Passeggiando con la storia
Al tempo dell’Orsini nel Duomo di Benevento si allestiva un presepio dalle notevoli proporzioni
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 21 dicembre 2023
Devo essere grato all'architetto professore Francesco Morante, Presidente dell'ArcheoClub di Benevento che mi ha fornito il testo di Mario Boscia, storico beneventano, pubblicato in VISIONI BENEVENTANE dalla Gazzetta di Benevento (1989-1997), anno I, n. 6 – 30 dicembre 1989. Da questa fonte riproduciamo il seguente articolo, purtroppo privo di ogni riferimento fotografico all'oggetto dello scritto.
"La tradizione attribuisce a S. Francesco l'invenzione del presepe. La sera di Natale del 1223, in una rara simbiosi di elementi viventi e oggetti inanimati, in una suggestiva scenografia nella grotta di Greccio, San Francesco celebra il suo Natale operando così una svolta determinante nell'abituale rappresentazione del mistero della Natività, che già noto attraverso rappresentazioni varie, assume in questa occasione, per la prima volta, una visione prospettica.
Lo scenario, poi, nel tempo, arricchendosi con nuovi elementi tendeva a rendere quanto più reale e verosimile il magico mo-mento e così dalle figure lignee a tutto tondo del XVII secolo si passava alle statuette dal manichino di fil di ferro e stoppa ricoperto con stoffe preziose e monili d'oro, e ancora a quelle di terracotta. Questa evoluzione accompagnava il diffondersi del presepe, che da fatto di una ricca élite e di una borghesia in ascesa diventa patrimonio di ogni famiglia. A Napoli poi assume un tono tutto proprio diventando, come fatto artistico, una peculiarità della civiltà napoletana del XVII secolo.
Ai primi del '700 anche l'Orsini, arcivescovo di Benevento, esponente di una delle più nobili famiglie del napoletano, non fu indenne da questa «mania del secolo». L'anno 1716, il 29 agosto, decise, riprendendo una antica tradizione, di introdurre anche nella metropolitana "il pessimo uso praticato già dai tempi antichi nella Santa Chiesa di erigere artificiosamente il Santo Presepio di Cristo fra i giorni del Santissimo Natale fino all'Epifania".
Allo scopo lo stesso Arcivescovo donava oltre a tutti gli ordigni, sufficienti ad erigere un grande e vago presepio, anche un capitale di ducati 1.000 che dato poi a censo del 5% avrebbe dato una rendita di 50 ducati annui da spendere assolutamente per far ogni anno il Presepio e per lo mantenimento e conservazione dei personaggi, utensili ed altro materiale che lo deve comporre e non mai in altro uso.
Di tutto poi ordinò che si facesse un dettagliato inventario. Ne regolamentò l'utilizzo: quando all'artefice che dovrà comporre il Presepio, si sarà consegnato ogni cosa, rompendosi o perdendosi qualche pezzo, debba andar a conto di esso artefice o di chi prenderà il partito di custodire il Presepio medesimo, e stabilì che tutto il materiale del Presepe dovrà essere conservato quando il capitolo non l'abbia il comodo che presentemente vi è nel Monastero delle monache di S. Pietro.
Null'altro si sa di questo grandioso Presepe orsiniano, solo si conosce che circa vent'anni dopo la morte di Orsini, l'arcivescovo Landi nel suo programma di ristrutturazione della Cattedrale dava incarico a Leonardo Carapellese, dipintore e architetto, di riprodurre la scena (fondale del presepe) che avrebbe dovuto riprodurre i luoghi della Palestina e che avrebbe dovuto occupare in ampiezza i sei archi corrispondenti alla navata maggiore della cattedrale".
"La tradizione attribuisce a S. Francesco l'invenzione del presepe. La sera di Natale del 1223, in una rara simbiosi di elementi viventi e oggetti inanimati, in una suggestiva scenografia nella grotta di Greccio, San Francesco celebra il suo Natale operando così una svolta determinante nell'abituale rappresentazione del mistero della Natività, che già noto attraverso rappresentazioni varie, assume in questa occasione, per la prima volta, una visione prospettica.
Lo scenario, poi, nel tempo, arricchendosi con nuovi elementi tendeva a rendere quanto più reale e verosimile il magico mo-mento e così dalle figure lignee a tutto tondo del XVII secolo si passava alle statuette dal manichino di fil di ferro e stoppa ricoperto con stoffe preziose e monili d'oro, e ancora a quelle di terracotta. Questa evoluzione accompagnava il diffondersi del presepe, che da fatto di una ricca élite e di una borghesia in ascesa diventa patrimonio di ogni famiglia. A Napoli poi assume un tono tutto proprio diventando, come fatto artistico, una peculiarità della civiltà napoletana del XVII secolo.
Ai primi del '700 anche l'Orsini, arcivescovo di Benevento, esponente di una delle più nobili famiglie del napoletano, non fu indenne da questa «mania del secolo». L'anno 1716, il 29 agosto, decise, riprendendo una antica tradizione, di introdurre anche nella metropolitana "il pessimo uso praticato già dai tempi antichi nella Santa Chiesa di erigere artificiosamente il Santo Presepio di Cristo fra i giorni del Santissimo Natale fino all'Epifania".
Allo scopo lo stesso Arcivescovo donava oltre a tutti gli ordigni, sufficienti ad erigere un grande e vago presepio, anche un capitale di ducati 1.000 che dato poi a censo del 5% avrebbe dato una rendita di 50 ducati annui da spendere assolutamente per far ogni anno il Presepio e per lo mantenimento e conservazione dei personaggi, utensili ed altro materiale che lo deve comporre e non mai in altro uso.
Di tutto poi ordinò che si facesse un dettagliato inventario. Ne regolamentò l'utilizzo: quando all'artefice che dovrà comporre il Presepio, si sarà consegnato ogni cosa, rompendosi o perdendosi qualche pezzo, debba andar a conto di esso artefice o di chi prenderà il partito di custodire il Presepio medesimo, e stabilì che tutto il materiale del Presepe dovrà essere conservato quando il capitolo non l'abbia il comodo che presentemente vi è nel Monastero delle monache di S. Pietro.
Null'altro si sa di questo grandioso Presepe orsiniano, solo si conosce che circa vent'anni dopo la morte di Orsini, l'arcivescovo Landi nel suo programma di ristrutturazione della Cattedrale dava incarico a Leonardo Carapellese, dipintore e architetto, di riprodurre la scena (fondale del presepe) che avrebbe dovuto riprodurre i luoghi della Palestina e che avrebbe dovuto occupare in ampiezza i sei archi corrispondenti alla navata maggiore della cattedrale".