processo a dio
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La shoah a teatro: al Vida processo a Dio di Stefano Massini

Un successo per lo spettacolo della compagnia “Colpi di Scena”

Uno dei racconti più potenti e lucidi della Shoah che riesce a scavare nei meandri più reconditi e intimi dell'animo umano e del suo rapporto con il divino. "Processo a Dio" di Stefano Massini è l'opera portata in scena al teatro Vida di Gravina dalla compagnia "Colpi di Scena" nel giorno della memoria con diverse repliche in questi giorni – tutte sempre sold out – anche per le scuole.

Siamo in Polonia nell'estate del 1944. Sul palcoscenico rivive l'ultima notte nel padiglione 41 del lager di Majadanek dopo la liberazione da parte dei russi. L'attrice ebrea di Francoforte Elga Firsch incarna le ferite impresse indelebilmente nella sua anima dall'Olocausto e decide di processare Dio per la sua imperdonabile lontananza dalla devastazione che ha colpito il suo popolo. Cinque i capi di imputazione scanditi con forza e senza alcuna esitazione da Elga per gli ebrei ridotti in schiavitù, venduti, massacrati, illusi e traditi. Due giovani della sinagoga, scampati all'eccidio, nel ruolo di giudici. Il rabbino Nachman che prova a garantire la difesa dell'imputato Dio sostenendo le tesi dei testi sacri. Il giovane figlio del rabbino verbalizza gli atti del processo. Un ufficiale tedesco con i suoi lunghi silenzi rappresenta il silenzio di Dio.

Il dramma, reso toccante da video, musiche e canti dal vivo, fa riflettere e in realtà mette alla sbarra l'uomo che ha voluto farsi Dio, colpevole dell'uccisione quotidiana di quel Dio a cui ha sempre voluto sostituirsi invece di aspirare a viverne i valori della fraternità. Al termine dello spettacolo le riflessioni del vescovo della diocesi di Gravina-Altamura-Acquaviva mons. Giuseppe Russo su Dio che lascia libero l'uomo, non interviene nemmeno per salvare suo figlio e del vicesindaco Filippo Ferrante che ha invitato a visitare un luogo simbolo, il Campo 65, il più grande campo di prigionia italiano realizzato tra Gravina e Altamura dove 36 baracche ospitavano fino a 12 mila prigionieri di guerra alleati. Perché l'orrore della guerra – che ancora oggi continua – finisca.

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