Eventi
Salviamo gli affreschi di San Vito
Preoccupanti i primi risultati delle indagini in corso. Fabretti: "Bisogna fare presto".
Gravina - mercoledì 28 novembre 2012
17.00
Come sta il Cristo Pantocratore? "Ha bisogno di un tagliando".
Lo ha detto chiaramente Giuseppe Fabretti (nella foto), direttore dell'Istituto centrale del restauro, nel corso della conferenza organizzata dalla Fondazione Pomarici Santomasi in collaborazione con l'assessorato municipale alla cultura.
Ad una settimana dall'inizio della analisi diagnostiche-conoscitive sullo stato di conservazione degli affreschi della cripta di San Vito Vecchio, rimossi nel 1956 dalla loro sede originaria e ricollocati nel 1968 al piano terra della Fondazione Pomarici Santomasi, dove è stata perfettamente ricostruita una copia della cripta originaria, gli esperti cominciano a raccogliere i primi dati. E i risultati non fanno ben sperare. "Quanto meno, dopo più di quarant'anni dal loro primo restauro, ora bisogna mettere l'intero manufatto in sicurezza", ha detto Fabretti, precisando: "Bisogna fare presto".
In questi giorni sono state eseguite analisi termografiche per rilevare la temperatura degli affreschi e soprattutto individuare le zone della cripta che vengono sottoposte ad un maggiore stress termico - capace con il passare del tempo di rovinare gli affreschi - oltre ad altri accertamenti mirati ad individuare la presenza di umidità nell'intera struttura e soprattutto sotto gli affreschi. Un modus procedendi che Fabretti ha illustrato in ogni dettaglio, prima di procedere a dare notizia "sommariamente dei dati già riscontrati".
In definitiva gli affreschi di San Vito Vecchio sono interessati da ampie zone di degrado originate dal lungo e lento processo di adattamento degli affreschi alla loro sede attuale. Dopo molti anni e con l'evoluzione delle tecniche di studio sulle opere d'arte, si scopre che forse i locali della Fondazione non sono stati una scelta azzeccata per il trasloco: "Stiamo facendo degli studi sulla pavimentazione su cui si poggia la struttura e già dalle prime analisi abbiamo riscontrato una risalita di umidità - ha continuato il direttore dell'istituto nazionale per il restauro - così come la stessa risalita di umidità è stata riscontrata nella parete esterna della cripta". Ricostruita in copia con una struttura in legno ancorata alle mura della Fondazione con dei tiranti di ferro: "Una scelta non ottimale perché il legno è un materiale in continuo movimento e soggetto alle variazioni di umidità e temperatura, quindi l'aver bloccato le strutture di legno impedendo a queste di muoversi può creare un rigonfiamento della struttura sino a far cadere dei pezzi di pittura".
Fabretti, aiutato nella sua analisi da Giuseppe Moro, autore degli interventi eseguiti nel 1956, ha ribadito a più riprese la necessità di avviare con urgenza un'azione di recupero, perché "sebbene non voglia suscitare vespai considerando che i dati non sono ancora definitivi, è chiaro che gli affreschi si stanno rovinando e già ad occhio nudo si vedono le prime fessure che si stanno aprendo causate dall'umidità presente".
Parole vane, quelle del professore, perché in sala si è subito scatenata la polemica tra chi ritiene vergognoso avere aspettato così tanto tempo e chi invece scarica le colpe sul lavori effettuati due anni fa durante il rifacimento del manto stradale, quando furono rimosse le basole proprio in prossimità della Fondazione: "Atti scellerati che sono stati prontamente denunciati al Comune", dicono gli impiegati della Pomarici Santomasi. Diatriba alla quale Fabretti e Moro hanno assistito impotenti, ricordando ai presenti che "non siamo qui per polemizzare ma per risolvere il problema".
Adesso, concluse le ricerche, toccherà al Comune predisporre un piano economico di intervento per salvare il preziosissimo monumento e, come ha detto l'assessore Laura Marchetti durante la serata, "sperare di riportarlo nella sua sede naturale con i finanziamenti previsti nel progetto del Museo dell'Acqua e della Pietra finalizzati a salvare anche la cripta stessa di san Vito Vecchio".
Lo ha detto chiaramente Giuseppe Fabretti (nella foto), direttore dell'Istituto centrale del restauro, nel corso della conferenza organizzata dalla Fondazione Pomarici Santomasi in collaborazione con l'assessorato municipale alla cultura.
Ad una settimana dall'inizio della analisi diagnostiche-conoscitive sullo stato di conservazione degli affreschi della cripta di San Vito Vecchio, rimossi nel 1956 dalla loro sede originaria e ricollocati nel 1968 al piano terra della Fondazione Pomarici Santomasi, dove è stata perfettamente ricostruita una copia della cripta originaria, gli esperti cominciano a raccogliere i primi dati. E i risultati non fanno ben sperare. "Quanto meno, dopo più di quarant'anni dal loro primo restauro, ora bisogna mettere l'intero manufatto in sicurezza", ha detto Fabretti, precisando: "Bisogna fare presto".
In questi giorni sono state eseguite analisi termografiche per rilevare la temperatura degli affreschi e soprattutto individuare le zone della cripta che vengono sottoposte ad un maggiore stress termico - capace con il passare del tempo di rovinare gli affreschi - oltre ad altri accertamenti mirati ad individuare la presenza di umidità nell'intera struttura e soprattutto sotto gli affreschi. Un modus procedendi che Fabretti ha illustrato in ogni dettaglio, prima di procedere a dare notizia "sommariamente dei dati già riscontrati".
In definitiva gli affreschi di San Vito Vecchio sono interessati da ampie zone di degrado originate dal lungo e lento processo di adattamento degli affreschi alla loro sede attuale. Dopo molti anni e con l'evoluzione delle tecniche di studio sulle opere d'arte, si scopre che forse i locali della Fondazione non sono stati una scelta azzeccata per il trasloco: "Stiamo facendo degli studi sulla pavimentazione su cui si poggia la struttura e già dalle prime analisi abbiamo riscontrato una risalita di umidità - ha continuato il direttore dell'istituto nazionale per il restauro - così come la stessa risalita di umidità è stata riscontrata nella parete esterna della cripta". Ricostruita in copia con una struttura in legno ancorata alle mura della Fondazione con dei tiranti di ferro: "Una scelta non ottimale perché il legno è un materiale in continuo movimento e soggetto alle variazioni di umidità e temperatura, quindi l'aver bloccato le strutture di legno impedendo a queste di muoversi può creare un rigonfiamento della struttura sino a far cadere dei pezzi di pittura".
Fabretti, aiutato nella sua analisi da Giuseppe Moro, autore degli interventi eseguiti nel 1956, ha ribadito a più riprese la necessità di avviare con urgenza un'azione di recupero, perché "sebbene non voglia suscitare vespai considerando che i dati non sono ancora definitivi, è chiaro che gli affreschi si stanno rovinando e già ad occhio nudo si vedono le prime fessure che si stanno aprendo causate dall'umidità presente".
Parole vane, quelle del professore, perché in sala si è subito scatenata la polemica tra chi ritiene vergognoso avere aspettato così tanto tempo e chi invece scarica le colpe sul lavori effettuati due anni fa durante il rifacimento del manto stradale, quando furono rimosse le basole proprio in prossimità della Fondazione: "Atti scellerati che sono stati prontamente denunciati al Comune", dicono gli impiegati della Pomarici Santomasi. Diatriba alla quale Fabretti e Moro hanno assistito impotenti, ricordando ai presenti che "non siamo qui per polemizzare ma per risolvere il problema".
Adesso, concluse le ricerche, toccherà al Comune predisporre un piano economico di intervento per salvare il preziosissimo monumento e, come ha detto l'assessore Laura Marchetti durante la serata, "sperare di riportarlo nella sua sede naturale con i finanziamenti previsti nel progetto del Museo dell'Acqua e della Pietra finalizzati a salvare anche la cripta stessa di san Vito Vecchio".