo, ma per Giuseppe Lacarpia è stata applicata la misura cautelare di custodia in carcere. Il 65enne gravinese è accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione di sua moglie Maria Arcangela Turturo. In buona sostanza il giudice non ha convalidato il fermo disposto dalla Procura perché ha ritenuto che non ci sia il pericolo di fuga, ma ha deciso per la custodia cautelare in carcere, considerando attendibili e gravi gli indizi di colpevolezza nei confronti dell'uomo. Sulla vicenda emergono nuovi particolari.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, l'uomo nella notte tra sabato 6 e domenica 7 ottobre, all'incirca verso l'una e mezza, sulla strada vicinale dei Pigli, nelle campagne dell'abitato di Gravina, avrebbe dato alle fiamme la fiat Panda di famiglia con a bordo la moglie, la quale, nonostante le ustioni, sarebbe riuscita a uscire dall'auto. Raggiunta dal marito, la donna sarebbe stata immobilizzata a terra, con Lacarpia che si sarebbe messo a cavalcioni su di lei, con il peso del suo corpo: ginocchia sull'addome e braccia che, facendo pressione sul torace, avrebbe provocato fratture alle costole, allo sterno e una compressione del cuore, con il conseguente arresto cardiaco. La donna, prima di morire avrebbe fatto il nome del suo assassino, sia agli agenti della Polizia di Stato che ad alcuni testimoni e alla figlia che l'aveva raggiunta in ospedale.
Ad emettere il contestuale provvedimento di mancata convalida del fermo e l'ordinanza di custodia cautelare è stato il gip del tribunale di Bari, Valeria Isabella Valenzi.
Nell'udienza di convalida del fermo di ieri, era presente solo il difensore d'ufficio di Lacarpia, l'avvocato Domenico Mastrandrea, che avrebbe chiesto per il suo assistito la rimessione in libertà, pur non opponendosi alla convalida del fermo e rimettendosi, in alternativa, alle valutazioni del Giudice in merito alla richiesta di misura cautelare espressa dal PM.
Adesso bisognerà capire quando ci sarà l'interrogatorio di garanzia per Lacarpia, visto che il 65enne gravinese è ricoverato dalla sera dell'8 ottobre presso il reparto di cardiologia del Policlinico di Bari, a causa di un malessere successivo ad una caduta dal letto della cella del carcere nel quale era stato tradotto.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, infatti, l'uomo nella notte tra sabato 6 e domenica 7 ottobre, all'incirca verso l'una e mezza, sulla strada vicinale dei Pigli, nelle campagne dell'abitato di Gravina, avrebbe dato alle fiamme la fiat Panda di famiglia con a bordo la moglie, la quale, nonostante le ustioni, sarebbe riuscita a uscire dall'auto. Raggiunta dal marito, la donna sarebbe stata immobilizzata a terra, con Lacarpia che si sarebbe messo a cavalcioni su di lei, con il peso del suo corpo: ginocchia sull'addome e braccia che, facendo pressione sul torace, avrebbe provocato fratture alle costole, allo sterno e una compressione del cuore, con il conseguente arresto cardiaco. La donna, prima di morire avrebbe fatto il nome del suo assassino, sia agli agenti della Polizia di Stato che ad alcuni testimoni e alla figlia che l'aveva raggiunta in ospedale.
Ad emettere il contestuale provvedimento di mancata convalida del fermo e l'ordinanza di custodia cautelare è stato il gip del tribunale di Bari, Valeria Isabella Valenzi.
Nell'udienza di convalida del fermo di ieri, era presente solo il difensore d'ufficio di Lacarpia, l'avvocato Domenico Mastrandrea, che avrebbe chiesto per il suo assistito la rimessione in libertà, pur non opponendosi alla convalida del fermo e rimettendosi, in alternativa, alle valutazioni del Giudice in merito alla richiesta di misura cautelare espressa dal PM.
Adesso bisognerà capire quando ci sarà l'interrogatorio di garanzia per Lacarpia, visto che il 65enne gravinese è ricoverato dalla sera dell'8 ottobre presso il reparto di cardiologia del Policlinico di Bari, a causa di un malessere successivo ad una caduta dal letto della cella del carcere nel quale era stato tradotto.