Passeggiando con la storia
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Chiesa Santa Cecilia nel centro storico

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

Domani, 22 novembre, si festeggia Santa Cecilia. Alla protettrice della musica e del bel canto è dedicata una chiesa della nostra città, fatta costruire dal vescovo mons. Vincenzo Giustiniani, lo stesso che eresse la più importante e la più imponente chiesa Madonna delle Grazie. Il 1611, mons. Giustiniani la fece innalzare dalle fondamenta sull'abitazione appartenuta ad Angelo Benchi, "affinché le donne delle abitazioni vicine non dovessero percorrere le strade pubbliche e piene di uomini, per raggiungere la Cattedrale o altre chiese". A conferma di ciò, un tempo, sulla facciata principale campeggiavano le insegne episcopali del vescovo. Di quello stemma è rimasto solo il supporto in pietra. Dall'atto notorio risulta completata nel gennaio 1611. In essa fu istituita una parrocchia, così come riporta lo stesso Giustiniani nella relazione ad Limina del 2 agosto 1612.

Nel 1617 divenne patronato della famiglia Maiorana o Maiorani, di cui Cesare ne fondò il beneficio, fino ad essere, a diventare o a svolgere, anche, funzioni di cappella funeraria. Nel 1629 è "visitata" da mons. Arcangelo Baldini, che conferma il patronato della nobile famiglia e segnala la presenza di un Crocifisso in piombo. Il 26 giugno 1639 il vescovo Filippo Cansacchi nomina cappellano don Mario Calderoni. Nel visitare la chiesa, lo stesso vescovo annota l'altare maggiore ben tenuto, con il dipinto Immacolata Concezione, Santa Cecilia, il beneficio di questo altare era prerogativa del menzionato nobile casato. Il vescovo Domenico Valvassori, nell'anno 1686 la descrive anch'egli in patronato alla succitata famiglia, riporta il dipinto Immacolata Concezione subito sotto Santa Cecilia, più in basso, a destra San Francesco di Paola, a sinistra Sant'Antonio di Padova.

Il 9 febbraio 1714 il Visitatore Apostolico della Diocesi di Gravina, cardinale Vincenzo Maria Orsini così la descrive: "Questa Chiesa è lunga palmi 32, e larga palmi 18, con volto di tufi a botte; le pareti in parte macchiata dall'umidità, il tetto opportunamente riparato, ma deesi rimuovere il canale sopra il muro laterale sinistro, che lo fa marcire. Nell'unica fenestra la vetriata è quasi tutta rotta, il pavimento lebile, e le due porte sarebbero commendabili, se non isporcate di calcina. Il buco della fune del campanile è sconcissimamente rotto". Della sagrestia: "Ella è cavata nel tufo, lunga palmi 18, larga palmi 12, ed alta palmi 8, senza porta, senza fenestra, e col pavimento mattonato per la metà. Il lavatoio di terra cotta pessimamente fabbricato senza chiave, ed il recipiente di tufo dee ridursi a forma convenevole. Deficit troclea et manutergium. Riproviamo lo infelice, ed irregolarissimo armarietto".

Per la manutenzione, il nostro cardinale visitatore suggerisce: "Per la manutenzione, e riparazione di questa Chiesa, e suo Altare. Asserivasi obbligato il Parroco: ma perché riconosciute nella presente Visita Apostolica le tenui rendite di esso, si sono ritrovate ascendere nette da pesi a soli ducati 35,52; onde appena restano per lo di lui mantenimento grani 9, ed 8 cavalli il giorno: perlocché dichiariamo il medesimo libero, ed esente da tal peso, e tenuti a quella i Parrocchiani, che godono il comodo della Parrocchia. Ed in caso, che questi ripugnassero di soddisfare a questa loro obbligazione, la Reverendissima Curia Vescovile trasferisca ad altra Chiesa questa parrocchia".

Questo piccolo luogo di culto è stato sempre considerato e al centro dell'attenzione dei tanti vescovi che si sono succeduti sulla Cattedra episcopale gravinese. Fu restaurata e rinnovata nel tetto a spese di monsignor Cavalieri. Il successore, mons. Cesare Francesco Lucino, attesta l'esistenza di un unico altare, che ordina di restaurare nella parte dipinta. Nel 1721 propone una riduzione delle parrocchie e, quindi, questa è unita alla parrocchia di San Nicola, che prenderà il nome SS. Nicola e Cecilia. Il vescovo Vincenzo Ferrero la visita il 19 novembre 1727. Ancora qualche anno dopo: "La fece ristaurare, e rinnovare nel tetto appostali il volto di tufi à botte con le lunette, e cordoni, e spese del vescovo Cavalieri". Attesta la presenza di unico altare.

Nel 1811, dal governo del Regno di Napoli, purtroppo, venne decretata la sua chiusura unitamente alle chiese del SS. Nome di Gesù, San Giovanni Battista e Santa Lucia. Successivamente, quasi un secolo dopo, nel 1912, mons. Zimarino evidenzia che la chiesa è sconsacrata, non conservandosi il Santissimo e che le funzioni religiose si svolgono nella parrocchiale di San Nicola, anche se, in qualche modo, era stata restaurata e dotata di tre altari. Gli stessi che troverà mons. Sanna, quando, nel 1929 si recherà, anche lui a visitarla.
Al di là di tutto ciò, negli anni e con gli anni, la chiesa è caduta in un continuo e crescente stato di abbandono, divorata dall'umidità; in un totale disinteresse, anche quando, per ragioni naturali, sono caduti alcuni muri di ambienti retrostanti. Nessun intervento di recupero statico, di ristrutturazione, per una sua possibile fruibilità, è stato mai effettuato o richiesto. Si perdono pezzi di storia, gioielli di tradizioni religiose tra l'incuria e l'ignoranza, perché il dimenticatoio, la dimenticanza sono i luoghi e gli spazi mentali preferiti, le palestre domestiche frequentate da chi governa, civilmente e religiosamente, una comunità destinata, forse, a scomparire o a non salvarsi da queste umane aggressioni di inciviltà e di incoscienza allo stato puro.

  • Giuseppe Massari
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