La città
Ad un anno dal lockdown
Il racconto della città "chiusa per pandemia" nelle foto di Pietro Amendolara
Gravina - martedì 9 marzo 2021
E' trascorso un anno e quasi non ci facciamo più caso. Ci siamo quasi abituati a convivere con l'incubo del covid. Molti di noi hanno probabilmente rimosso i duri mesi che hanno seguito quel fatidico 9 marzo del 2020, quando l'Italia entrò in lockdown: esperienza senza precedenti per una nazione che piombò nel terrore e nella paura di non poter più rialzarsi dalla pandemia causata dal coronavirus.
Ad un anno da quella terribile esperienza, l'effetto della pandemia è tutt'altro che messo alle spalle. Nuove ondate e varianti del virus stanno facendo tuttora tribolare la popolazione mondiale, che non riesce ancora a vedere l'uscita dal tunnel, neanche adesso che tutte le speranze di superare questo difficile momento sono riposte nell'efficacia dei vaccini.
Il panico, i timori, le angosce e la speranza di quei primi mesi di lockdown nella città di Gravina sono stati immortalati sapientemente dalla macchina fotografica di Pietro Amendolara, che ha voluto raccontare, attraverso alcuni reportage tematici, quei drammatici momenti. Immagini catturate dall'obiettivo del fotografo gravinese che non sono scatti estemporanei, ma che intendono raccontare uno spaccato della vita di Gravina nel periodo di chiusura.
Dai primi giorni, racchiusi nell'album la "Prima settimana", (nella quale - dice Amendolara- venivano fotografate "tutte le cose strane che osservavo davanti a me"); ai flashmob sui balconi e alle luci "dalle finestre", dalle quali si intravedevano i volti delle persone; ma anche un set dedicato agli affetti più cari, persone con cui purtroppo non potevi incontrarti.
Un capitolo della narrazione fotografica ha immortalato "la città vuota": la desolazione della città inanimata. Per passare poi allo smarrimento delle persone a zonzo per la città, quasi senza meta ("Paesani spaesati" come li chiama Amendolara); seguendo anche il problema del "lavoro", con la zona industriale inanimata, aziende chiuse e strade deserte nel cuore pulsante dell'area dedita alla produttività locale.
E poi, ancora, le "presenze quotidiane" come il macellaio, il medico, il panettiere, ma anche i volontari della protezione civile, che in quel periodo abbiamo imparato a conoscere.
Ed infine un set di foto sul giorno di Pasqua, con scatti nell'arco di una sola ora nel giorno di festa a segnare la differenza con il passato, quando tutti erano in piazza a scambiarsi gli auguri e invece lo scorso anno in quel giorno nel centro storico non vi era anima viva. "L'unico rammarico per quanto riguarda la fotografia è stato non aver potuto, per questioni di sicurezza fotografare infermieri e medici all'opera"- confessa il fotografo, spiegando come, con questi progetti fotografici, abbia voluto conservare una testimonianza "di questi giorni incredibili che abbiamo vissuto e che resteranno per sempre nella memoria di tutti noi qualunque cosa accada".
Centinaia di istantanee, delle quali abbiamo deciso di proporre solo una minima parte, che colgono l'attimo e lo trasformano in narrazione, in un racconto della città e della sua vita ai tempi del covid.
Ad un anno da quella terribile esperienza, l'effetto della pandemia è tutt'altro che messo alle spalle. Nuove ondate e varianti del virus stanno facendo tuttora tribolare la popolazione mondiale, che non riesce ancora a vedere l'uscita dal tunnel, neanche adesso che tutte le speranze di superare questo difficile momento sono riposte nell'efficacia dei vaccini.
Il panico, i timori, le angosce e la speranza di quei primi mesi di lockdown nella città di Gravina sono stati immortalati sapientemente dalla macchina fotografica di Pietro Amendolara, che ha voluto raccontare, attraverso alcuni reportage tematici, quei drammatici momenti. Immagini catturate dall'obiettivo del fotografo gravinese che non sono scatti estemporanei, ma che intendono raccontare uno spaccato della vita di Gravina nel periodo di chiusura.
Dai primi giorni, racchiusi nell'album la "Prima settimana", (nella quale - dice Amendolara- venivano fotografate "tutte le cose strane che osservavo davanti a me"); ai flashmob sui balconi e alle luci "dalle finestre", dalle quali si intravedevano i volti delle persone; ma anche un set dedicato agli affetti più cari, persone con cui purtroppo non potevi incontrarti.
Un capitolo della narrazione fotografica ha immortalato "la città vuota": la desolazione della città inanimata. Per passare poi allo smarrimento delle persone a zonzo per la città, quasi senza meta ("Paesani spaesati" come li chiama Amendolara); seguendo anche il problema del "lavoro", con la zona industriale inanimata, aziende chiuse e strade deserte nel cuore pulsante dell'area dedita alla produttività locale.
E poi, ancora, le "presenze quotidiane" come il macellaio, il medico, il panettiere, ma anche i volontari della protezione civile, che in quel periodo abbiamo imparato a conoscere.
Ed infine un set di foto sul giorno di Pasqua, con scatti nell'arco di una sola ora nel giorno di festa a segnare la differenza con il passato, quando tutti erano in piazza a scambiarsi gli auguri e invece lo scorso anno in quel giorno nel centro storico non vi era anima viva. "L'unico rammarico per quanto riguarda la fotografia è stato non aver potuto, per questioni di sicurezza fotografare infermieri e medici all'opera"- confessa il fotografo, spiegando come, con questi progetti fotografici, abbia voluto conservare una testimonianza "di questi giorni incredibili che abbiamo vissuto e che resteranno per sempre nella memoria di tutti noi qualunque cosa accada".
Centinaia di istantanee, delle quali abbiamo deciso di proporre solo una minima parte, che colgono l'attimo e lo trasformano in narrazione, in un racconto della città e della sua vita ai tempi del covid.