IL BARBIERE - u varevjiere
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Mestieri e società

IL BARBIERE - u varevjiere

Rubrica "Mestieri e società" a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli

Il mestiere di Figaro è tornato in auge a giudicare dalle nuove sale da barba che, attraverso le ampie vetrate, offrono agli sguardi dei passanti le teste dei ragazzi sul punto di essere rasate e scolpite dalle mani abili dei barbieri, ragazzi anche loro, sempre aggiornati sulle ultime tendenze in fatto di capelli. Non si tratta più di accorciare e riordinare i pagliericci scomposti dei guaglioni, ma di conferire ad essi il look più conformista, in linea con i modelli globalizzati che puoi riscontrare ormai in ogni parte del mondo. Per marcare lo scarto fra tale realtà e quella del tempo che fu, vorremmo cominciare dalla descrizione di una foto, probabilmente risalente agli anni Sessanta, che ritrae l'ingresso di una barberia in piazza Bruno Buozzi a Gravina. L'immagine in bianco e nero ha fissato la porta d'ingresso tutta di legno laccato di beige e marrone, due ante aperte fino al muro e una vetrina interna munita di una tendina a fili di plastica che proteggeva dalle mosche e dalla vista degli estranei. Sull'uscio della bottega sono in posa i protagonisti della nostra storia: il maestro barbiere Michele Bellino e il barbiere in seconda - entrambi in camice bianco con collo hawaiano – un cliente sorridente appena sbarbato che finisce di abbottonare la camicia, un ospite occhialuto che spunta tra i fili della tendina. Ultimi, seduti sui gradini della porta, due piccoli garzoni anche loro col camice, sorriso sulla bocca, pantaloncini corti e calzini ben in vista che escono dalle scarpe fino al polpaccio.

Una scena eduardiana, si direbbe, in quanto rappresenta un esempio della società italiana di quegli anni. Fatta eccezione per i due avventori, l'organico dei quattro personaggi in camice era quello classico di ogni barberia. Il nostro barbiere Michele Bellino ha superato ormai le ottantotto primavere. Vedovo di Rita Gigante, può contare sull'affetto e l'attenzione dei suoi due figli Anna e Nicola. Ha lavorato dall'età di tredici anni fino al 2010 nel suo salone in affitto di piazza Buozzi e, in seguito, nel locale acquistato in via Pasquale Cassese. Si alzava tutte le mattine alle otto per recarsi nel suo salone, che ripuliva da cima a fondo, lucidando le vetrine e gli specchi, spolverando mensole e poltrone, ordinando gli attrezzi del mestiere. Il rasoio a lama fissa - affilato personalmente strofinandolo sulla strappa di cuoio - fu in seguito sostituito dal più moderno rasoio a lame intercambiabili. Esso costituiva lo strumento principale per radere la barba e rifinire basette e mascagna. Quindi disponeva di varie forbici con punte e lunghezze diverse a seconda che dovessero tagliare i capelli o i peli nel naso e nelle orecchie; disponeva di pennelli, pennellesse, spazzole e pettini, una pompetta di gomma per spruzzare il dopobarba sulle guance, un batuffolo di cotone per cospargere - con una nuvola di borotalco – il collo del cliente e l'immancabile allume per disinfettare graffi e ferite. Dopo questi preparativi, si metteva a sedere dietro i vetri della porta di accesso e aspettava l'arrivo dei clienti.

Le giornate non erano tutte impegnative, ma soprattutto il sabato riusciva a servire una trentina di paesani. Lavorava anche la domenica per consentire agli agricoltori di mettere a posto la testa che, a sentire loro, era stata immersa tutta la settimana, senza tregua, nelle fatiche dei campi. A fine giornata si presentavano, ahimè, i camionisti i quali chiudevano per ultimi la catena produttiva del paese con il trasporto dei materiali.
Bellino serviva clienti di tutte le categorie sociali, sia gli agricoltori che gli artigiani. Compresi i liberi professionisti e i politici, come il sen. Ing. Onofrio Petrara cui tagliò i capelli persino quando andò per la prima volta a Roma in parlamento appena eletto. Anche i preti - sia pure con una innata discrezione - frequentavano il salone del nostro barbiere, come don Saverio Paternoster e don Michele Colangelo. L'acconciatura maschile classica era fatta con i capelli abbastanza corti e la sfumatura alta sulla nuca. Gli uomini portavano quasi tutti i baffi che bisognava modellare e accorciare periodicamente. Coloro che si fermavano in campagna tutta la settimana, si presentavano il sabato o la domenica con la barba lunga.

L' afflusso di clienti è cresciuto a cominciare dagli anni Cinquanta man mano che la situazione economica migliorava, grazie alla ricostruzione e allo sviluppo. Negli anni di povertà, i clienti pagavano soltanto alla scadenza del mese, quando potevano, oppure si sdebitavano con il grano a fine raccolta. Di denari ne circolavano pochi.
Dal nostro punto di vista la sala da barba costituiva un piccolo osservatorio installato, in pieno centro storico, sull'andamento delle questioni politiche e sociali di quella temperie che registrò il passaggio da condizioni di arretratezza a stili di vita orientati al benessere. Dalla bottega di Bellino si aveva modo di seguire i numerosi e agitati comizi elettorali, giacché quelle piazze ospitavano le sedi di tutti i partiti dell'epoca. Anni di rivolte sociali quelli di fine Quaranta.
Il 20 novembre 1947 il maestro Colètte Brescia dovette chiudere la sua barberia per sicurezza e invitò il giovane garzone Michele Bellino a tornarsene a casa. Michele, invece, fu bloccato dall'assalto all'albergo Lombardi effettuato dal corteo dei comunisti in sciopero a causa dell'uccisione del compagno Ignazio Labbadessa. Vide con i suoi occhi mobili e suppellettili volare dal balcone di quel palazzo. Pensare che quel brav'uomo di Vito Guida, Vetucce u palasjiedde, potesse aver organizzato quel saccheggio gli suonava piuttosto incredibile.
Ma il salone di Bellino, come tutte le altre barberie, era anche un circolo dove, soprattutto il fine settimana, si discuteva principalmente di calcio e di donne e abbondavano pettegolezzi e dicerie. Infatti, non mancavano temi di discussione a proposito, ad esempio, di adulteri e di ammazzamenti vari. Erano molti i barbieri del paese che avevano la sala da barba nelle piazze del centro storico o nelle immediate vicinanze: Luigi Puzziferri con il suo giovanissimo garzone Tonino Moliterno, Felice Gramegna, Michele Laiso, Donato Bellocchio, Salvatore Fragassi, Michele Nardiello, Michele Colonna, detto Calzùlidde che aveva le sanguisughe, Michele Evangelista, Francesco Zingariello, ed infine lo stesso suo primo garzone della bottega Vincenzo Moliterni classe 1948.

Era un lavoro di tutto rispetto, svolto assieme ad altre attività, come le onoranze funebri, la consegna di inviti e partecipazioni nuziali, la biglietteria e i documenti per i viaggi aerei o navali per l'America. Costituivano persino le orchestrine per i matrimoni e le feste danzanti, anche perché molti barbieri sapevano suonare uno strumento. Inoltre sapevano praticare il salasso, mediante sanguisughe, e cavare i denti. Un tempo esisteva il barbiere da strada, che possedeva soltanto una bicicletta, portava con sé vecchi utensili, con tanto di annaffiatoio e un recipiente smaltato come lavandino. Utensili vecchi e obsoleti, ma che riuscivano a fare un ottimo lavoro anche allora, offrendo la possibilità ai nostri nonni di andare in giro belli, profumati e ordinati. E i bambini si usava rasarli per strada.
Davanti a la putè du varevjiere tutti rallentavano il passo per poter scrutare all'interno il cavalluccio dove montavano i più piccoli per farsi tagliare i capelli, gli specchi enormi, le grandi poltrone sistemate davanti allo specchio e i calendari a muro con la foto degli attori famosi. Le indicazioni su come tagliare i capelli ai bambini venivano fornite dai genitori: venivano quasi sempre semi-rasati, al fine di non tornare in breve tempo.
In occasione delle festività natalizie, si offrivano alla clientela i calendarietti tascabili profumati, con immagini di ragazze scollacciate. E le mance erano assicurate. Il turno di chiusura delle sale da barba era sempre di lunedì, quando il paese si spopolava. Il tempo passava piacevolmente dal barbiere, nell'attesa del proprio turno, giocando a carte in un angolo e chiacchierando. Un tempo, in tutte le botteghe dei barbieri, un garzone aveva il compito di spazzolare le giacche dei clienti con una scopetta, al fine di rimuovere eventuali capelli. Il lavoro veniva fatto con cura, fino a quando il cliente non tirava fuori dalla tasca una discreta mancia.

Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Illustrazione di Marilena Paternoster.
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a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli

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