Scuola e Università
Atto discriminatorio nei confronti di un bambino autistico
Emarginato dai genitori dei compagni, per dare un segnale agli educatori
Gravina - domenica 13 novembre 2016
10.32
Quale "buon esempio" si dà ai propri figli inducendoli ad emarginare un compagno "speciale"? E' questa l'inclusione sociale che quotidianamente si professa?
Questa è la storia di un bambino autistico, che per privacy chiameremo Marco, vittima di un atto discriminatorio da parte dei suoi compagni di classe i quali, su consenso dei genitori, non si sono presentati a scuola la mattina del 15 ottobre scorso. Abbandono giustificato dalle famiglie come un messaggio rivolto a tutti coloro che seguono il bambino nel suo percorso di vita, affinché raggiunga l'autonomia personale e sociale - logopedista, educatore, insegnante di sostegno, psicomotricista, pedagogista - , e cioè che Marco è un "pericolo" per gli altri, perché incapace di gestire al meglio le proprie emozioni in situazioni di stress e frustrazione, il che comporta una manifestazione imprevedibile della sua ansia.
"Il DSA (Disturbo dello Spettro Autistico) - spiega la pedagogista del Centro Pedagodico "Upendi", Caterina Valerio - "è definita dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza come "un disturbo pervasivo dello sviluppo tra i più complessi e preoccupanti dell'età evolutiva, in vista del fatto che la sua fenomenologia colpisce la funzionalità del soggetto e permane per tutta la vita", e prevede una compromissione dell'interazione sociale, della comunicazione, delle abilità di gioco, interessi ristretti, ripetitivi, stereotipati, reazioni forti ai cambiamenti, presenza di routine non funzionali".
Marco dunque è un bambino colpevolizzato per qualcosa che va al di là delle sue capacità, e che invece di trovare la comprensione e l'affetto degli amici per il suo guardare la realtà da una prospettiva diversa, ha ricevuto solamente indifferenza.
E la cosa più grave e triste di tutta questa vicenda è che non ci si è curati delle ripercussioni sul piano psicologico ed emotivo del bambino.
"Integrazione - afferma Mario Iacovelli l'educatore che ha denunciato la vicenda - non vuol dire solo amare, ma soprattutto considerare. Considerare che chi si ha difronte è una persona e non una patologia. Una persona con tutte le sue caratteristiche, i suoi limiti e le sue potenzialità da far emergere, per vivere in sintonia con sé stessi e con gli altri".
Marco ha sofferto tanto in queste settimane, manifestando il suo dolore con irrequietezza e angoscia, un malessere che ha spinto la madre, amareggiata e indignata per il comportamento delle altre famiglie, a lottare per dare la possibilità al figlio di ricominciare da zero, in una nuova classe, con nuovi compagni e nuove insegnanti.
Una lotta che ha il sapore di vittoria, grazie all'aiuto di due docenti che hanno deciso di accogliere il bambino nella propria sezione, superando i limiti logistici - e mentali - che impedivano il trasferimento di Marco in un'aula differente del proprio Istituto.
Da allora Marco vive la realtà scolastica in maniera differente: ha ritrovato finalmente la serenità.
Una storia che non avremmo mai voluto raccontare, ma che ci auguriamo possa essere d'esempio per non commettere più simili errori in futuro.
Questa è la storia di un bambino autistico, che per privacy chiameremo Marco, vittima di un atto discriminatorio da parte dei suoi compagni di classe i quali, su consenso dei genitori, non si sono presentati a scuola la mattina del 15 ottobre scorso. Abbandono giustificato dalle famiglie come un messaggio rivolto a tutti coloro che seguono il bambino nel suo percorso di vita, affinché raggiunga l'autonomia personale e sociale - logopedista, educatore, insegnante di sostegno, psicomotricista, pedagogista - , e cioè che Marco è un "pericolo" per gli altri, perché incapace di gestire al meglio le proprie emozioni in situazioni di stress e frustrazione, il che comporta una manifestazione imprevedibile della sua ansia.
"Il DSA (Disturbo dello Spettro Autistico) - spiega la pedagogista del Centro Pedagodico "Upendi", Caterina Valerio - "è definita dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza come "un disturbo pervasivo dello sviluppo tra i più complessi e preoccupanti dell'età evolutiva, in vista del fatto che la sua fenomenologia colpisce la funzionalità del soggetto e permane per tutta la vita", e prevede una compromissione dell'interazione sociale, della comunicazione, delle abilità di gioco, interessi ristretti, ripetitivi, stereotipati, reazioni forti ai cambiamenti, presenza di routine non funzionali".
Marco dunque è un bambino colpevolizzato per qualcosa che va al di là delle sue capacità, e che invece di trovare la comprensione e l'affetto degli amici per il suo guardare la realtà da una prospettiva diversa, ha ricevuto solamente indifferenza.
E la cosa più grave e triste di tutta questa vicenda è che non ci si è curati delle ripercussioni sul piano psicologico ed emotivo del bambino.
"Integrazione - afferma Mario Iacovelli l'educatore che ha denunciato la vicenda - non vuol dire solo amare, ma soprattutto considerare. Considerare che chi si ha difronte è una persona e non una patologia. Una persona con tutte le sue caratteristiche, i suoi limiti e le sue potenzialità da far emergere, per vivere in sintonia con sé stessi e con gli altri".
Marco ha sofferto tanto in queste settimane, manifestando il suo dolore con irrequietezza e angoscia, un malessere che ha spinto la madre, amareggiata e indignata per il comportamento delle altre famiglie, a lottare per dare la possibilità al figlio di ricominciare da zero, in una nuova classe, con nuovi compagni e nuove insegnanti.
Una lotta che ha il sapore di vittoria, grazie all'aiuto di due docenti che hanno deciso di accogliere il bambino nella propria sezione, superando i limiti logistici - e mentali - che impedivano il trasferimento di Marco in un'aula differente del proprio Istituto.
Da allora Marco vive la realtà scolastica in maniera differente: ha ritrovato finalmente la serenità.
Una storia che non avremmo mai voluto raccontare, ma che ci auguriamo possa essere d'esempio per non commettere più simili errori in futuro.