Passeggiando con la storia
Ferdinando Sottile Meninni: benefattore, cultore dell’arte, politico
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 14 maggio 2020
Nasce da Girolamo Sottile e Marianna Polini, a Gravina in Puglia, nel palazzo ancora esistente nel centro storico, in via Abbrazzo D'Ales, il 5 gennaio 1824. Chi lesse o pronunciò orazioni funebri, dopo la sua morte avvenuta il 10 febbraio 1908,come il professore Stefano Spalluti, raccolti nel volume: "In memoria di Ferdinando Sottile Meninni. Napoli, R. Stabilimento Tipografico Francesco Giannini & Figli, 1909", ce lo descrive "come animo semplice, confidente ed affettuoso, pieno d'alte idealità e amante solo del bene, tale egli si mostrò alla natia Gravina, quando, lasciando la casa dei Barnabiti e Napoli, si ritirò pressò la sua adorata famiglia, presso i genitori, che l'amavano e guardavano con lieto animo il suo avvenire ricco di belle speranze. Infatti, prometteva di essere ottimo cittadino, insigne letterato, cultore appassionato dell'arte.
Al suo attivo, come scrittore è da annoverare una tragedia dal titolo Elgiva, apprezzata e lodata da un suo amico e maestro, Cesare Malpica, il quale, già in precedenza aveva fatto riferimento alla modestia di Ferdinando, aggiungendo. "Questo giovane gravinese mostra già i raggi di un ingegno, che ad essere adulto non chiede che tempo ed esercizio. Continui egli dunque e non fallirà a glorioso porto". Purtroppo, per un periodo fu distratto se non deviato dalle sue passioni e mire letterarie. Infatti, "per rispondere alla fiducia che in lui avevano i suoi concittadini, amici e parenti abbandonando i suoi prediletti studi, si addossò la croce della Politica grave e invero tormentosa.
Erano tempi difficili,torbidi e gravi di minacce, proseguì Spalluti; il Governo Borbonico si reggeva appena, la rivoluzione si estendeva nelle province napoletane e si formavano nelle città pugliesi i Governi provvisori, che erano come le sentinelle avanzate di quell'unità italiana, cui tutti i più nobili cuori in quel tempo aspiravano. Il giovane Sottile con grande slancio e vero amor di patria concorse alla formazione di tal Governo anche in Gravina". Un altro oratore, Filippo Varvara, nel corso dei suoi solenni funerali, ebbe a dichiarare: "Egli vergine di tramestii politici, ma pieno di vita e di coraggio, di senno e piùcchè tutto d'amore sviscerato alla umanità, entrò fiducioso in questo terribile agone politico che si addimanda vita pubblica, e solo per rispetto delicato a persone anziane, ai suoi parenti, non accettò la carica di primo Magistrato, tenendosi pago di essere fra loro in grado secondario, purmettendo a disposizione del paese tutto se stesso.
Ma, come sempre sciaguratamente avviene, continuò nel suo dire Varvara, anche agli spiriti più tenaci, cominciò ben presto a serpeggiare nell'animo suo ben nato una certa di sfiducia di operare in pro della patria sua tutto quel bene che si era prefisso. Sentiva languire a poco a poco in se quella energia e quell'entusiasmo che nasce dal sentirsi puro ed intemerato nel conseguire un giusto e santo ideale. E poiché la sua fibra non era delle grossolane che facilmente tollerano la ruota del carro, la sua fronte, tanto amabilmente serena, cominciò a corrugarsi". Concluse Filippo Varvara: "In un giorno, in un'ora, in un minuto forse il violento scatto dell'uomo esatto, sennato, giusto, integerrimo, tolse alla patria nostra una sorgente di benessere sociale, che avrebbe forse mutata faccia e condizione di essa".
Fece, perciò, ritorno alla vita famigliare, al culto dei figli e della moglie, Filomena Pellicciari. Fu il preludio che lo portò ad un esilio forzato che durò 45 anni fino alla morte, durante i quali ebbe il grave lutto per la perdita dell'unico figlio maschio, Girolamo, morto all'età di 21 anni per una malformazione del sistema aortico e ventricolare. Il suo ritiro dalla vita cittadina, pur continuando ad elargire misure di beneficenza a chi era nel bisogno, fu una reazione al disgusto per la politica, tesa per fini ignobili che non avrebbero retto e non ressero ai suoi ideali di essere e voler essere uomo libero; uomo libero che potette fargli dire: "Se non posso rendermi utile divenendo il benefattore dell'umanità, non voglio neppure rendermi carnefice di un ideale altrui".
Al suo attivo, come scrittore è da annoverare una tragedia dal titolo Elgiva, apprezzata e lodata da un suo amico e maestro, Cesare Malpica, il quale, già in precedenza aveva fatto riferimento alla modestia di Ferdinando, aggiungendo. "Questo giovane gravinese mostra già i raggi di un ingegno, che ad essere adulto non chiede che tempo ed esercizio. Continui egli dunque e non fallirà a glorioso porto". Purtroppo, per un periodo fu distratto se non deviato dalle sue passioni e mire letterarie. Infatti, "per rispondere alla fiducia che in lui avevano i suoi concittadini, amici e parenti abbandonando i suoi prediletti studi, si addossò la croce della Politica grave e invero tormentosa.
Erano tempi difficili,torbidi e gravi di minacce, proseguì Spalluti; il Governo Borbonico si reggeva appena, la rivoluzione si estendeva nelle province napoletane e si formavano nelle città pugliesi i Governi provvisori, che erano come le sentinelle avanzate di quell'unità italiana, cui tutti i più nobili cuori in quel tempo aspiravano. Il giovane Sottile con grande slancio e vero amor di patria concorse alla formazione di tal Governo anche in Gravina". Un altro oratore, Filippo Varvara, nel corso dei suoi solenni funerali, ebbe a dichiarare: "Egli vergine di tramestii politici, ma pieno di vita e di coraggio, di senno e piùcchè tutto d'amore sviscerato alla umanità, entrò fiducioso in questo terribile agone politico che si addimanda vita pubblica, e solo per rispetto delicato a persone anziane, ai suoi parenti, non accettò la carica di primo Magistrato, tenendosi pago di essere fra loro in grado secondario, purmettendo a disposizione del paese tutto se stesso.
Ma, come sempre sciaguratamente avviene, continuò nel suo dire Varvara, anche agli spiriti più tenaci, cominciò ben presto a serpeggiare nell'animo suo ben nato una certa di sfiducia di operare in pro della patria sua tutto quel bene che si era prefisso. Sentiva languire a poco a poco in se quella energia e quell'entusiasmo che nasce dal sentirsi puro ed intemerato nel conseguire un giusto e santo ideale. E poiché la sua fibra non era delle grossolane che facilmente tollerano la ruota del carro, la sua fronte, tanto amabilmente serena, cominciò a corrugarsi". Concluse Filippo Varvara: "In un giorno, in un'ora, in un minuto forse il violento scatto dell'uomo esatto, sennato, giusto, integerrimo, tolse alla patria nostra una sorgente di benessere sociale, che avrebbe forse mutata faccia e condizione di essa".
Fece, perciò, ritorno alla vita famigliare, al culto dei figli e della moglie, Filomena Pellicciari. Fu il preludio che lo portò ad un esilio forzato che durò 45 anni fino alla morte, durante i quali ebbe il grave lutto per la perdita dell'unico figlio maschio, Girolamo, morto all'età di 21 anni per una malformazione del sistema aortico e ventricolare. Il suo ritiro dalla vita cittadina, pur continuando ad elargire misure di beneficenza a chi era nel bisogno, fu una reazione al disgusto per la politica, tesa per fini ignobili che non avrebbero retto e non ressero ai suoi ideali di essere e voler essere uomo libero; uomo libero che potette fargli dire: "Se non posso rendermi utile divenendo il benefattore dell'umanità, non voglio neppure rendermi carnefice di un ideale altrui".