La città
Silos via Spinazzola, i dettagli del progetto
Saranno realizzati appartamenti e locali. Il prospetto non sarà demolito
Gravina - giovedì 4 marzo 2021
9.31
Una discussione che si infiamma, un dibattito vivace che vede da un lato l'indignazione dei difensori ad oltranza del manufatto industriale eretto negli anni quaranta, gridando allo scandalo per la concessione di un autorizzazione a costruire su un potenziale bene di archeologia industriale e dall'altra chi invece in quel silos granaio vede solo un rudere e un ingombrante ed inutile edificio da eliminare.
In mezzo a tutto questo c'è il progetto che in realtà, tranne gli addetti ai lavori, in pochi conoscono. Finora Gravinalife ha riportato i vari punti di vista. Stavolta, senza voler esprimere giudizi di valore, è opportuno riportare quanto è nelle intenzioni dell'impresa che ha proposto l'intervento, nella speranza che le cose poi non cambino in corso d'opera, così come accaduto in altre circostanze.
La Limm, proprietaria dell'edificio, è stata autorizzata a realizzare un progetto di recupero e ristrutturazione dell'immobile, per realizzare, attraverso il piano casa, delle unità abitative.
Quasi 18mila metri cubi di immobile per realizzare locali commerciali, parcheggi interrati e un numero pari a 32 appartamenti residenziali, con alcuni vincoli per l'azienda posti dalla legge che il progetto dell'ingegner Gasparro, ha messo in conto. Un intervento- secondo quanto sostenuto dai proponenti- "in linea con gli obiettivi contenuti nelle linee guida per il 'patto città campagna', in quanto promuove la qualità dell'ambiente urbano periferico contenendo il perimetro urbano da nuove espansioni edilizie e contrasta il consumo di suolo ed è rispettoso degli indirizzi, direttive e raccomandazioni del suddetto patto, poiché è un progetto di rigenerazione urbana rispettoso delle norme sull'abitare sostenibile".
Innanzitutto, secondo quanto previsto dal progetto, non verrà intaccato il prospetto dell'edificio, del quale non è prevista la totale demolizione.
Infatti, si legge nella relazione tecnica- "l'intervento ipotizzato prevede un progetto di restauro, di ristrutturazione edilizia e di rifunzionalizzazione (intervento non di nuova costruzione), senza consumare nuovo suolo per destinarlo alla edificazione. La struttura intelaiata in cemento armato che definisce e scandisce ritmicamente i prospetti principali del manufatto in disuso, sarà conservata, così come sarà conservata e recuperata l'intera scatola muraria che definisce il perimetro delle facciate". Quindi, secondo quanto affermano dalla proprietà dell'immobile, non verranno aumentate le cubature, con i nuovi spazi interni progettati che rispettano le aperture esistenti.
Il progetto non prevede la realizzazione di nuovi balconi, di pensiline o altri elementi a sbalzo, ma intende conservare e riportare allo stato originario tutti gli elementi decorativi esistenti ed ogni altro elemento della facciata che assume valore storico o ambientale, che fanno parte integrante dell'organismo edilizio, come ad esempio cornici, davanzali, marcapiani, fregi, cornicioni, modanature, riquadrature, ecc.. Inoltre, nell'area circostante sono previsti circa 2700 mq di area da destinarsi a parcheggi di superficie e verde.
Sulla questione che riguarda, invece, la sussistenza di opera di interesse archeologico industriale, da più parti sollevata, la società ha ribadito che non ci sono in tal senso alcune indicazioni.
"L'immobile di proprietà della società proponente l'intervento non risulta, ad oggi, un 'bene di archeologia industriale' ai sensi dell'art.10, comma 3, del D. Lgs. n.42/2004, non sussistendo alcuna dichiarazione dell'interesse culturale ex art.13 D. Lgs. n.42/2004 e non risultano formulazioni di misure a sostegno della qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio e di salvaguardia, conservazione e fruizione del patrimonio di archeologia industriale"- è scritto nella relazione generale, dove si afferma che "non risulta essere stata effettuata, dalle amministrazioni statali, enti locali e altri soggetti pubblici e privati, una ricognizione, censimento e catalogazione scientifica del patrimonio di archeologia e architettura industriale e rurale necessaria a dimostrare un intrinseco e attuale pregio dell'opera (silos-granario in Gravina in Puglia), tale da attingere la soglia dell'interesse particolarmente importante". Insomma, a detta dell'impresa, non sussistono ragioni per non poter rilasciare il permesso di costruzione.
Questa è la proposta approvata dall'ufficio tecnico del Comune.
Poi, ovviamente, si apre la discussione. Può piacere o meno, ma a questo punto, sembra che per i difensori stenui dell'immobile non resterebbe che recriminare per quanto si sarebbe potuto fare in passato per recuperare l'edificio, rendendolo un contenitore culturale, ed invece non si è fatto. Per buona pace di chi, invece, plaude all'iniziativa privata che porterà nuova linfa economica nella città, dando un senso di esistenza ad un edificio reso dal tempo poco più di un rudere.
In mezzo a tutto questo c'è il progetto che in realtà, tranne gli addetti ai lavori, in pochi conoscono. Finora Gravinalife ha riportato i vari punti di vista. Stavolta, senza voler esprimere giudizi di valore, è opportuno riportare quanto è nelle intenzioni dell'impresa che ha proposto l'intervento, nella speranza che le cose poi non cambino in corso d'opera, così come accaduto in altre circostanze.
La Limm, proprietaria dell'edificio, è stata autorizzata a realizzare un progetto di recupero e ristrutturazione dell'immobile, per realizzare, attraverso il piano casa, delle unità abitative.
Quasi 18mila metri cubi di immobile per realizzare locali commerciali, parcheggi interrati e un numero pari a 32 appartamenti residenziali, con alcuni vincoli per l'azienda posti dalla legge che il progetto dell'ingegner Gasparro, ha messo in conto. Un intervento- secondo quanto sostenuto dai proponenti- "in linea con gli obiettivi contenuti nelle linee guida per il 'patto città campagna', in quanto promuove la qualità dell'ambiente urbano periferico contenendo il perimetro urbano da nuove espansioni edilizie e contrasta il consumo di suolo ed è rispettoso degli indirizzi, direttive e raccomandazioni del suddetto patto, poiché è un progetto di rigenerazione urbana rispettoso delle norme sull'abitare sostenibile".
Innanzitutto, secondo quanto previsto dal progetto, non verrà intaccato il prospetto dell'edificio, del quale non è prevista la totale demolizione.
Infatti, si legge nella relazione tecnica- "l'intervento ipotizzato prevede un progetto di restauro, di ristrutturazione edilizia e di rifunzionalizzazione (intervento non di nuova costruzione), senza consumare nuovo suolo per destinarlo alla edificazione. La struttura intelaiata in cemento armato che definisce e scandisce ritmicamente i prospetti principali del manufatto in disuso, sarà conservata, così come sarà conservata e recuperata l'intera scatola muraria che definisce il perimetro delle facciate". Quindi, secondo quanto affermano dalla proprietà dell'immobile, non verranno aumentate le cubature, con i nuovi spazi interni progettati che rispettano le aperture esistenti.
Il progetto non prevede la realizzazione di nuovi balconi, di pensiline o altri elementi a sbalzo, ma intende conservare e riportare allo stato originario tutti gli elementi decorativi esistenti ed ogni altro elemento della facciata che assume valore storico o ambientale, che fanno parte integrante dell'organismo edilizio, come ad esempio cornici, davanzali, marcapiani, fregi, cornicioni, modanature, riquadrature, ecc.. Inoltre, nell'area circostante sono previsti circa 2700 mq di area da destinarsi a parcheggi di superficie e verde.
Sulla questione che riguarda, invece, la sussistenza di opera di interesse archeologico industriale, da più parti sollevata, la società ha ribadito che non ci sono in tal senso alcune indicazioni.
"L'immobile di proprietà della società proponente l'intervento non risulta, ad oggi, un 'bene di archeologia industriale' ai sensi dell'art.10, comma 3, del D. Lgs. n.42/2004, non sussistendo alcuna dichiarazione dell'interesse culturale ex art.13 D. Lgs. n.42/2004 e non risultano formulazioni di misure a sostegno della qualità delle opere di architettura e di trasformazione del territorio e di salvaguardia, conservazione e fruizione del patrimonio di archeologia industriale"- è scritto nella relazione generale, dove si afferma che "non risulta essere stata effettuata, dalle amministrazioni statali, enti locali e altri soggetti pubblici e privati, una ricognizione, censimento e catalogazione scientifica del patrimonio di archeologia e architettura industriale e rurale necessaria a dimostrare un intrinseco e attuale pregio dell'opera (silos-granario in Gravina in Puglia), tale da attingere la soglia dell'interesse particolarmente importante". Insomma, a detta dell'impresa, non sussistono ragioni per non poter rilasciare il permesso di costruzione.
Questa è la proposta approvata dall'ufficio tecnico del Comune.
Poi, ovviamente, si apre la discussione. Può piacere o meno, ma a questo punto, sembra che per i difensori stenui dell'immobile non resterebbe che recriminare per quanto si sarebbe potuto fare in passato per recuperare l'edificio, rendendolo un contenitore culturale, ed invece non si è fatto. Per buona pace di chi, invece, plaude all'iniziativa privata che porterà nuova linfa economica nella città, dando un senso di esistenza ad un edificio reso dal tempo poco più di un rudere.