Rimozione rampa
Rimozione rampa
La città

Cattedrale: la Diocesi abbatte la rampa

Era stata costruita su suolo comunale. La Curia: "Addolorati per i disabili. Ora attendiamo proposte".

Dire che la vicenda si ammanti di giallo, probabilmente, è dare una dimensione letteraria e quasi romantica ad una vicenda che, in realtà, col passare delle ore, pare assumere più che altro i contorni di un inestricabile groviglio paesano.

La rampa della discordia, quella che ormai quasi completata avrebbe dovuto consentire l'accesso dei diversabili alla Cattedrale di Gravina, è stata abbattuta. Gli stessi operai che l'avevano eretta nei giorni scorsi l'hanno smantellata in mattinata, su ordine di chi ne aveva voluto la realizzazione: la Diocesi. "Non ne sappiamo niente", dicono dall'Ufficio tecnico del Comune poco prima che scocchi mezzogiorno. Eppure, il Comune non dovrebbe essere all'oscuro di quel che accade. Non può. Perchè in contemporanea è proprio la Diocesi, pubblicamente, a far chiarezza. Consegnando alle cronache un dato clamoroso: "L'opera è stata rimossa volontariamente poichè, contrariamente agli atti in nostro possesso, è risultata essere stata edificata su suolo comunale, come da documentazione a noi sconosciuta al momento del deposito della segnalazione di inizio attività".

Un giallo? No. Forse solo un pastrocchio. Che prende forma quando un comitato spontaneo inizia a contestare l'effettiva utilità della rampa e la sua rispondenza ai canoni architettonici ed ambientali dei luoghi in cui viene alla luce. La Diocesi respinge le contestazioni, il Comune fa altrettanto. Il sindaco Alesio Valente, a domanda rispondendo, si spinge ad affermare che "la pratica è in regola, gode di tutte le prescritte autorizzazioni" e che "il suolo su cui la rampa viene edificata appartiene alla diocesi". Eppure, due giorni dopo è già tempo di ripensamenti: la Diocesi sospende i lavori, Palazzo di città inizia a lavorare "alla ricerca di una soluzione condivisa, perchè il dialogo e l'armonia sono sempre la soluzione migliore", chiosa ancora il primo cittadino.

Cosa accade dietro le quinte? Il racconto delle 48 ore che cambiano il corso degli eventi è nella ricostruzione degli incontri tra le parti: dal comitato, nel quale si distingue per attivismo e caparbietà il vice capogruppo consiliare del Pd Mimmo Cardascia, ad un certo punto verrebbe messo sul tavolo del confronto un atto, risalente al 1996, ignoto sia al Comune sia alla Diocesi, che attesterebbe essere il suolo conteso di pertinenza comunale e non diocesana. Volendo, si potrebbe ovviare: basterebbe una delibera di giunta con autorizzazione all'utilizzo dell'area. Alla Diocesi l'eventualità non dispiacerebbe, pure per evitare di perdere un manufatto ormai tirato su e peraltro munito di tutti i pareri, compreso quello della Soprintendenza che solo alla rampa aveva detto sì, bocciando diverse proposte alternative. Ma il comitato s'oppone e la politica glissa. Così, scartata la strada che porta alla delibera, non resta che una soluzione: abbattere.

Qui comincia la parte ufficiale della storia. Con la Diocesi che fa sapere che "a seguito di ricerche di alcuni cittadini, è stata rinvenuta documentazione sconosciuta al Committente ed al Comune all'epoca della presentazione e concessione della Scia, secondo la quale l'area in questione, dal 1996, è di proprietà del Comune di Gravina, si sono sospesi immediatamente i lavori e si è stati costretti a ripristinare lo stato del luogo con l'abbattimento della rampa, che a detta del presidente del C.a.ba. e della responsabile dell'associazione "Ruota libera" era fatta a regola d'arte". Parole che tradiscono amarezza, condite da un auspicio: "Ci si augura che i 40 promotori del dissenso alla rampa diano al più presto risposte concrete, positive e tempestive alle attese deluse dei nostri fratelli diversamente abili".

Quasi una sfida, nei titoli di coda del film su quel pasticciaccio brutto della rampa della discordia.
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