La città
I gravinesi a Roma
La voce di chi ha scelto la Capitale. Gravina vista da chi vive all'ombra del Cupolone.
Gravina - mercoledì 13 marzo 2013
09.00
Fior di figli cresciuti a pane e vino casereccio, per poi perderli tra le grinfie di "mamma Roma".
Manca il numero esatto dei gravinesi emigrati a Roma, ma sono tanti, di tutte le età. Siamo andati a far loro visita. Un campione di voci, esperienze ed opinioni dalla Capitale, una delle città più problematiche d'Europa, attraente per questioni storiche, artistiche e monumentali, matrigna e madre allo stesso tempo, strega tutti o quasi, per i suoi poteri.
Mino De Felice, funzionario ministeriale, spiega che andar via da Gravina non è stata una sua decisione. "Lavoravo a Bari come precario per un ente con sede legale a Roma. Allo scadere del contratto mi hanno offerto un nuovo contratto di lavoro a Roma, ho accettato. Vivo qui da undici anni, ho cambiato diverse zone di Roma, ma ora mi sono stabilizzato tra Cinecittà e San Giovanni", dice. Quanto alla possibilità di far ritorno aggiunge: "Per me sarebbe un trauma". De Felice torna di rado e dice di trovare la città profondamente depressa, peggiorata: "Vorrei vedere Gravina più fiorente dal punto di vista economico e lavorativo, con più senso di partecipazione, senza rivalità inutili del tipo niente tu e niente io".
La Capitale ospita anche una nutrita fetta di aspiranti attori. Ezio S. racconta: "Ho lasciato Gravina a malincuore, non riuscivo a praticare il mio lavoro in modo professionale. Negli anni a seguire ho provato anche a ritornare con l'intento di fare altri lavori e mi sono reso conto che non c'è proprio lavoro. Ho lasciato Gravina da sei anni ormai, vivo a Centocelle. Tornerei ma non so se per sempre, torno almeno ogni due mesi, la trovo paesaggisticamente magnifica, ma urbanisticamente non cresce, sempre uguale, vecchia".
Tre donne, Licia Pacella, Maria Alloggio, Rosa Topputo, raccontano la loro emigrazione evidenziando tratti differenti. Pacella ha lasciato Gravina per lavoro e amore, ha scelto di seguire il suo compagno. Vive in piazza Bologna da tre anni e dice: "Roma offe migliori possibilità rispetto a Gravina, dal punto di vista lavorativo e non solo. Non credo purtroppo vi farò ritorno nel tempo. Tornerei solo per stare più vicina alla mia famiglia. E' una città che adoro, ma la trovo spenta, apatica, poco incline al cambiamento. Mi sembra che sia rimasto tutto uguale a quando ero adolescente io. La vorrei con più spazi verdi, più servizi, più mezzi pubblici, più occasioni per i giovani: sveglia e moderna. Qui a Roma frequento pochi amici gravinesi, perché pochi sono quelli rimasti". L'ingegnere Maria Alloggio senza troppi fronzoli afferma di aver scelto Roma per esigenze lavorative e per non omologare la sua vita ad uno stato mentale anti riflessico. Vive a Parioli dal 2000 e afferma: "Tornerei e volentieri parteciperei alla scossa di cui necessità la nostra città. Nuove situazioni mi inducono a tornare spesso! E' una città paesaggisticamente fantastica attraversata da assordanti richieste d'aiuto". L'architetto Rosa Topputo ha scelto Roma come sede dei suoi studi universitari. Dichiara: "Gravina non mi è mai bastata, ma quello che la cultura del mio paese mi ha dato non l'ho mai dimenticato. Ho ricominciato ad apprezzare il mio paese d'origine, torno poche volte, il più bel regalo che Gravina mi ha dato è stata la mia infanzia. Torno poche volte l'anno, solitamente per una settimana; negli ultimi tempi guardo la città in un'altra maniera, ricomincio a riappropriarmi di alcuni aspetti tra cui il ritmo pacato della vita e la semplificazione di molte cose. A Gravina la vita mi sembra più semplice, sebbene non tornerei a viverci. In questo momento mi sta stretta Roma e forse l'Italia". E ancora: "Vedo Gravina come un paese dove appaiono nuove palazzine senza mai un giardino, nuovi negozi di scarpe, abbigliamento ed ottica, mai una libreria".
Infine, Liborio Conca racconta di aver una certa allergia nei confronti degli altamurani a Roma, preferirebbe incontrarne meno possibili, annuncia con tono ironico nell'intervista e specifica: "Non ho motivo di rimpiangere la mia scelta. Seppur a singhiozzo e con una lentezza tutta sua, Roma rilascia gradualmente soddisfazioni, conoscenze, opportunità. Ho un bel rapporto con il mio paese d'origine. Col tempo gli impegni romani sono cresciuti e mi trattengono qui più spesso. All'inizio tornavo appena potevo", aggiunge: "Non ho trovato miglioramenti, a volte la sensazione di una decadenza continua diffusa è forte e dolorosa. Continuano a costruire case, mi chiedo se possa esserci una via alternativa alla crescita edilizia. Il desiderio è quello di tonare un giorno e scoprire un fermento vero, di quelli che portano entusiasmo contagioso".
Manca il numero esatto dei gravinesi emigrati a Roma, ma sono tanti, di tutte le età. Siamo andati a far loro visita. Un campione di voci, esperienze ed opinioni dalla Capitale, una delle città più problematiche d'Europa, attraente per questioni storiche, artistiche e monumentali, matrigna e madre allo stesso tempo, strega tutti o quasi, per i suoi poteri.
Mino De Felice, funzionario ministeriale, spiega che andar via da Gravina non è stata una sua decisione. "Lavoravo a Bari come precario per un ente con sede legale a Roma. Allo scadere del contratto mi hanno offerto un nuovo contratto di lavoro a Roma, ho accettato. Vivo qui da undici anni, ho cambiato diverse zone di Roma, ma ora mi sono stabilizzato tra Cinecittà e San Giovanni", dice. Quanto alla possibilità di far ritorno aggiunge: "Per me sarebbe un trauma". De Felice torna di rado e dice di trovare la città profondamente depressa, peggiorata: "Vorrei vedere Gravina più fiorente dal punto di vista economico e lavorativo, con più senso di partecipazione, senza rivalità inutili del tipo niente tu e niente io".
La Capitale ospita anche una nutrita fetta di aspiranti attori. Ezio S. racconta: "Ho lasciato Gravina a malincuore, non riuscivo a praticare il mio lavoro in modo professionale. Negli anni a seguire ho provato anche a ritornare con l'intento di fare altri lavori e mi sono reso conto che non c'è proprio lavoro. Ho lasciato Gravina da sei anni ormai, vivo a Centocelle. Tornerei ma non so se per sempre, torno almeno ogni due mesi, la trovo paesaggisticamente magnifica, ma urbanisticamente non cresce, sempre uguale, vecchia".
Tre donne, Licia Pacella, Maria Alloggio, Rosa Topputo, raccontano la loro emigrazione evidenziando tratti differenti. Pacella ha lasciato Gravina per lavoro e amore, ha scelto di seguire il suo compagno. Vive in piazza Bologna da tre anni e dice: "Roma offe migliori possibilità rispetto a Gravina, dal punto di vista lavorativo e non solo. Non credo purtroppo vi farò ritorno nel tempo. Tornerei solo per stare più vicina alla mia famiglia. E' una città che adoro, ma la trovo spenta, apatica, poco incline al cambiamento. Mi sembra che sia rimasto tutto uguale a quando ero adolescente io. La vorrei con più spazi verdi, più servizi, più mezzi pubblici, più occasioni per i giovani: sveglia e moderna. Qui a Roma frequento pochi amici gravinesi, perché pochi sono quelli rimasti". L'ingegnere Maria Alloggio senza troppi fronzoli afferma di aver scelto Roma per esigenze lavorative e per non omologare la sua vita ad uno stato mentale anti riflessico. Vive a Parioli dal 2000 e afferma: "Tornerei e volentieri parteciperei alla scossa di cui necessità la nostra città. Nuove situazioni mi inducono a tornare spesso! E' una città paesaggisticamente fantastica attraversata da assordanti richieste d'aiuto". L'architetto Rosa Topputo ha scelto Roma come sede dei suoi studi universitari. Dichiara: "Gravina non mi è mai bastata, ma quello che la cultura del mio paese mi ha dato non l'ho mai dimenticato. Ho ricominciato ad apprezzare il mio paese d'origine, torno poche volte, il più bel regalo che Gravina mi ha dato è stata la mia infanzia. Torno poche volte l'anno, solitamente per una settimana; negli ultimi tempi guardo la città in un'altra maniera, ricomincio a riappropriarmi di alcuni aspetti tra cui il ritmo pacato della vita e la semplificazione di molte cose. A Gravina la vita mi sembra più semplice, sebbene non tornerei a viverci. In questo momento mi sta stretta Roma e forse l'Italia". E ancora: "Vedo Gravina come un paese dove appaiono nuove palazzine senza mai un giardino, nuovi negozi di scarpe, abbigliamento ed ottica, mai una libreria".
Infine, Liborio Conca racconta di aver una certa allergia nei confronti degli altamurani a Roma, preferirebbe incontrarne meno possibili, annuncia con tono ironico nell'intervista e specifica: "Non ho motivo di rimpiangere la mia scelta. Seppur a singhiozzo e con una lentezza tutta sua, Roma rilascia gradualmente soddisfazioni, conoscenze, opportunità. Ho un bel rapporto con il mio paese d'origine. Col tempo gli impegni romani sono cresciuti e mi trattengono qui più spesso. All'inizio tornavo appena potevo", aggiunge: "Non ho trovato miglioramenti, a volte la sensazione di una decadenza continua diffusa è forte e dolorosa. Continuano a costruire case, mi chiedo se possa esserci una via alternativa alla crescita edilizia. Il desiderio è quello di tonare un giorno e scoprire un fermento vero, di quelli che portano entusiasmo contagioso".