GravinaLife
La moda che cambia
Dall'abbigliamento all'esaltazione del corpo. Croce e delizia degli stilisti di tutto il mondo.
Gravina - venerdì 22 febbraio 2013
17.30
Gli anni '80 tra power dressing e prêt à porter.
All'alba degli anni Ottanta, le donne diventano, per la prima volta, protagoniste assolute del loro corpo. L'idea di bellezza femminile vincente si ispira alla donna snella, muscolosa, sportiva ed ambiziosa (sia nel privato che nel pubblico). Lo stile è quello del "Power dressing", un misto di elementi tradizionali (dei decenni appena trascorsi) ed un pizzico di femminilità erotica, che segna il ritorno alla moda (targata anni Sessanta) del "body conscious".
Azzedine Alaia è il primo (stilista) ad utilizzare materiali elasticizzati all'avanguardia (che mettano in risalto nel migliore dei modi le curve femminili). Chanel ed Hermès (la quintessenza della moda parigina), continuano a soddisfare le esigenze delle più "tradizionali", riguadagnando un po' dell'antico splendore di ciò che è stata l'Haute Couture. Milano (dopo aver strappato la palma di capitale della moda a Venezia, Firenze e Roma), diventa centro del prêt-à-porter. Giorgio Armani disegna vestiti per uomini (ma soprattutto per donne) "manager", producendo abiti sofisticati (ma "alleggeriti"), senza fodere e controfodere. Onnipresente il binomio giacca-tailleur dalle spalle larghe e gonfie, con valigetta porta documenti. Gianni Versace (altro talento tutto italiano) riesce ad attirare l'attenzione internazionale su di sé con il suo lussuoso ma pratico "abbigliamento reale". Diventano famosi stilisti come Missoni, Gianfranco Ferré e Krizia. Il successo di Dolce & Gabbana viene decretato dalla popstar Madonna (anch'essa cultrice dell'aerobica, le diete e le cure di bellezza), entusiasta degli abiti dall'erotismo chic e trasandato, con calze nere e biancheria intima, del duo stilistico italiano.
Designer d'avanguardia, come il parigino Jean-Paul Gautier e l'inglese Vivienne Westwood, trasformano corsetti e giarrettiere in moderni abiti, concepiti per esprimere e risaltare al massimo il dinamismo del corpo umano. Il Giappone (con i suoi stilisti poco apprezzati in patria), si ritrova finalmente (e direi meritatamente) sulle passerelle della moda internazionale. Issey Miyake sfila prima a New York, poi a Parigi, facendo suo il concetto: "Un pezzo di stoffa", ovvero l'idea di un indumento piatto, che ricordi vagamente la struttura tradizionale dell'abbigliamento nipponico; ricopre quindi il corpo con un singolo pezzo di stoffa, creando un interessante spazio tra il corpo stesso ed il tessuto. Verso la fine degli anni Ottanta, disegna un'innovativa linea di abbigliamento a pieghe (piegando il tessuto solo dopo averlo tagliato e cucito), combinando in maniera organicamente perfetta materiali, forme e funzionalità. Qualche anno più tardi, introduce "A-POC", un'etica completamente nuova nel concepire l'abbigliamento del futuro, che propone indumenti di taglia unica dalla forma di un tubo di maglia (cosicché ciascuno possa ritagliarci la sagoma dell'abito che preferisce).
Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto (anche loro giapponesi) sorprendono il mondo occidentale con i loro abiti monocromatici: il motivo del loro successo risiede nel suggerimento, implicitamente contenuto nei loro lavori, che l'abbigliamento internazionale può anche derivare da una cultura non occidentale. Negli Stati Uniti d'America nasce il fenomeno Yuppie (acronimo di Young Urban Professional). Figura rampante e ambiziosa, che lavora spesso in Borsa, ha pochi scrupoli e vuole arricchirsi il più velocemente possibile. Frequenta ambienti chic e ristoranti costosi. Veste italiano (in special modo: Armani e Versace).
In questo ampio scenario, c'è posto poi anche per chi, essendo particolarmente attento alla causa ambientalista (oramai globale), si concentra sugli abiti usati e sull'alta moda che non conosce alcuna produzione in serie. Sulla scia di ciò, Martin Margiela, stilista belga di nascita, che debutta con la sua moda a Parigi, ricicla le sue creazioni e ripresenta sempre gli stessi abiti nelle sue sfilate: proposta (quella del riciclaggio) molto applaudita. Senza alcun dubbio, l'ultima parte del ventesimo secolo, vede trasformarsi lentamente (ma inesorabilmente) il sistema moda in una gigantesca macchina produttiva, mediante l'utilizzo di nuove tecnologie di comunicazione come la TV e Internet (occorre dare un'immagine accattivante del proprio prodotto).
Agli stilisti non resta che attirare l'attenzione seguendo l'esempio delle più sofisticate strategie pubblicitarie. L'abbigliamento perde (gradualmente) d'interesse, cedendo pian piano il passo ad una mera (e spesso eccessiva) esaltazione del corpo.
Fonte immagini: www.tumblr.com.
All'alba degli anni Ottanta, le donne diventano, per la prima volta, protagoniste assolute del loro corpo. L'idea di bellezza femminile vincente si ispira alla donna snella, muscolosa, sportiva ed ambiziosa (sia nel privato che nel pubblico). Lo stile è quello del "Power dressing", un misto di elementi tradizionali (dei decenni appena trascorsi) ed un pizzico di femminilità erotica, che segna il ritorno alla moda (targata anni Sessanta) del "body conscious".
Azzedine Alaia è il primo (stilista) ad utilizzare materiali elasticizzati all'avanguardia (che mettano in risalto nel migliore dei modi le curve femminili). Chanel ed Hermès (la quintessenza della moda parigina), continuano a soddisfare le esigenze delle più "tradizionali", riguadagnando un po' dell'antico splendore di ciò che è stata l'Haute Couture. Milano (dopo aver strappato la palma di capitale della moda a Venezia, Firenze e Roma), diventa centro del prêt-à-porter. Giorgio Armani disegna vestiti per uomini (ma soprattutto per donne) "manager", producendo abiti sofisticati (ma "alleggeriti"), senza fodere e controfodere. Onnipresente il binomio giacca-tailleur dalle spalle larghe e gonfie, con valigetta porta documenti. Gianni Versace (altro talento tutto italiano) riesce ad attirare l'attenzione internazionale su di sé con il suo lussuoso ma pratico "abbigliamento reale". Diventano famosi stilisti come Missoni, Gianfranco Ferré e Krizia. Il successo di Dolce & Gabbana viene decretato dalla popstar Madonna (anch'essa cultrice dell'aerobica, le diete e le cure di bellezza), entusiasta degli abiti dall'erotismo chic e trasandato, con calze nere e biancheria intima, del duo stilistico italiano.
Designer d'avanguardia, come il parigino Jean-Paul Gautier e l'inglese Vivienne Westwood, trasformano corsetti e giarrettiere in moderni abiti, concepiti per esprimere e risaltare al massimo il dinamismo del corpo umano. Il Giappone (con i suoi stilisti poco apprezzati in patria), si ritrova finalmente (e direi meritatamente) sulle passerelle della moda internazionale. Issey Miyake sfila prima a New York, poi a Parigi, facendo suo il concetto: "Un pezzo di stoffa", ovvero l'idea di un indumento piatto, che ricordi vagamente la struttura tradizionale dell'abbigliamento nipponico; ricopre quindi il corpo con un singolo pezzo di stoffa, creando un interessante spazio tra il corpo stesso ed il tessuto. Verso la fine degli anni Ottanta, disegna un'innovativa linea di abbigliamento a pieghe (piegando il tessuto solo dopo averlo tagliato e cucito), combinando in maniera organicamente perfetta materiali, forme e funzionalità. Qualche anno più tardi, introduce "A-POC", un'etica completamente nuova nel concepire l'abbigliamento del futuro, che propone indumenti di taglia unica dalla forma di un tubo di maglia (cosicché ciascuno possa ritagliarci la sagoma dell'abito che preferisce).
Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto (anche loro giapponesi) sorprendono il mondo occidentale con i loro abiti monocromatici: il motivo del loro successo risiede nel suggerimento, implicitamente contenuto nei loro lavori, che l'abbigliamento internazionale può anche derivare da una cultura non occidentale. Negli Stati Uniti d'America nasce il fenomeno Yuppie (acronimo di Young Urban Professional). Figura rampante e ambiziosa, che lavora spesso in Borsa, ha pochi scrupoli e vuole arricchirsi il più velocemente possibile. Frequenta ambienti chic e ristoranti costosi. Veste italiano (in special modo: Armani e Versace).
In questo ampio scenario, c'è posto poi anche per chi, essendo particolarmente attento alla causa ambientalista (oramai globale), si concentra sugli abiti usati e sull'alta moda che non conosce alcuna produzione in serie. Sulla scia di ciò, Martin Margiela, stilista belga di nascita, che debutta con la sua moda a Parigi, ricicla le sue creazioni e ripresenta sempre gli stessi abiti nelle sue sfilate: proposta (quella del riciclaggio) molto applaudita. Senza alcun dubbio, l'ultima parte del ventesimo secolo, vede trasformarsi lentamente (ma inesorabilmente) il sistema moda in una gigantesca macchina produttiva, mediante l'utilizzo di nuove tecnologie di comunicazione come la TV e Internet (occorre dare un'immagine accattivante del proprio prodotto).
Agli stilisti non resta che attirare l'attenzione seguendo l'esempio delle più sofisticate strategie pubblicitarie. L'abbigliamento perde (gradualmente) d'interesse, cedendo pian piano il passo ad una mera (e spesso eccessiva) esaltazione del corpo.
Fonte immagini: www.tumblr.com.