Sant'Agostino- il campanile
Sant'Agostino- il campanile
Passeggiando con la storia

Chiesa e convento di Sant’Agostino

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

Una storia lunga, affascinante, ricca di arte, di mecenatismo, di sacrifici raccolta da padre Tommaso Autiero, figlio di sant'Agostino, uomo di vastissima e profonda cultura. Da questo scritto ho tratto gran parte delle notizie per portare in luce le testimonianze da lui raccolte molti anni fa, per ridare il giustorisalto, la meritata gratitudine alla fede dei gravinesi di un tempo. La facciata della chiesa -come tutto il complesso- è di stile barocco e si rifà a quello napoletano. Rompono la continuità della facciata, una imponente entrata e due porte laterali di dimensioni modeste. Tutto il prospetto superiore è diviso da due listoni in rilievo che corrono orizzontalmente da un punto all'altro dando, in tal modo origine a due sezioni. La prima sezione ha al centro una finestra e due nicchie laterali; la parte superiore chiude a cuspide l'intera facciata. L'interno della chiesa è un vero scrigno di memorie agostiniane.

Essa è ampia, solenne, divisa in tre navate con altari laterali, (abbattuti con selvaggia iconoclastia nei primi anni del dopo concilio, n.d.r.); conserva ancora la doppia sacrestia. Seguendo la descrizione, fatta dal rappresentante del governo nel 1865 leggiamo: vi erano quadri e statue di S. Agostino, di S. Monica, di S. Rita, di S. Tommaso da Villanova, della Consolata, S. Nicola da Tolentino insieme con tanti altri santi. I due confessionali meritano d'esser ricordati perchè sulla porticina di accesso di ambedue, a forma rigonfia, è scolpito a rilievo lo stemma della famiglia principesca Castriota Scanderberg Orsini, formato da due aquile rampanti, che reggono una corona sotto cui c'è il simbolo dell'Ordine agostiniano (testimonianza sicura di una dipendenza del convento di Gravina dalla nobile famiglia Orsini Scanderberg).

Completa l'insieme un grande campanile le cui campane furono fatte fondere da padre priore Samuele Caccavallo. L'esterno del convento è ben curato ed è stilisticamente in armonia con la facciata della chiesa. L'interno del convento, malgrado le mutilazioni e gli adattamenti, conserva la linea architettonica originaria. Esso è "costituito di due piani, dotato di scantinati e orto, aveva chiostro quadrato con quattro arcate a tutto sesto per lato su pilastri e alto stilobate, conservato ancora su un lato. Fu sede, oltre che dell'asilo e scuole ricordate, del ginnasio 'A. Scacchi', dell'omonima scuola d'avviamento a tipo commerciale, ed è attualmente adibito ad abitazioni per civili".

Gli studiosi della storia di Gravina, nell'affrontare la questione intorno alla venuta in città dei frati dell'Ordine Eremitano di S. Agostino, si richiamano alla Visita Apostolica alla città di Gravina del 1714 del cardinale Orsini, figlio primogenito di Ferdinando e Donna Giovanna Frangipane della Tolfa. "Pochi passi distante dalla città, verso mezzogiorno, fuori dalla porta detta di basso è situato questo convento in cui nel 1633 trasferirono i PP. la loro abitazione, lasciato il vecchio posto in un luogo lontano, ad aria poco salubre, ove dimorarono solo 80 anni, giacchè fu quello fondato nel 1553" .

Gli eremiti agostiniani, seguendo i suggerimenti spirituali comuni a tutte le comunità dei frati, non scelsero una sede comoda posta in pieno tessuto cittadino, ma si fermarono in periferia, forse al di là della cintura muraria, abitarono in una vecchia struttura dell'abazia benedettina, in un convento ampio ma poco sicuro, in una zona solitaria e mancante di conforti. Gestirono la chiesa dei benedettini dedicata ai santi Rocco e Vito la quale possedeva dei beni tra cui viene ricordato un gran numero di ovini, così ci riferisce il documento: "l'Ecclesia di S. Rocco e S. Vito, avevano 4000 pecore nella Selva". Dalle notizie riferite, ci convinciamo sempre di più che la comunità ivi stanziatasi dovette adattarsi a una vita molto sacrificata e piena di umiliazioni.

Gli stagni circostanti, gli insetti che prolificavano per l'ambiente malsano, certo non favorivano lo sviluppo di una vita ordinata e religiosamente accettabile. Le comunità agostiniane che si susseguirono nel tempo vissero con spirito di vero sacrificio una vita misera. A Gravina, i delinquenti, per evitare il contatto con la società, si aggiravano nelle campagne della zona e il più delle volte si rifugiavano nel convento dei religiosi agostiniani per trascorrervi la notte. Non era quella una accoglienza gradita, perchè solamente sotto le minacce, i malavitosi, con prepotenza, occupavano il convento.

Di questa situazione, tanto tragica ed amara, c'è ricordo, breve ma significativo in una relazione del 1615: "Il Monatero dei Padri Agostiniani e simile di distanza al sopradetto (quello di S. Sebastiano) da detta Città, ha una Chiesa grande sotto il titolo di S. Vito. Vi sono doi Padri Sacerdoti un professo et un Serviente. L'Habitatione non ha clausura, tale per la povertà che tengono, che parvie vi stanno con pochi frati, Vanno ancora mendicando per la Città per poter vivere et perchè ditta Clausura non riappraposito, alcune delle volte vi ricapitano di notte gente di mala vita et decto più per il pericolo che portano non possono far di meno a non riceverli".

I tempi bui finirono, i frati agostiniani si meritarono la stima dei cittadini, la provincia agostiniana di Puglia intervenne. La succitata relazione rappresenta una precisa presa di coscienza da parte della comunità dei frati, costrinse i religiosi ad uscire da quella insostenibile situazione. La prima decisione fu quella di abbandonare l'antica abbazia benedettina e la chiesa dei santi Vito e Rocco per scegliere un luogo all'interno della città che fosse più sicuro dalle scorrerie dei malavitosi, posto in un'area più salubre e vivibile. Fu scelta la località detta "porta di basso" entro la città, non troppo lontana dal centro cittadino. Il luogo prescelto possedeva una vecchia chiesa, dedicata a S. Antonio da Vienna.

Gli agostiniani, entrati in possesso del territorio, prima di trasferirsi, pensarono di costruire una sede che desse loro la possibilità di vivere una vita a servizio del popolo e della propria santificazione. Misero a disposizione tutti i beni solidi ed immobili, ricorsero alla munificenza del popolo, chiesero aiuti particolari alla nobile famiglia "Orsini Tolfa" il cui emblema fu inserito in un punto eminente nella volta della chiesa; ricorsero, per la manovalanza, alla generosa volontà del popolo. La realizzazione durò parecchi anni e non mancarono difficoltà ed imprevisti che ne allungarono i tempi.

La chiesa fu costruita in stile barocco, secondo i canoni del tempo, piacque a tutti e tutti ne elogiavano la grandezza e la ricchezza monumentale. La chiesa fu pronta ad accogliere i fedeli ed i frati nell'anno 1633 e si chiamò "chiesa di S. Agostino". Vicino alla chiesa fu costruita anche una prima parte di quello che poi sarà un grande convento. Da varie relazioni si rileva che la comunità dei frati è di molto mutata rispetto agli anni passati. Dai documenti del tempo: "Fondo Capitolare... Congregationes Capitulares, 17/11/1679. Concessione in Enfiteusi a Leonardo di Gesù della Tufara a S. Martino per il canone di carlini dodeci...". Da quei documenti ci convinciamo che la comunità era numerosa, regolarmente guidata da un priore eletto canonicamente, si nota anche l'impegno dei religiosi nell'esercizio della vita pastorale.

Finiti i lavori della chiesa, pagati tutti i debiti ad essa inerenti, i religiosi si decisero di costruire il nuovo convento. Iniziarono i lavori. A un certo punto venuta meno la disponibilità finanziaria, data l'emergenza dei lavori, i padri si rivolsero all'autorità diocesana per un aiuto finanziario. I propositi e le intenzioni dei padri religiosi sono ricordati nel documento del 1680: "Il Priore, e Frati dell'Ordine eremitico di S. Agostino di Gravina humilmente gli rappresentano, come havendo cominciato una fabbrica in quel Convento necessaria per l'habitatione de' PP. e comodo d'officine, che non ponno proseguire per le miserie de' gl'anni correnti; è stato considerato da Periti, che non terminandosi in breve ne seguirà danno grande, a quanto sin hora è stato fabbricato con molte spese, il che si rende impossibile poter adempiere così presto con l'entrate de sopravanzi del Monastero, essendovi necessario a giuditio de' Periti spendervi da trecento ducati in circa.

Ha il detto Convento in Deposito ducati cento quaranta da rinvestirsi, che stanno infruttuosi perchè non si ritrova comodità sicura, et havendo congiuntura di vendere sessanta tomole di terra nella contrada Gurgonia dalla quale ne retrahono ducati due (venti carlini) l'anno stimata ducati cento trenata conchè si sodisfarebbe al detto bisogno. Supplicano l'EE. VV. di compiacersi dargli facoltà di vendere la sopradetta Terra, et il ritratto d'essa con li ducati cento quaranta impiegarli per terminare detta fabrica, con l'obbligo di rimettere in

Deposito in termine di quattr'anni tutta la somma sopradetta di ducati duecento sessanta per rinvestirli". Costruirono un convento che si distinse fra tutti quelli già esistenti in città, per ampiezza di superficie, per armonia architettonica, per la felice coincidenza tra il gusto estetico e le spirituali aspirazioni della vita religiosa. Il convento acquistò rinomanza dovuta soprattutto al comportamento degli agostiniani in seno alla chiesa di Gravina. Ad aumentarne il prestigio furono due fatti: la nomina a vescovo della città di Gravina del Padre Generale dell'Ordine, padre Domenico Valvassori di Milano.

Una lapide, posta nella chiesa di S. Agostino ne tramanda la memoria. L'autore ricorda ai posteri in uno stile di ricercato barocco, i pregi, le virtù spirituali, culturali e umane dell'illustre vescovo. L'altro fatto è ricordato dal documento, che è una risposta ad una precisa richiesta, fatta dall'autorità competente. Richiama, brevemente, il genere di vita vissuta dai religiosi in quei tempi, con un genere di vita molto migliorata dal momento che i frati danno esempio di vita comunitaria apprezzata per semplicità di costume e per zelo religioso.

I frati agostiniani furono costretti ad abbandonare la loro sede di Gravina nell'anno 1810, dopo più di duecentocinquant'anni di permanenza, a causa degli editti di esproprio emanati da Luigi Bonaparte e da Gioacchino Murat, mandati a dominare la cosa pubblica del regno di Napoli dal loro congiunto Napoleone Bonaparte. La chiesa di s. Agostino fu affidata alla cura della diocesi, mentre il convento divenne proprietà demaniale a servizio del comune di Gravina. Rientrato in possesso del regno di Napoli nel 1819, Ferdinando IV, volle restaurare l'autorità religiosa e permise il ritorno dei frati nelle loro sedi. I religiosi agostiniani non ritornarono a Gravina. La Curia Vescovile ottenne il complesso agostiniano per propria utilità. Nel 1864 la chiesa fu ceduta alla Congregazione dell'Addolorata. Così risulta dal verbale di consegna della Chiesa di S. Agostino con tutti gli arredi sacri alla Congrega della SS. Addolorata 1864: "L'anno milleottocentosessantaquattro il giorno dieci Maggio in Gravina nella Sagrestia della Chiesa del soppresso Monistero di S. Agostino sito fuori Porta Basilicata.

Noi Luigi Tomacci del fu Gerardo Ricevitore del Demanio e Tassa nella qualità di Agente della Cassa Ecclesiastica di questo Mandamento e dietro incarico ricevuto dal Signor Direttore di Bari con nota de' 26 Febbraio ultimo, Numero 1598, Sezione 4, d'onde risulta di divenirsi ad una regolare consegna alla Congregazione della SS.ma Addolorata di qui, sì del locale ad uso di Chiesa esistente in detto Monistero Soppresso di S. Agostino, come ancora di tutti gli Arredi Sacri, Quadre, Statue, Effigie, oggetti preziosi e tutt'altro che alla medesima sono inerenti...". Nel 1865 il comune di Gravina chiese alla curia vescovile l'uso dell'edificio. Giuseppe Lucatuorto così ricorda nel libro: Gravina Urbs Opulenta, ediz. Grafiche Savarese - Bari - 1975 scrive: "Nel 1865 il Municipio, 'diradatesi le orde dei malfattori ed evacuato dalle truppe che l'occupavano', lo richiese in fitto alla cassa ecclesiastica, per adibirlo ad asilo e scuole elementari, ma ne ottenne definitivamente l'uso con la legge del 1886".

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  • Giuseppe Massari
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