Primarie: a Gravina stravince Bersani
Ma a convincere sono i renziani. Settimana decisiva in Comune: sarà azzerata la giunta?
domenica 2 dicembre 2012
23.05
Al secondo turno delle primarie del centrosinistra a Gravina hanno votato in 702. Pierluigi Bersani (nella foto) ha preso 458 voti, pari al 65,2%, il suo antagonista Matteo Renzi 244 consensi ed il 34,8%.
E la cronaca potrebbe chiudersi qui, se i raffronti coi dati del primo turno non suggerissero di andare a fondo, per leggere in controluce numeri che dicono ben altro, specie all'indomani della crisi politica che, sebbene negata dal primo cittadino Alesio Valente, ha preso a soffiare come vento minaccioso sulla maggioranza uscita vincente dalle urne appena il maggio scorso.
Un passo indietro: si torna al primo turno. Nell'ultima domenica di novembre, Nichi il governatore delle Puglie si prende Gravina, e con il 45,7% sbaraglia la concorrenza. A lui vanno 506 dei 1.108 voti validamente espressi (un risultato tutt'altro che entusiasmante, nel rapporto votanti/numero complessivo degli elettori). Soltanto secondo Bersani, che pure poteva contare sull'appoggio del sindaco e di gran parte dell'establishment democratico: al segretario nazionale del Pd finiscono 340 consensi (30,7%). Terzi, Renzi e i suoi, con 210 preferenze e poco meno del 19%. Molto più giù Bruno Tabacci (46 voti, pari al 4,1%) e Laura Puppato, con 6 voti (0,5%). Una settimana dopo, il pronostico è rispettato: vince Bersani. Ma non come avrebbe dovuto. Perchè l'endorsement di Vendola avrebbe dovuto portare il leader democratico ben oltre il 70%. E invece no: Bersani supera di poco l'asticella del 65% (al di sopra della media nazionale, ma al di sotto di quella regionale), mentre Renzi quasi raddoppia le sue percentuali.
Cosa se ne ricava? Anzitutto, che quasi il 40% di chi era andato a votare il 25 novembre non è tornato ai seggi il 2 dicembre. E poi che i renziani hanno tenuto botta, conservando i loro consensi ed anzi incrementandoli. Sia in termini percentuali sia in termini assoluti, e dunque pescando nel bacino di voti degli avversari. Ed in chiave locale, sebbene le primarie poco o nulla abbiano da spartire con le questioni amministrative dei mille campanili d'Italia, è un risultato che politicamente pesa, specie in casa del Pd, dove è in corso una riflessione che punta a risolvere le grane sorte negli ultimi giorni: la richiesta di azzeramento della giunta, se accolta, segnerebbe la clamorosa smentita delle ragioni del "cambia-mente", orgogliosamente ostentate dai palchi e nelle piazze durante la campagna elettorale. Pure perchè nei fatti si tramuterebbe in un palese cedimento alle richieste provenienti da forze politiche insofferenti nei riguardi del proprio assessore di riferimento (come i Democratici riformisti) o desiderose di entrare a far parte della squadra di governo dopo aver abbandonato i partiti di elezione ed aver costituito nuove formazioni o raggruppamenti (il trio Ariani-Santomasi-Mazzilli). Al riguardo, tra i democratici ed a Palazzo di città, il fronte dei possibilisti sarebbe stato sopraffatto pacificamente e senza combattere dalla corrente di pensiero di quanti, invece, richiamandosi proprio alle tesi del "cambia-mente", sarebbero propensi a dire di no ad istanze che - è il ragionamento - sarebbero in contrasto con i patti siglati in maggioranza e, soprattutto, con gli elettori. E su questa linea sarebbero attestati i renziani (adesso irrobustiti dal doppio turno primariale) ed altre personalità del Pd e della giunta.
Come finirà? Lo si saprà in settimana. In casa Pd è stata richiesta la convocazione del coordinamento, ma anche le segreterie di coalizione dovrebbero tornare ad incontrarsi per sciogliere il nodo: come uscire dalla crisi negata ma grande quanto una casa?
E la cronaca potrebbe chiudersi qui, se i raffronti coi dati del primo turno non suggerissero di andare a fondo, per leggere in controluce numeri che dicono ben altro, specie all'indomani della crisi politica che, sebbene negata dal primo cittadino Alesio Valente, ha preso a soffiare come vento minaccioso sulla maggioranza uscita vincente dalle urne appena il maggio scorso.
Un passo indietro: si torna al primo turno. Nell'ultima domenica di novembre, Nichi il governatore delle Puglie si prende Gravina, e con il 45,7% sbaraglia la concorrenza. A lui vanno 506 dei 1.108 voti validamente espressi (un risultato tutt'altro che entusiasmante, nel rapporto votanti/numero complessivo degli elettori). Soltanto secondo Bersani, che pure poteva contare sull'appoggio del sindaco e di gran parte dell'establishment democratico: al segretario nazionale del Pd finiscono 340 consensi (30,7%). Terzi, Renzi e i suoi, con 210 preferenze e poco meno del 19%. Molto più giù Bruno Tabacci (46 voti, pari al 4,1%) e Laura Puppato, con 6 voti (0,5%). Una settimana dopo, il pronostico è rispettato: vince Bersani. Ma non come avrebbe dovuto. Perchè l'endorsement di Vendola avrebbe dovuto portare il leader democratico ben oltre il 70%. E invece no: Bersani supera di poco l'asticella del 65% (al di sopra della media nazionale, ma al di sotto di quella regionale), mentre Renzi quasi raddoppia le sue percentuali.
Cosa se ne ricava? Anzitutto, che quasi il 40% di chi era andato a votare il 25 novembre non è tornato ai seggi il 2 dicembre. E poi che i renziani hanno tenuto botta, conservando i loro consensi ed anzi incrementandoli. Sia in termini percentuali sia in termini assoluti, e dunque pescando nel bacino di voti degli avversari. Ed in chiave locale, sebbene le primarie poco o nulla abbiano da spartire con le questioni amministrative dei mille campanili d'Italia, è un risultato che politicamente pesa, specie in casa del Pd, dove è in corso una riflessione che punta a risolvere le grane sorte negli ultimi giorni: la richiesta di azzeramento della giunta, se accolta, segnerebbe la clamorosa smentita delle ragioni del "cambia-mente", orgogliosamente ostentate dai palchi e nelle piazze durante la campagna elettorale. Pure perchè nei fatti si tramuterebbe in un palese cedimento alle richieste provenienti da forze politiche insofferenti nei riguardi del proprio assessore di riferimento (come i Democratici riformisti) o desiderose di entrare a far parte della squadra di governo dopo aver abbandonato i partiti di elezione ed aver costituito nuove formazioni o raggruppamenti (il trio Ariani-Santomasi-Mazzilli). Al riguardo, tra i democratici ed a Palazzo di città, il fronte dei possibilisti sarebbe stato sopraffatto pacificamente e senza combattere dalla corrente di pensiero di quanti, invece, richiamandosi proprio alle tesi del "cambia-mente", sarebbero propensi a dire di no ad istanze che - è il ragionamento - sarebbero in contrasto con i patti siglati in maggioranza e, soprattutto, con gli elettori. E su questa linea sarebbero attestati i renziani (adesso irrobustiti dal doppio turno primariale) ed altre personalità del Pd e della giunta.
Come finirà? Lo si saprà in settimana. In casa Pd è stata richiesta la convocazione del coordinamento, ma anche le segreterie di coalizione dovrebbero tornare ad incontrarsi per sciogliere il nodo: come uscire dalla crisi negata ma grande quanto una casa?