Cronaca
Patrimonio in odor di mafia: scatta la confisca
Beni per 100 milioni di euro confiscati a Raffaele Di Palma. L'operazione eseguita in tutta Italia dai Carabinieri del Ros.
Gravina - venerdì 15 marzo 2013
11.05
Appartamenti, negozi e locali a decine, sparsi in tutta Italia. E poi ancora terreni, imprese edili, conti correnti bancari. Controvalore: 100 milioni di euro. Erano nella disponibilità di Raffaele Di Palma, morto nei mesi scorsi all'età di 61 anni. Adesso sono stati confiscati dallo Stato perchè ritenuti in odor di mafia.
Nella mattinata di oggi i Carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Bari hanno eseguito un decreto di confisca a carico dello scomparso pluripregiudicato gravinese, segnato da precedenti penali per omicidio, estorsione, rapina e associazione per delinquere di tipo mafioso e dagli inquirenti considerato affiliato al clan "Mangione-Gigante-Matera", attivo a Gravina e nell'area murgiana.
Il provvedimento, emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari (composto dai giudici La Malfa, Marrone e Mattiace) su richiesta della Procura barese, ha riguardato beni, spiegano fonti investigative, riconducibili al Di Palma ed a suoi congiunti, direttamente o attraverso prestanomi.
Nello specifico, i sigilli sarebbero stati apposti a 153 unità immobiliari (96 appartamenti e 57 locali commerciali, garage e magazzini) siti a Gravina, Altamura, Turi, Casamassima, Bari, Gallarate (nel varesotto), Monfalcone (in provincia di Gorizia) e Corigliano Calabro (nel cosentino). Nell'elenco figurano poi 6 società di capitali costituite da imprese edilizie, 39 terreni (sparsi tra Altamura, Gravina, Turi e Casamassima), 26 rapporti bancari.
L'indagine patrimoniale, avviata nel settembre del 2010, avrebbe consentito di appurare che il tenore di vita del pregiudicato gravinese, ed il patrimonio nella sua disponibilità, fossero sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati, dovendo per contro ritenersi, si legge nell'atto vergato dai magistrati baresi, "provento di ingenti introiti derivanti da attività illecite, riciclati e reinvestiti attraverso pseudo attività lecite". In particolare, l'inchiesta si era snodata attraverso precedenti ordinanze di sequestro preventivo, che tra il 2011 ed il 2012 avevano portato al blocco giudiziario di 98 unità immobiliari, quattro società, tre auto di grossa cilindrata e otto conti correnti e poi, ancora, di beni ricadenti nel comune di Turi: due società edilizie, conti correnti, 24 unità immobiliari in fase di ultimazione, una società con relativo complesso aziendale composto da 79 immobili, per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro. "Una cronologia - dicono adesso gli inquirenti - che ha permesso di considerare l'attività criminale dell'organizzazione non solo ancora molto attiva sul territorio, ma con una vivace mentalità imprenditoriale che non conosce crisi di mercato, ma soprattutto non conosce crisi di liquidità. Società edilizie che dovendo riciclare denaro sporco sono in grado di competere sul mercato immobiliare a prezzi concorrenziali rispetto agli imprenditori edili onesti". Si sottolinea ancora: "Grazie all'impegno ed alla professionalità dell'amministrazione giudiziaria, coordinata da Gianpaolo Pulieri, che ha cooperato costantemente con il Tribunale di Bari, le aziende edilizie sequestrate sono rimaste attive durante il sequestro, così consentendo non solo il mantenimento dei posti di lavoro, ma anche nuove assunzioni, l'ultimazione degli immobili in corso di costruzione e la consegna delle abitazioni ai privati cittadini che già avevano sottoscritto dei preliminari di acquisto. Sono stati inoltre venduti ulteriori immobili. In tal modo si è pervenuti alla confisca di tutto il denaro ricavato dalle vendite ed è stato incrementato il patrimonio sequestrato con l'acquisto di una ulteriore intera palazzina".
In coda, spazio per un commento sulla capacità imprenditoriale dei clan gravinesi: "Quella di Gravina è un'organizzazione malavitosa di stampo mafioso, fortemente radicata sul territorio, capace non solo di resistere ai continui arresti operati dalle forze dell'ordine nel corso degli anni, su tutte le operazioni antimafia "Gravina" e "Canto del Cigno", ma anche di disporre di ingenti quantitativi di denaro poi riciclati attraverso società finanziarie o società edilizie costituite appositamente o attraverso l'acquisto di lussuosi beni mobili e di prestigiosi immobili. Un patrimonio che la Procura di Bari e la Sezione misure di prevenzione stanno continuamente attaccando nella convinzione che proprio la sottrazione dei beni ai clan malavitosi possa produrre i maggiori risultati sul piano della lotta antimafia. Privando i clan delle risorse economiche si riesce a depotenziare la loro capacità criminale più di quanto possa fare la detenzione in carcere. Le ingenti somme a disposizione, infatti, permettono ai capi clan di reinventarsi come imprenditori che finiscono poi per agire sul mercato con spregiudicatezza, a scapito dei veri imprenditori onesti".
Nella mattinata di oggi i Carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Bari hanno eseguito un decreto di confisca a carico dello scomparso pluripregiudicato gravinese, segnato da precedenti penali per omicidio, estorsione, rapina e associazione per delinquere di tipo mafioso e dagli inquirenti considerato affiliato al clan "Mangione-Gigante-Matera", attivo a Gravina e nell'area murgiana.
Il provvedimento, emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari (composto dai giudici La Malfa, Marrone e Mattiace) su richiesta della Procura barese, ha riguardato beni, spiegano fonti investigative, riconducibili al Di Palma ed a suoi congiunti, direttamente o attraverso prestanomi.
Nello specifico, i sigilli sarebbero stati apposti a 153 unità immobiliari (96 appartamenti e 57 locali commerciali, garage e magazzini) siti a Gravina, Altamura, Turi, Casamassima, Bari, Gallarate (nel varesotto), Monfalcone (in provincia di Gorizia) e Corigliano Calabro (nel cosentino). Nell'elenco figurano poi 6 società di capitali costituite da imprese edilizie, 39 terreni (sparsi tra Altamura, Gravina, Turi e Casamassima), 26 rapporti bancari.
L'indagine patrimoniale, avviata nel settembre del 2010, avrebbe consentito di appurare che il tenore di vita del pregiudicato gravinese, ed il patrimonio nella sua disponibilità, fossero sproporzionati rispetto ai redditi dichiarati, dovendo per contro ritenersi, si legge nell'atto vergato dai magistrati baresi, "provento di ingenti introiti derivanti da attività illecite, riciclati e reinvestiti attraverso pseudo attività lecite". In particolare, l'inchiesta si era snodata attraverso precedenti ordinanze di sequestro preventivo, che tra il 2011 ed il 2012 avevano portato al blocco giudiziario di 98 unità immobiliari, quattro società, tre auto di grossa cilindrata e otto conti correnti e poi, ancora, di beni ricadenti nel comune di Turi: due società edilizie, conti correnti, 24 unità immobiliari in fase di ultimazione, una società con relativo complesso aziendale composto da 79 immobili, per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro. "Una cronologia - dicono adesso gli inquirenti - che ha permesso di considerare l'attività criminale dell'organizzazione non solo ancora molto attiva sul territorio, ma con una vivace mentalità imprenditoriale che non conosce crisi di mercato, ma soprattutto non conosce crisi di liquidità. Società edilizie che dovendo riciclare denaro sporco sono in grado di competere sul mercato immobiliare a prezzi concorrenziali rispetto agli imprenditori edili onesti". Si sottolinea ancora: "Grazie all'impegno ed alla professionalità dell'amministrazione giudiziaria, coordinata da Gianpaolo Pulieri, che ha cooperato costantemente con il Tribunale di Bari, le aziende edilizie sequestrate sono rimaste attive durante il sequestro, così consentendo non solo il mantenimento dei posti di lavoro, ma anche nuove assunzioni, l'ultimazione degli immobili in corso di costruzione e la consegna delle abitazioni ai privati cittadini che già avevano sottoscritto dei preliminari di acquisto. Sono stati inoltre venduti ulteriori immobili. In tal modo si è pervenuti alla confisca di tutto il denaro ricavato dalle vendite ed è stato incrementato il patrimonio sequestrato con l'acquisto di una ulteriore intera palazzina".
In coda, spazio per un commento sulla capacità imprenditoriale dei clan gravinesi: "Quella di Gravina è un'organizzazione malavitosa di stampo mafioso, fortemente radicata sul territorio, capace non solo di resistere ai continui arresti operati dalle forze dell'ordine nel corso degli anni, su tutte le operazioni antimafia "Gravina" e "Canto del Cigno", ma anche di disporre di ingenti quantitativi di denaro poi riciclati attraverso società finanziarie o società edilizie costituite appositamente o attraverso l'acquisto di lussuosi beni mobili e di prestigiosi immobili. Un patrimonio che la Procura di Bari e la Sezione misure di prevenzione stanno continuamente attaccando nella convinzione che proprio la sottrazione dei beni ai clan malavitosi possa produrre i maggiori risultati sul piano della lotta antimafia. Privando i clan delle risorse economiche si riesce a depotenziare la loro capacità criminale più di quanto possa fare la detenzione in carcere. Le ingenti somme a disposizione, infatti, permettono ai capi clan di reinventarsi come imprenditori che finiscono poi per agire sul mercato con spregiudicatezza, a scapito dei veri imprenditori onesti".