La città
Il museo della civiltà contadina cerca casa
Perse le tracce del museo smantellato per far posto a ristrutturazione e mai più aperto.
Gravina - giovedì 5 novembre 2020
Che fine ha fatto il museo della civiltà contadina? Dove sono allocati il centinaio di pezzi che componevano un importante elemento dell'offerta culturale della città, che testimoniava la storia della tradizionale rurale del territorio? Eppure per lungo tempo si è parlato della sistemazione del materiale presso il monastero di Santa Sofia, fin da quando, sotto l'amministrazione Divella, si decise di spostare l'esposizione presente al secondo piano dell'edificio ex-orfanotrofio attiguo alla chiesa San Domenico, per effettuarne i lavori di restauro.
"In quella circostanza i pezzi vennero impacchettati e immagazzinati presso dei locali di proprietà comunale: da allora non se ne è saputo più nulla"- commenta amaramente Peppino Schinco, anima del museo e socio dell'associazione Centro studi della documentazione e civiltà rurale. Sono passati gli anni, si sono succedute le amministrazioni comunali, ma del museo della civiltà contadina non si è parlato più, nonostante le numerose sollecitazioni rivolte all'amministrazione Valente.
"Ogni volta mi hanno assicurato che la questione era tra quelle in primo piano, ma ad oggi niente è cambiato da quando il museo è stato smantellato"- dice amareggiato Schinco, che sottolinea come eppure basterebbe poco per riuscire ad avere a disposizione della comunità un'importante traccia della culturale locale "a costo zero". "Basterebbe solo trasportare i pezzi antichi, con il centro studi pronto ad accollarsi un allestimento di massima della mostra, in attesa di presentare progetti per promuovere l'esposizione"- sottolinea Schinco, che poi si lascia andare ad uno sfogo.
"La verità è che questa città non capisce che un bene culturale concorre alla formazione dell'uomo: sia esso un vaso attico, oppure un aratro contadino"- aggiunge, condannando l'idea diffusa in molti amministratori di una cultura contadina di "serie B", rispetto ad altri tipi di beni culturali e confessando di avere contatti con la vicina Irsina, dove pezzi della storia del nostro recente passato, elementi importanti della cultura popolare, potrebbero trovare finalmente una degna collocazione.
"In quella circostanza i pezzi vennero impacchettati e immagazzinati presso dei locali di proprietà comunale: da allora non se ne è saputo più nulla"- commenta amaramente Peppino Schinco, anima del museo e socio dell'associazione Centro studi della documentazione e civiltà rurale. Sono passati gli anni, si sono succedute le amministrazioni comunali, ma del museo della civiltà contadina non si è parlato più, nonostante le numerose sollecitazioni rivolte all'amministrazione Valente.
"Ogni volta mi hanno assicurato che la questione era tra quelle in primo piano, ma ad oggi niente è cambiato da quando il museo è stato smantellato"- dice amareggiato Schinco, che sottolinea come eppure basterebbe poco per riuscire ad avere a disposizione della comunità un'importante traccia della culturale locale "a costo zero". "Basterebbe solo trasportare i pezzi antichi, con il centro studi pronto ad accollarsi un allestimento di massima della mostra, in attesa di presentare progetti per promuovere l'esposizione"- sottolinea Schinco, che poi si lascia andare ad uno sfogo.
"La verità è che questa città non capisce che un bene culturale concorre alla formazione dell'uomo: sia esso un vaso attico, oppure un aratro contadino"- aggiunge, condannando l'idea diffusa in molti amministratori di una cultura contadina di "serie B", rispetto ad altri tipi di beni culturali e confessando di avere contatti con la vicina Irsina, dove pezzi della storia del nostro recente passato, elementi importanti della cultura popolare, potrebbero trovare finalmente una degna collocazione.