Territorio
Una storia di ordinario spreco: la diga (fantasma) di Capodacqua
Fondi pubblici, colate di cemento e deturpamento ambientale nel territorio murgiano
Murgia - venerdì 20 gennaio 2012
17.00
Se non avete mai sentito parlare della diga di Capodacqua non preoccupatevi, non affrettatevi a cercare questa parola su Google. Non state peccando di ignoranza. Questa diga, semplicemente, non è mai esistita, se non nel progetto del Consorzio di Bonifica Appulo-Lucano che, all'inizio degli anni '90, aveva previsto una serie di opere idriche lungo il costone meridionale dell'Alta Murgia.
L'unica tangibile eredità lasciata al territorio da questa opera fantasma, tralasciando gli intuibili strascichi legali, consiste in quattro invasi artificiali situati nel bel mezzo del Parco dell'Alta Murgia. Passeggiando nei pressi di Lamatorta, Jazzo Filieri, Jazzo di Cristo e Jazzo Fornasieri (territori comunali di Poggiorsini, Gravina e Spinazzola) è facile imbattersi in questi iniqui specchi d'acqua. No, non si tratta delle tanto desiderate piscine comunali. Al contrario, essi fanno parte di un complesso di costruzioni che prevede 22,5 chilometri di canali in calcestruzzo a monte, 26,3 chilometri a valle, 500 briglie di contenimento, strade, ponti, parco eolico; il tutto al modico costo di 118 miliardi del vecchio conio. Fondi pubblici, naturalmente.
Nonostante la zona interessata dalla costruzione rappresenti un habitat perfetto per una varietà di piante erbacee ed arbustive e per circa novanta specie di uccelli nidificanti al suolo e nonostante i vincoli paesaggistici, l'intervento della Soprintendenza archeologica di Taranto riuscì ad impedire solamente la costruzione del quinto invaso presso Vallone della Lama-Garagnone, poiché, in zona, affiorarono reperti archeologici pertinenti all'età del bronzo finale. Nel 1998 è intervenuta anche la magistratura ad indagare su una presunta tangente da mezzo miliardo versata per l'assegnazione degli appalti. Tre le condanne inflitte dal Tribunale di Bari per concorso in corruzione aggravata.
Oggi, a più di vent'anni dalla costruzione, gli invasi risultano essere in uno stato di totale abbandono, preda di furti e di atti vandalici, nonché della "reazione" della natura che, lentamente, si sta riappropriando dell'area sottrattale dalla scelleratezza umana.
L'unica tangibile eredità lasciata al territorio da questa opera fantasma, tralasciando gli intuibili strascichi legali, consiste in quattro invasi artificiali situati nel bel mezzo del Parco dell'Alta Murgia. Passeggiando nei pressi di Lamatorta, Jazzo Filieri, Jazzo di Cristo e Jazzo Fornasieri (territori comunali di Poggiorsini, Gravina e Spinazzola) è facile imbattersi in questi iniqui specchi d'acqua. No, non si tratta delle tanto desiderate piscine comunali. Al contrario, essi fanno parte di un complesso di costruzioni che prevede 22,5 chilometri di canali in calcestruzzo a monte, 26,3 chilometri a valle, 500 briglie di contenimento, strade, ponti, parco eolico; il tutto al modico costo di 118 miliardi del vecchio conio. Fondi pubblici, naturalmente.
Nonostante la zona interessata dalla costruzione rappresenti un habitat perfetto per una varietà di piante erbacee ed arbustive e per circa novanta specie di uccelli nidificanti al suolo e nonostante i vincoli paesaggistici, l'intervento della Soprintendenza archeologica di Taranto riuscì ad impedire solamente la costruzione del quinto invaso presso Vallone della Lama-Garagnone, poiché, in zona, affiorarono reperti archeologici pertinenti all'età del bronzo finale. Nel 1998 è intervenuta anche la magistratura ad indagare su una presunta tangente da mezzo miliardo versata per l'assegnazione degli appalti. Tre le condanne inflitte dal Tribunale di Bari per concorso in corruzione aggravata.
Oggi, a più di vent'anni dalla costruzione, gli invasi risultano essere in uno stato di totale abbandono, preda di furti e di atti vandalici, nonché della "reazione" della natura che, lentamente, si sta riappropriando dell'area sottrattale dalla scelleratezza umana.