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Filatoio e Puté du Priesce: l’importanza della fiaba nel terzo millennio

Un rito ancestrale per rispondere ai mali della modernità

C'era una volta… Inizia così, come tutte le fiabe, l'esperienza gravinese del filatoio, innestata nella "Puté du priesce" e andata in scena ieri sera, presso la pineta comunale di Gravina.
L'iniziativa è partita dal centro studi Enzo Marchetti, in collaborazione con il Movimento Cooperativo di Educazione.
Sette pezzi di racconto, in sette lingue diverse, con artisti che si sono alternati nel voler dare una propria versione del racconto della fiaba del "serpente a sette teste".
"Una fiaba che mi è stata raccontata 41 anni fa dalla madre di una mia alunna- ricorda Maria Antonietta Bochicchio in Altieri e che mi ha portato, grazie al continuo sopporto del prof. Marchetti, ad innamorarmi dei racconti popolari". Bochicchio ha spiegato come il lavoro del raccoglitore di fiabe è paragonabile a quello di un missionario: "perché il rischio che questi racconti vadano perduti è alto".

Anche perché ci si espone al paradosso della scrittura "che da un lato recupera e dall'altro fa perdere la gestualità e l'oralità del racconto".
Sì. Perché la fiaba è un oggetto culturale di alto livello. Affermazione questa che fa storcere il naso a chi non ne hanno colto l'enorme portata dal punto di vista antropologico e sociale.

"E non è casuale - evidenzia Rosa Volse, presidente del centro studi Marchetti - che la scelta sia ricaduta sul serpente a sette teste, una fiaba già inserita nella raccolta intitolata quattro fiabe gravinesi, fatta da Enzo Marchetti, in collaborazione con altri studiosi, nel 1983".
Sette le teste, sette le lingue usate per raccontala. Nella fiaba l'eroe fa riferimento ad una attesa di sette anni, sette mesi e sette giorni per sposare la principessa.
Sette. Un numero ricorrente nella fiaba che simbolicamente rappresenta il tempo.

Un tempo che, come ricorda Pina Boccasile, militante del Mce, sembra non sia passato.
"Ci ritroviamo adesso, eppure sono trascorsi più di 40 anni - ha rievocato Boccasile, - Una esperienza che parte da lontano, da quando 44 anni fa con Enzo Marchetti e sua moglie Liliana abbiamo realizzato la Putè du Priesce, proprio in questo luogo".
"E adesso ci ritroviamo qui, con le stesse basi"- ha continuato la Boccasile- per creare una educazione dell'accoglienza che elimini l'odio e le discriminazioni, anche nella scuola, affinché ogni individualità venga superata e "il nostro io, diventi il nostro noi".
"Oggi abbiamo tramato- le fa eco l'antropologa Laura Marchetti- abbiamo riproposto il racconto, così come facevano un tempo le donne, vicino al braciere o attorno ad un filatoio, passandosi di mano in mano il gomitolo che oltre a dipanare la lana, dipanava le storie".
Ma questo filo rischia di spezzarsi. La Prof.ssa Marchetti, infatti, si dice convinta della necessità di costruire un nuovo sapere di comunità, che contrasti il rischio di omologazione generale cui stiamo andando incontro nella nuova società globalizzata.
Ed allora la fiaba assume significati più profondi. Il filatoio diventa un luogo culturale d'eccellenza. Un luogo di inclusione che coinvolge popolazioni lontane tra di loro.

"Perché la fiaba è migrante- sottolinea Marchetti - e ha il compito di eliminare i confini dell'odio. Perché come diceva Gramsci, nessuno si può salvare da solo".
Questo in sintesi il concetto del filatoio, una pratica inclusiva, "il prodotto più interculturale che l'umanità abbia mai concepito- conclude la Prof.ssa Marchetti - un messaggio che in questi giorni, appare importante come non mai.
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