Cronaca
Operazione "Gravina": arriva la sentenza definitiva
La Cassazione boccia i ricorsi di 19 imputati. Già eseguiti alcuni ordini di carcerazione.
Gravina - mercoledì 2 gennaio 2013
00.35
In tre si sono visti annullare la condanna, ma soltanto perchè la morte violenta è arrivata prima della giustizia. Tutti gli altri hanno dovuto invece incassare la conferma delle pene comminate al termine del processo di secondo grado. E per alcuni di loro si sono già spalancate le porte del carcere.
S'è chiusa con questo bilancio la storia giudiziaria di "Gravina", l'operazione antimafia che nel 1995, per crimini consumati a partire dagli anni Ottanta, portò in galera o sotto inchiesta quasi un centinaio di persone, accusate a vario titolo di detenzione e spaccio di stupefacenti, fatti di sangue, reati contro il patrimonio, associazione a delinquere di stampo mafioso e considerate affiliate, o comunque vicine, ai presunti clan malavitosi gravitanti - secondo la Dda - attorno alle famiglie Mangione, Matera e Gigante. Il processo di primo grado, celebrato davanti alla Corte d'Assise di Bari, si concluse nel 2006, con molte condanne e diversi patteggiamenti, ma anche qualche assoluzione. In secondo grado, nel 2010, la Corte d'Assise d'Appello confermò parte delle sentenze di prime cure, ma molte altre ne cancellò anche per intervenuta prescrizione, specie con riferimento al capo d'imputazione dell'associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, dopo che già erano caduti, nel merito, gli addebiti legati agli omicidi contestati ad alcuni degli imputati. Nei giorni scorsi, infine, in coda ad una fase giudiziaria trascinatasi per oltre 17 anni, la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha scritto la parola fine.
Ventitrè le posizioni sottoposte al vaglio della Suprema Corte. Per Francesco D'Ambrosio è stato disposto lo stralcio. Deciso invece l'annullamento senza rinvio (per essersi i reati estinti per morte degli imputati) in favore di Bartolomeo D'Ambrosio, il presunto boss altamurano ucciso nel settembre del 2010, e dei gravinesi Nicola Matera e Mario Albergo, assassinati a Gravina l'uno il 5 ottobre scorso, l'altro il 12 novembre. Per tutti gli altri, in Appello condannati a pene oscillanti tra i 18 mesi e i 7 anni, le sentenze passano in giudicato. La Quinta sezione ha infatti dichiarato inammissibili i gravami presentati da Donato Barbara, Antonio e Nicola Chimenti, Giuseppe Dimattia, Augusto Fava, Sabino Loglisci, Nicola Lopane, Mario e Vincenzo Mangione, Francesco Marculli, Donato Stolfa, Mario Tafuno (anch'egli deceduto nelle more della pronuncia della Cassazione), Michele Tedesco. Rigettati altresì i ricorsi formulati per conto e nell'interesse di Ciro Chimenti, Raffaele Foggetta, Vincenzo Dicecca, Giuseppe e Onofrio Gigante, Grazia Puzziferri.
Adesso per alcuni dei condannati in via definitiva i legali sono già al lavoro per richiedere l'applicazione di misure alternative alla detenzione. Per altri, però, si sono aperti i cancelli della casa circondariale di Bari: proprio a ridosso del giorno di san Silvestro i Carabinieri della stazione di Gravina hanno infatti notificato le ordinanze di carcerazione emesse dalla Procura a carico di Raffaele Foggetta, Nicola Lopane e Giuseppe Dimattia. I tre hanno passato il Capodanno dietro le sbarre, ma i loro difensori si dicono certi di poter presto restituire loro la libertà. E già affilano le armi: "Rispettiamo le decisioni della Suprema Corte, ma non possiamo non sottolineare le lungaggini di un processo praticamente infinito", commenta l'avvocato Nicola Cornacchia, difensore di Lopane e Dimattia (il primo condannato a 3 anni di reclusione, il secondo a 5 anni e mezzo). Aggiunge il penalista gravinese: "Verificheremo anzitutto l'esattezza del residuo di pena da scontare, poichè in molti hanno patito periodi di carcerazione cautelare. Valuteremo inoltre la possibilità di accedere a regimi alternativi e di adire la Corte europea". Sulla stessa lunghezza d'onda l'avvocato Francesco Carulli, che col collega Vito Taffarel difende Foggetta: "Diciassette anni di processo, un lungo calvario ed alla fine una condanna ad un anno e mezzo di reclusione: ci rivolgeremo alla Corte europea di Strasburgo".
Intanto, le attenzioni si spostano su un altro processo, quello scaturito dall'operazione "Canto del cigno": in questo caso, le manette scattarono nel 2002. Undici anni dopo, si è superato a malapena lo scoglio delle questioni preliminari ed in dibattimento (naturalmente in primo grado) restano ancora da escutere i collaboratori di giustizia e le decine di testimoni a discarico citati dalle difese.
S'è chiusa con questo bilancio la storia giudiziaria di "Gravina", l'operazione antimafia che nel 1995, per crimini consumati a partire dagli anni Ottanta, portò in galera o sotto inchiesta quasi un centinaio di persone, accusate a vario titolo di detenzione e spaccio di stupefacenti, fatti di sangue, reati contro il patrimonio, associazione a delinquere di stampo mafioso e considerate affiliate, o comunque vicine, ai presunti clan malavitosi gravitanti - secondo la Dda - attorno alle famiglie Mangione, Matera e Gigante. Il processo di primo grado, celebrato davanti alla Corte d'Assise di Bari, si concluse nel 2006, con molte condanne e diversi patteggiamenti, ma anche qualche assoluzione. In secondo grado, nel 2010, la Corte d'Assise d'Appello confermò parte delle sentenze di prime cure, ma molte altre ne cancellò anche per intervenuta prescrizione, specie con riferimento al capo d'imputazione dell'associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, dopo che già erano caduti, nel merito, gli addebiti legati agli omicidi contestati ad alcuni degli imputati. Nei giorni scorsi, infine, in coda ad una fase giudiziaria trascinatasi per oltre 17 anni, la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha scritto la parola fine.
Ventitrè le posizioni sottoposte al vaglio della Suprema Corte. Per Francesco D'Ambrosio è stato disposto lo stralcio. Deciso invece l'annullamento senza rinvio (per essersi i reati estinti per morte degli imputati) in favore di Bartolomeo D'Ambrosio, il presunto boss altamurano ucciso nel settembre del 2010, e dei gravinesi Nicola Matera e Mario Albergo, assassinati a Gravina l'uno il 5 ottobre scorso, l'altro il 12 novembre. Per tutti gli altri, in Appello condannati a pene oscillanti tra i 18 mesi e i 7 anni, le sentenze passano in giudicato. La Quinta sezione ha infatti dichiarato inammissibili i gravami presentati da Donato Barbara, Antonio e Nicola Chimenti, Giuseppe Dimattia, Augusto Fava, Sabino Loglisci, Nicola Lopane, Mario e Vincenzo Mangione, Francesco Marculli, Donato Stolfa, Mario Tafuno (anch'egli deceduto nelle more della pronuncia della Cassazione), Michele Tedesco. Rigettati altresì i ricorsi formulati per conto e nell'interesse di Ciro Chimenti, Raffaele Foggetta, Vincenzo Dicecca, Giuseppe e Onofrio Gigante, Grazia Puzziferri.
Adesso per alcuni dei condannati in via definitiva i legali sono già al lavoro per richiedere l'applicazione di misure alternative alla detenzione. Per altri, però, si sono aperti i cancelli della casa circondariale di Bari: proprio a ridosso del giorno di san Silvestro i Carabinieri della stazione di Gravina hanno infatti notificato le ordinanze di carcerazione emesse dalla Procura a carico di Raffaele Foggetta, Nicola Lopane e Giuseppe Dimattia. I tre hanno passato il Capodanno dietro le sbarre, ma i loro difensori si dicono certi di poter presto restituire loro la libertà. E già affilano le armi: "Rispettiamo le decisioni della Suprema Corte, ma non possiamo non sottolineare le lungaggini di un processo praticamente infinito", commenta l'avvocato Nicola Cornacchia, difensore di Lopane e Dimattia (il primo condannato a 3 anni di reclusione, il secondo a 5 anni e mezzo). Aggiunge il penalista gravinese: "Verificheremo anzitutto l'esattezza del residuo di pena da scontare, poichè in molti hanno patito periodi di carcerazione cautelare. Valuteremo inoltre la possibilità di accedere a regimi alternativi e di adire la Corte europea". Sulla stessa lunghezza d'onda l'avvocato Francesco Carulli, che col collega Vito Taffarel difende Foggetta: "Diciassette anni di processo, un lungo calvario ed alla fine una condanna ad un anno e mezzo di reclusione: ci rivolgeremo alla Corte europea di Strasburgo".
Intanto, le attenzioni si spostano su un altro processo, quello scaturito dall'operazione "Canto del cigno": in questo caso, le manette scattarono nel 2002. Undici anni dopo, si è superato a malapena lo scoglio delle questioni preliminari ed in dibattimento (naturalmente in primo grado) restano ancora da escutere i collaboratori di giustizia e le decine di testimoni a discarico citati dalle difese.