Mestieri e società
LA SIGNORINA DEL BANCOLOTTO - La signorìne du scûoche del lotte
Rubrica "Mestieri e società" a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli
sabato 10 febbraio 2024
Posto su di un piccolo slargo del marciapiede, quasi un triangolo dal quale ci si faceva strada per attraversare un cunicolo di collegamento tra via Pasquale Cassese e via Nunzio Ingannamorte, sorgeva - centrale eppure quasi defilato alla vista - il bancolotto gestito dalla signorina Maria Montemurro, donna di grande fede religiosa, eppure dedita ad "assecondare" il desiderio di azzardo del popolo gravinese.
Di statura non certo alta, come un buon numero di donne del primo Novecento, portava i capelli lisci corvini raccolti dietro la nuca con una scriminatura centrale così diritta che sembrava una linea tirata con l'aiuto di un righello. Sempre in ordine, non un ricciolo fuori posto, vestita immancabilmente di scuro, si recava ogni mattina a piedi dalla sua abitazione in zona Pineta fino al bancolotto, scegliendo sicuramente di passare davanti alle numerose chiese del centro storico, San Francesco e San Nicola fra tutte. In cuor suo, attraversando quei sagrati, non smetteva di rivolgere preghiere per ogni rappresentante dell'umanità sofferente e bisognosa di aiuto nonché per la salvezza della propria anima, che era dibattuta tra il rigoroso ossequio alla Parola di Dio e l'inevitabile ripiegamento su quell'obbligo lavorativo.
La signorina Montemurro apparteneva a una famiglia allargata, si direbbe oggi, essendo figlia di secondo letto di Cosimo e Agnese Sebastini: quattro figli del primo matrimonio del padre e due figlie femmine frutto del secondo. Una famiglia sempre molto unita che aveva protetto con amore la vita di Maria, rimasta nubile e perciò molto legata in primis a sua sorella, tanto da abitare nello stesso palazzo di via Nizza n. 51 fino alla fine. Maria Montemurro - pro cugina di don Eustachio Montemurro (1857-1923), sacerdote in odore di santità - aveva studiato fino alla quinta classe elementare, ma il caso volle che quel traguardo non fosse l'ultimo. La mamma Agnese aveva stretto amicizia con la famiglia di un impiegato, un tale Lentini, che era sposato con una donna originaria di Terlizzi. Fu questa signora a procurare a Maria un'occupazione nel bancolotto di Barletta, dove fu assunta grazie alla licenza di terza media conseguita da privatista, come ci racconta Salvatore Garruti, nipote di Maria. A Barletta si fermò per vent'anni, fu nominata ricevitrice del lotto e quindi trasferita a Gravina per sostituire il precedente ricevitore.
Tutte le mattine apriva il grande portone del banco e saliva su di una alta pedana di legno sulla quale erano allestiti sobriamente due sportelli. L'arredo era completato semplicemente da un armadio o due per riporvi i bollettari, i timbri, l'inchiostro indelebile e le varie scartoffie riguardanti il servizio. Tale impostazione del luogo era vissuta dai giocatori con un senso di suggestione alimentata da quel dislivello e dalla figura ieratica della signorina Montemurro: i bambini incaricati da genitori e nonni di effettuare le giocate guardavano dal basso il bancone ed erano costretti ad allungare le braccia per presentare il foglietto di carta sul quale erano riportati i numeri e le combinazioni da giocare. Mentre gli adulti si alternavano agli sportelli in silenzio, sommessi ed educati. Al contrario le giocatrici si presentavano per così dire in stile confidenziale, raccontavano con scioltezza i propri sogni a Maria e si accordavano circa i numeri, le combinazioni, le puntate e le ruote su cui scommettere. Non si curavano granché delle altre persone in attesa, né che queste potessero tentare la buona sorte puntando sugli stessi numeri.
Maria - che si faceva aiutare a sue spese da altre ragazze, tra le quali una sua cugina - era un pubblico dipendente e, quindi, percepiva uno stipendio statale. Suggeriva le giocate applicando la smorfia, u retìglie. Alcuni giocatori erano molto accaniti. Appartenevano a tutte le categorie sociali. Maria trattava tutti alla stessa maniera, riportando i numeri e le puntate sui biglietti con una calligrafia nitida e d'altri tempi, scrivendo con l'inchiostro indelebile.
Maria Montemurro ha smesso l'attività negli anni settanta per pensionamento. Colpita da un male incurabile, ha lasciato la casa terrena nel 1973, invocando fino all'ultimo l'intervento salvifico del Signore. Era, infatti, una donna molto pia e caritatevole. Frequentava il Santuario Madonna delle Grazie e partecipava a tutte le funzioni religiose; recitava il rosario su espressa richiesta delle persone che avevano bisogno di aiuto nelle disgrazie della vita o per superare qualche difficoltà, come faceva per gli studenti in procinto di sostenere qualche esame. Le promesse trovavano, spesso, realizzazione. La famiglia, compresi i fratellastri, ha beneficiato della sua generosità. Lo faceva senza costrizioni. Quando lavorava a Barletta portava, al rientro, il pesce fresco da far gustare ai famigliari che abitavano con lei. Quando suo nipote Cosimo Garruti si trasferì a Torino per lavoro, Maria gli regalò un orologio da polso con l'avvertimento che avrebbe funzionato solo se lui avesse continuato ad andare a messa. Successe che, al ritorno, Cosimo ammise che l'orologio non funzionava più. E Maria gli chiese: - "Ma tu sei andato a messa la domenica?" E lui rispose di no. Sapeva consolare le persone che le esponevano le proprie sventure. Persino nei giorni di aggravamento della malattia, a quanti andavano a farle visita per offrire parole di conforto lei stessa dava a loro sentimenti di consolazione. Qualche tempo fa alcuni concittadini promossero una raccolta di firme per segnalare le attitudini di Maria al fine di un eventuale processo di beatificazione.
Il gioco del lotto viene definito un gioco d'azzardo e, dal punto di vista statistico, un gioco fortemente non equo, in quanto le vincite effettive non sono correlate alla probabilità di vincita. Sono undici le ruote: Bari, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Nazionale, per ognuna delle quali si effettuano le estrazioni di cinque numeri compresi tra l'1 e il 90 senza reimmettere nell'urna quelli estratti. In passato l'estrazione dei numeri era effettuata da un bambino bendato che pescava con la mano i bussolotti contenenti i numeri da un'urna fatta girare a mezzo di una manovella. Attualmente le estrazioni avvengono con un sistema elettronico. Tre sono le estrazioni effettuate nei giorni pari di ogni settimana. Si scommette su una, più o tutte le ruote e si puntano le poste su una serie di combinazioni a partire dall'ambata (un solo numero) fino alla cinquina. Una teoria particolarmente osservata dai giocatori abituali è quella di puntare sui numeri ritardatari che avrebbero, secondo l'immaginario dei più appassionati, maggiori probabilità di essere estratti. In realtà, considerato che gli osservanti fedeli a questa teoria debbono puntare somme crescenti via via che il ritardo aumenta, il risultato è che la stragrande maggioranza di loro è destinata a subire perdite, con ciò confermando che la suggestione è il presupposto sul quale si basa ogni gioco d'azzardo. In altri termini, il banco vince sempre.
Il primo bancolotto fu istituito a Firenze nel 1528, da allora il gioco si diffuse in tutta Italia e in modo particolare a Genova dove fu emanata una precisa regolamentazione. Mentre negli altri Stati italiani e nello Stato Pontificio il gioco non era ritenuto moralmente accettabile. Nel 1728 il Papa gravinese Benedetto XIII, nel rinnovare la soppressione del gioco deliberata da Innocenzo XI, minacciò la scomunica per quanti ne avessero fatto ricorso.
La parola lotto deriverebbe dal proto-germanico Khlutom, mutato nel francese lot (eredità, porzione, sorte), lote in spagnolo e loto in portoghese. È alla città di Napoli che viene associato il successo del gioco del lotto. Il popolo napoletano che, per dirla con Matilde Serao, Brucia nell'amore e si consuma nel sogno, rifà ogni settimana il suo grande sogno di felicità …. dove (si realizzano) tutte le cose di cui è privato: una casa pulita, dell'aria salubre e fresca, un bel raggio di sole caldo per terra, un letto bianco e alto, un comò lucido, i maccheroni e la carne ogni giorno, e il litro di vino… Si tratta di una malattia contagiosa, scrive la Serao, che prende non solo le classi sociali più umili ma anche le classi della borghesia, i commercianti e persino l'aristocrazia. La scena è sempre la stessa, allora come nei giorni nostri la fantasia e i sogni costituiscono i fattori che alimentano l'attitudine del popolo a tentare la sorte, quando non è un fatto eclatante della vita reale, un fatto anomalo, bello o brutto che sia, un fatto da inquadrare nel costrutto di Aglietiello, noto personaggio eduardiano della commedia Non ti pago. I parenti e gli amici defunti interpretano in sogno scene dalle quali è possibile dedurre una combinazione di numeri da giocare. Ad esempio un terno, una quaterna da comporre con l'ausilio della smorfia, erede dell'antico Almanacco di Rutilio Benincasa, nel nostro dialetto u retìglie.
L'importante, per un profondo conoscitore della società napoletana di quei tempi, come Eduardo De Filippo, è rispettare la convenzione che i defunti si adoperano per fare del bene ai propri famigliari e non ad altri. In Non ti pago il proprietario del bancolotto don Ferdinando Quagliuolo si appropria del biglietto vincente giocato dal suo dipendente Mario Bertolini, sempre fortunato al gioco e perciò inviso al padrone, il quale si giustifica con il fatto che i numeri 1-2-3-4 erano stati offerti in sogno dal proprio padre defunto che credeva di stare parlando con il proprio figlio.
Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Immagine da sito web senza diritti di copyright.
Di statura non certo alta, come un buon numero di donne del primo Novecento, portava i capelli lisci corvini raccolti dietro la nuca con una scriminatura centrale così diritta che sembrava una linea tirata con l'aiuto di un righello. Sempre in ordine, non un ricciolo fuori posto, vestita immancabilmente di scuro, si recava ogni mattina a piedi dalla sua abitazione in zona Pineta fino al bancolotto, scegliendo sicuramente di passare davanti alle numerose chiese del centro storico, San Francesco e San Nicola fra tutte. In cuor suo, attraversando quei sagrati, non smetteva di rivolgere preghiere per ogni rappresentante dell'umanità sofferente e bisognosa di aiuto nonché per la salvezza della propria anima, che era dibattuta tra il rigoroso ossequio alla Parola di Dio e l'inevitabile ripiegamento su quell'obbligo lavorativo.
La signorina Montemurro apparteneva a una famiglia allargata, si direbbe oggi, essendo figlia di secondo letto di Cosimo e Agnese Sebastini: quattro figli del primo matrimonio del padre e due figlie femmine frutto del secondo. Una famiglia sempre molto unita che aveva protetto con amore la vita di Maria, rimasta nubile e perciò molto legata in primis a sua sorella, tanto da abitare nello stesso palazzo di via Nizza n. 51 fino alla fine. Maria Montemurro - pro cugina di don Eustachio Montemurro (1857-1923), sacerdote in odore di santità - aveva studiato fino alla quinta classe elementare, ma il caso volle che quel traguardo non fosse l'ultimo. La mamma Agnese aveva stretto amicizia con la famiglia di un impiegato, un tale Lentini, che era sposato con una donna originaria di Terlizzi. Fu questa signora a procurare a Maria un'occupazione nel bancolotto di Barletta, dove fu assunta grazie alla licenza di terza media conseguita da privatista, come ci racconta Salvatore Garruti, nipote di Maria. A Barletta si fermò per vent'anni, fu nominata ricevitrice del lotto e quindi trasferita a Gravina per sostituire il precedente ricevitore.
Tutte le mattine apriva il grande portone del banco e saliva su di una alta pedana di legno sulla quale erano allestiti sobriamente due sportelli. L'arredo era completato semplicemente da un armadio o due per riporvi i bollettari, i timbri, l'inchiostro indelebile e le varie scartoffie riguardanti il servizio. Tale impostazione del luogo era vissuta dai giocatori con un senso di suggestione alimentata da quel dislivello e dalla figura ieratica della signorina Montemurro: i bambini incaricati da genitori e nonni di effettuare le giocate guardavano dal basso il bancone ed erano costretti ad allungare le braccia per presentare il foglietto di carta sul quale erano riportati i numeri e le combinazioni da giocare. Mentre gli adulti si alternavano agli sportelli in silenzio, sommessi ed educati. Al contrario le giocatrici si presentavano per così dire in stile confidenziale, raccontavano con scioltezza i propri sogni a Maria e si accordavano circa i numeri, le combinazioni, le puntate e le ruote su cui scommettere. Non si curavano granché delle altre persone in attesa, né che queste potessero tentare la buona sorte puntando sugli stessi numeri.
Maria - che si faceva aiutare a sue spese da altre ragazze, tra le quali una sua cugina - era un pubblico dipendente e, quindi, percepiva uno stipendio statale. Suggeriva le giocate applicando la smorfia, u retìglie. Alcuni giocatori erano molto accaniti. Appartenevano a tutte le categorie sociali. Maria trattava tutti alla stessa maniera, riportando i numeri e le puntate sui biglietti con una calligrafia nitida e d'altri tempi, scrivendo con l'inchiostro indelebile.
Maria Montemurro ha smesso l'attività negli anni settanta per pensionamento. Colpita da un male incurabile, ha lasciato la casa terrena nel 1973, invocando fino all'ultimo l'intervento salvifico del Signore. Era, infatti, una donna molto pia e caritatevole. Frequentava il Santuario Madonna delle Grazie e partecipava a tutte le funzioni religiose; recitava il rosario su espressa richiesta delle persone che avevano bisogno di aiuto nelle disgrazie della vita o per superare qualche difficoltà, come faceva per gli studenti in procinto di sostenere qualche esame. Le promesse trovavano, spesso, realizzazione. La famiglia, compresi i fratellastri, ha beneficiato della sua generosità. Lo faceva senza costrizioni. Quando lavorava a Barletta portava, al rientro, il pesce fresco da far gustare ai famigliari che abitavano con lei. Quando suo nipote Cosimo Garruti si trasferì a Torino per lavoro, Maria gli regalò un orologio da polso con l'avvertimento che avrebbe funzionato solo se lui avesse continuato ad andare a messa. Successe che, al ritorno, Cosimo ammise che l'orologio non funzionava più. E Maria gli chiese: - "Ma tu sei andato a messa la domenica?" E lui rispose di no. Sapeva consolare le persone che le esponevano le proprie sventure. Persino nei giorni di aggravamento della malattia, a quanti andavano a farle visita per offrire parole di conforto lei stessa dava a loro sentimenti di consolazione. Qualche tempo fa alcuni concittadini promossero una raccolta di firme per segnalare le attitudini di Maria al fine di un eventuale processo di beatificazione.
Il gioco del lotto viene definito un gioco d'azzardo e, dal punto di vista statistico, un gioco fortemente non equo, in quanto le vincite effettive non sono correlate alla probabilità di vincita. Sono undici le ruote: Bari, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e Nazionale, per ognuna delle quali si effettuano le estrazioni di cinque numeri compresi tra l'1 e il 90 senza reimmettere nell'urna quelli estratti. In passato l'estrazione dei numeri era effettuata da un bambino bendato che pescava con la mano i bussolotti contenenti i numeri da un'urna fatta girare a mezzo di una manovella. Attualmente le estrazioni avvengono con un sistema elettronico. Tre sono le estrazioni effettuate nei giorni pari di ogni settimana. Si scommette su una, più o tutte le ruote e si puntano le poste su una serie di combinazioni a partire dall'ambata (un solo numero) fino alla cinquina. Una teoria particolarmente osservata dai giocatori abituali è quella di puntare sui numeri ritardatari che avrebbero, secondo l'immaginario dei più appassionati, maggiori probabilità di essere estratti. In realtà, considerato che gli osservanti fedeli a questa teoria debbono puntare somme crescenti via via che il ritardo aumenta, il risultato è che la stragrande maggioranza di loro è destinata a subire perdite, con ciò confermando che la suggestione è il presupposto sul quale si basa ogni gioco d'azzardo. In altri termini, il banco vince sempre.
Il primo bancolotto fu istituito a Firenze nel 1528, da allora il gioco si diffuse in tutta Italia e in modo particolare a Genova dove fu emanata una precisa regolamentazione. Mentre negli altri Stati italiani e nello Stato Pontificio il gioco non era ritenuto moralmente accettabile. Nel 1728 il Papa gravinese Benedetto XIII, nel rinnovare la soppressione del gioco deliberata da Innocenzo XI, minacciò la scomunica per quanti ne avessero fatto ricorso.
La parola lotto deriverebbe dal proto-germanico Khlutom, mutato nel francese lot (eredità, porzione, sorte), lote in spagnolo e loto in portoghese. È alla città di Napoli che viene associato il successo del gioco del lotto. Il popolo napoletano che, per dirla con Matilde Serao, Brucia nell'amore e si consuma nel sogno, rifà ogni settimana il suo grande sogno di felicità …. dove (si realizzano) tutte le cose di cui è privato: una casa pulita, dell'aria salubre e fresca, un bel raggio di sole caldo per terra, un letto bianco e alto, un comò lucido, i maccheroni e la carne ogni giorno, e il litro di vino… Si tratta di una malattia contagiosa, scrive la Serao, che prende non solo le classi sociali più umili ma anche le classi della borghesia, i commercianti e persino l'aristocrazia. La scena è sempre la stessa, allora come nei giorni nostri la fantasia e i sogni costituiscono i fattori che alimentano l'attitudine del popolo a tentare la sorte, quando non è un fatto eclatante della vita reale, un fatto anomalo, bello o brutto che sia, un fatto da inquadrare nel costrutto di Aglietiello, noto personaggio eduardiano della commedia Non ti pago. I parenti e gli amici defunti interpretano in sogno scene dalle quali è possibile dedurre una combinazione di numeri da giocare. Ad esempio un terno, una quaterna da comporre con l'ausilio della smorfia, erede dell'antico Almanacco di Rutilio Benincasa, nel nostro dialetto u retìglie.
L'importante, per un profondo conoscitore della società napoletana di quei tempi, come Eduardo De Filippo, è rispettare la convenzione che i defunti si adoperano per fare del bene ai propri famigliari e non ad altri. In Non ti pago il proprietario del bancolotto don Ferdinando Quagliuolo si appropria del biglietto vincente giocato dal suo dipendente Mario Bertolini, sempre fortunato al gioco e perciò inviso al padrone, il quale si giustifica con il fatto che i numeri 1-2-3-4 erano stati offerti in sogno dal proprio padre defunto che credeva di stare parlando con il proprio figlio.
Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Immagine da sito web senza diritti di copyright.