Mestieri e società
IL CALDERAIO - u calarere
Rubrica "Mestieri e società" a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli
sabato 25 gennaio 2025
I calderai producevano oggetti in rame, maggiormente arnesi da cucina: la calloire, u scola paste, la sartàscene, la frascêre. Alcuni di questi oggetti venivano rifiniti in stagno, per evitare che si arrugginissero col tempo. Il calderaio fabbricava e riparava soprattutto caldaie e pentole. Un mestiere molto antico quello del calderaio legato dall'antichità alla scoperta dell'uso dei metalli nella vita quotidiana. Era un mestiere che necessitava, oltre che di una buona forza fisica, anche di molta pazienza; la buona riuscita di un oggetto di rame dipendeva essenzialmente da come era stato lavorato. Il calderaio, mentre lavorava, faceva molto rumore, un rumore assordante e continuo, prodotto dalla battitura del martello sul foglio di rame. Perciò le botteghe dei calderai erano poste in luoghi ben distanti dalle abitazioni.
Questi artigiani adoperavano strumenti necessari a riparare le pentole in rame e il loro lavoro era particolarmente apprezzato dalle famiglie. Entrando nelle botteghe dei calderai ciò che colpiva di più era il grande numero di martelli; il rame veniva acquistato sotto forma di foglio, da cui con l'utilizzo di martelli fuori dal comune, per la loro forma, gli artigiani ricavavano magnifici manufatti. Il calderaio o ramaio esponeva i propri lavori anche in fiere e mercati; gli oggetti con una bella lucidatura acquistavano la coloritura ramata.
Gli oggetti lavorati dal calderaio venivano appesi in cucina, a bella vista. Si appendevano ai chiodi di un telaio rettangolare di legno appeso alla parete. Oggi quei vecchi recipienti sono stati sostituiti dalle pentole di acciaio inossidabile. D'inverno gli artigiani lavoravano all'interno della bottega. Ma, appena arrivava la primavera, con il primo sole caldo, portavano fuori la fornace per lavorare. A volte succedeva che una caldaia si sfondava o si ammaccava in più punti sia per qualche caduta che per il troppo uso. I calderai intervenivano per rimetterla a nuovo. Se era rotta ci voleva una pezza che ricavavano da una caldaia vecchia o in disuso e che, con i chiodini, applicavano dalla parte esterna. Per sagomarla, poi, la mettevano sulla fiamma dei carboni accesi nella fornace, la giravano e rigiravano finché la parte da riparare si arroventava al punto da poter essere lavorata comodamente, essendo la lamiera divenuta malleabile. Le pentole vecchie erano nere di fuliggine e i calderai, di conseguenza, non potevano non sporcarsi le mani e con esse il naso, la fronte e il fazzoletto. C'erano famiglie numerose che, per evitare la rottura del piatto in terracotta e le ripetute riparazioni, ne usavano uno di metallo smaltato di grandi dimensioni, dal quale genitori e figli seduti attorno al tavolo mangiavano insieme.
Lo stagnino riparava non solo le pentole d'uso quotidiano, ma anche grossi recipienti alti quasi mezzo metro dentro cui i pastori scaldavano il latte per fare ricotta, mozzarelle, caciocavalli. E tale lavoro spesso veniva eseguito a domicilio, cioè direttamente nelle masserie dove si producevano il latte e suoi derivati. Bei ricordi. Ricordi d'altri tempi, che ci aiutano a riflettere sulle ristrettezze della vita e sullo spirito di sacrificio dei nostri antenati. Certo, loro avevano il senso del sacrificio.
Giovanni Antico (1920 - 1982) era chiamato mèste Giuànne u calarere ed era un artigiano molto conosciuto e apprezzato in tutto il paese sia per l'abilità con la quale fabbricava e riparava gli oggetti di rame o di altri metalli sia per la cordialità che metteva nel trattare i clienti della bottega. Dopo la scomparsa della prima moglie, dalla quale ebbe il figlio Vittorio sposò in seconde nozze Rosa Tufo originaria di San Mauro Forte, comune del materano che probabilmente rientrava nel giro delle località viciniori visitate per svolgere il commercio ambulante. Fu l'attività commerciale a fare da complemento al mestiere di calderaio per rafforzare la capacità di guadagno. Di fatti anche Rosa e Vittorio hanno esercitato il commercio di articoli per la casa. Dal secondo matrimonio nacquero Antonietta e Maria Concetta. Mastro Giovanni, che apprese il mestiere dal padre Vittorio Emanuele, ha lavorato il rame dal 1936 fino all'anno della morte, avvenuta inaspettatamente a causa dei postumi di un intervento chirurgico malriuscito.
Vittorio Antico (1949) è stato intervistato il 14 febbraio 2023 in via Vittorio Veneto n. 3 - Gravina in Puglia. L'avvio non fu certo dei più agevoli, in quanto l'officina in via Maurizio Lettieri, a ridosso dello scalone che scende verso il ponte acquedotto, era un buco di appena un metro e settanta per ottanta centimetri di larghezza; l'artigiano era perciò obbligato ad allargarsi sul marciapiede per lavorare. L'abitazione non era tanto distante, nel quartiere di San Nicola. In ogni caso, in quel posto stagnava, riparava le pompe a spalla di rame per irrorare le coltivazioni, costruiva le caldaie nuove per le cucine a legna fino a quando queste furono richieste per le esigenze familiari. Comprava il forgiato dalle fonderie di Caserta e Teano, compensandone il prezzo con la cessione delle caldaie vecchie da rottamare. Per la lavorazione si veniva a contatto con il carbone della forgia e con gli acidi che erano dannosi per la salute. Si utilizzavano martelli e pali e si producevano, oltre alle tipiche caldaie di rame, i tegami, le padelle e i bracieri dello stesso materiale o di ottone, i contenitori cilindrici in banda stagnata per l'olio. Molti di questi oggetti, a prevalente uso domestico, sono stati da tempo accantonati e sostituiti da altri utensili di diverso materiale. Qualcuno di essi è però sopravvissuto tra i cimeli che arredano e decorano le case, come il braciere con la cupola d'ottone traforata e finemente lavorata, che oggi raggiunge per gli appassionati una quotazione piuttosto alta.
La caldaia all'interno veniva stagnata per protezione, come già detto, dalla ruggine. Peraltro questo rivestimento consentiva una più lunga conservazione della temperatura e una migliore cottura dei cibi, che avevano un sapore diverso. Oggi i calderoni in rame e in acciaio di buona qualità si vendono ai casari. Il lavoro nella bottega era senza orari prestabiliti, dalle sette della mattina fino all'ultimazione delle lavorazioni programmate e ciò era possibile, in quanto non si assumevano operai terzi. Si faceva tutto in famiglia. Il padre Giovanni e il figlio Vittorio erano gli unici a lavorare in bottega. Una giornata di lavoro, fino agli anni settanta, consentiva un guadagno di appena mille lire. Vittorio imparò da ragazzo il mestiere da suo padre, ma per lui si trattava di una occupazione molto dura e poco proficua, oltre che a rischio di sviluppare malattie polmonari per via dell'acido. Pertanto doveva darsi un'alternativa.
Infatti, alla fine del servizio militare nel 1971, pensò di comprare delle casse da morto a Susegana (Treviso) per piazzarle poi nel suo paese. Fu così che intraprese l'attività di pompe funebri, che avrebbe accompagnato quella di calderaio. In seguito, la bottega artigiana dovette definitivamente cessare e Vittorio si dedicò al commercio di casalinghi fino al 2011. Nessuno dei suoi figli ha mai mostrato interesse per quell'antico mestiere, che nel passato rispondeva alle esigenze dei clienti di ogni ceto sociale. A Gravina, oltre alla bottega di mastro Giovanni, c'era quella di Domenico Lapolla nei pressi della villa comunale a breve distanza dalla torre dell'orologio. Per coincidenza anche il figlio di questi gestisce una fiorente attività di pompe funebri.
L'aumento del prezzo del rame ha comportato ormai una crisi irreversibile nel comparto delle lavorazioni tradizionali. Il rame è un metallo molto richiesto nelle attività industriali, in quanto è il migliore conduttore di calore e di elettricità, perciò è ampiamente utilizzato nelle apparecchiature elettriche e nei macchinari industriali. Da ultimo il rame è diventato un materiale sempre più necessario per il cablaggio degli edifici ed è destinato a fare la parte del protagonista nella transizione energetica. Bisogna aggiungere anche che esiste una sola nazione al mondo, il Cile, che possiede le più grandi miniere di rame che sono situate lungo la Cordigliera delle Ande. Di conseguenza il prezzo del rame è diventato uno dei principali indicatori dello sviluppo economico globale.
Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Illustrazione di Marilena Paternoster.
Questi artigiani adoperavano strumenti necessari a riparare le pentole in rame e il loro lavoro era particolarmente apprezzato dalle famiglie. Entrando nelle botteghe dei calderai ciò che colpiva di più era il grande numero di martelli; il rame veniva acquistato sotto forma di foglio, da cui con l'utilizzo di martelli fuori dal comune, per la loro forma, gli artigiani ricavavano magnifici manufatti. Il calderaio o ramaio esponeva i propri lavori anche in fiere e mercati; gli oggetti con una bella lucidatura acquistavano la coloritura ramata.
Gli oggetti lavorati dal calderaio venivano appesi in cucina, a bella vista. Si appendevano ai chiodi di un telaio rettangolare di legno appeso alla parete. Oggi quei vecchi recipienti sono stati sostituiti dalle pentole di acciaio inossidabile. D'inverno gli artigiani lavoravano all'interno della bottega. Ma, appena arrivava la primavera, con il primo sole caldo, portavano fuori la fornace per lavorare. A volte succedeva che una caldaia si sfondava o si ammaccava in più punti sia per qualche caduta che per il troppo uso. I calderai intervenivano per rimetterla a nuovo. Se era rotta ci voleva una pezza che ricavavano da una caldaia vecchia o in disuso e che, con i chiodini, applicavano dalla parte esterna. Per sagomarla, poi, la mettevano sulla fiamma dei carboni accesi nella fornace, la giravano e rigiravano finché la parte da riparare si arroventava al punto da poter essere lavorata comodamente, essendo la lamiera divenuta malleabile. Le pentole vecchie erano nere di fuliggine e i calderai, di conseguenza, non potevano non sporcarsi le mani e con esse il naso, la fronte e il fazzoletto. C'erano famiglie numerose che, per evitare la rottura del piatto in terracotta e le ripetute riparazioni, ne usavano uno di metallo smaltato di grandi dimensioni, dal quale genitori e figli seduti attorno al tavolo mangiavano insieme.
Lo stagnino riparava non solo le pentole d'uso quotidiano, ma anche grossi recipienti alti quasi mezzo metro dentro cui i pastori scaldavano il latte per fare ricotta, mozzarelle, caciocavalli. E tale lavoro spesso veniva eseguito a domicilio, cioè direttamente nelle masserie dove si producevano il latte e suoi derivati. Bei ricordi. Ricordi d'altri tempi, che ci aiutano a riflettere sulle ristrettezze della vita e sullo spirito di sacrificio dei nostri antenati. Certo, loro avevano il senso del sacrificio.
Giovanni Antico (1920 - 1982) era chiamato mèste Giuànne u calarere ed era un artigiano molto conosciuto e apprezzato in tutto il paese sia per l'abilità con la quale fabbricava e riparava gli oggetti di rame o di altri metalli sia per la cordialità che metteva nel trattare i clienti della bottega. Dopo la scomparsa della prima moglie, dalla quale ebbe il figlio Vittorio sposò in seconde nozze Rosa Tufo originaria di San Mauro Forte, comune del materano che probabilmente rientrava nel giro delle località viciniori visitate per svolgere il commercio ambulante. Fu l'attività commerciale a fare da complemento al mestiere di calderaio per rafforzare la capacità di guadagno. Di fatti anche Rosa e Vittorio hanno esercitato il commercio di articoli per la casa. Dal secondo matrimonio nacquero Antonietta e Maria Concetta. Mastro Giovanni, che apprese il mestiere dal padre Vittorio Emanuele, ha lavorato il rame dal 1936 fino all'anno della morte, avvenuta inaspettatamente a causa dei postumi di un intervento chirurgico malriuscito.
Vittorio Antico (1949) è stato intervistato il 14 febbraio 2023 in via Vittorio Veneto n. 3 - Gravina in Puglia. L'avvio non fu certo dei più agevoli, in quanto l'officina in via Maurizio Lettieri, a ridosso dello scalone che scende verso il ponte acquedotto, era un buco di appena un metro e settanta per ottanta centimetri di larghezza; l'artigiano era perciò obbligato ad allargarsi sul marciapiede per lavorare. L'abitazione non era tanto distante, nel quartiere di San Nicola. In ogni caso, in quel posto stagnava, riparava le pompe a spalla di rame per irrorare le coltivazioni, costruiva le caldaie nuove per le cucine a legna fino a quando queste furono richieste per le esigenze familiari. Comprava il forgiato dalle fonderie di Caserta e Teano, compensandone il prezzo con la cessione delle caldaie vecchie da rottamare. Per la lavorazione si veniva a contatto con il carbone della forgia e con gli acidi che erano dannosi per la salute. Si utilizzavano martelli e pali e si producevano, oltre alle tipiche caldaie di rame, i tegami, le padelle e i bracieri dello stesso materiale o di ottone, i contenitori cilindrici in banda stagnata per l'olio. Molti di questi oggetti, a prevalente uso domestico, sono stati da tempo accantonati e sostituiti da altri utensili di diverso materiale. Qualcuno di essi è però sopravvissuto tra i cimeli che arredano e decorano le case, come il braciere con la cupola d'ottone traforata e finemente lavorata, che oggi raggiunge per gli appassionati una quotazione piuttosto alta.
La caldaia all'interno veniva stagnata per protezione, come già detto, dalla ruggine. Peraltro questo rivestimento consentiva una più lunga conservazione della temperatura e una migliore cottura dei cibi, che avevano un sapore diverso. Oggi i calderoni in rame e in acciaio di buona qualità si vendono ai casari. Il lavoro nella bottega era senza orari prestabiliti, dalle sette della mattina fino all'ultimazione delle lavorazioni programmate e ciò era possibile, in quanto non si assumevano operai terzi. Si faceva tutto in famiglia. Il padre Giovanni e il figlio Vittorio erano gli unici a lavorare in bottega. Una giornata di lavoro, fino agli anni settanta, consentiva un guadagno di appena mille lire. Vittorio imparò da ragazzo il mestiere da suo padre, ma per lui si trattava di una occupazione molto dura e poco proficua, oltre che a rischio di sviluppare malattie polmonari per via dell'acido. Pertanto doveva darsi un'alternativa.
Infatti, alla fine del servizio militare nel 1971, pensò di comprare delle casse da morto a Susegana (Treviso) per piazzarle poi nel suo paese. Fu così che intraprese l'attività di pompe funebri, che avrebbe accompagnato quella di calderaio. In seguito, la bottega artigiana dovette definitivamente cessare e Vittorio si dedicò al commercio di casalinghi fino al 2011. Nessuno dei suoi figli ha mai mostrato interesse per quell'antico mestiere, che nel passato rispondeva alle esigenze dei clienti di ogni ceto sociale. A Gravina, oltre alla bottega di mastro Giovanni, c'era quella di Domenico Lapolla nei pressi della villa comunale a breve distanza dalla torre dell'orologio. Per coincidenza anche il figlio di questi gestisce una fiorente attività di pompe funebri.
L'aumento del prezzo del rame ha comportato ormai una crisi irreversibile nel comparto delle lavorazioni tradizionali. Il rame è un metallo molto richiesto nelle attività industriali, in quanto è il migliore conduttore di calore e di elettricità, perciò è ampiamente utilizzato nelle apparecchiature elettriche e nei macchinari industriali. Da ultimo il rame è diventato un materiale sempre più necessario per il cablaggio degli edifici ed è destinato a fare la parte del protagonista nella transizione energetica. Bisogna aggiungere anche che esiste una sola nazione al mondo, il Cile, che possiede le più grandi miniere di rame che sono situate lungo la Cordigliera delle Ande. Di conseguenza il prezzo del rame è diventato uno dei principali indicatori dello sviluppo economico globale.
Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Illustrazione di Marilena Paternoster.