Passeggiando con la storia
Filippo Neri santo grazie anche alla testimonianza di un miracolato gravinese
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 21 maggio 2020
Tra qualche giorno, la Chiesa celebrerà la festa liturgica di San Filippo Neri, santo a cui Gravina è legata, per essere stato designato ad essere patrono minore o compatrono della nostra città. Come scrive Domenico Nardone nel suo Notizie storiche sulla città di Gravina, "la nomina di S. Filippo Neri a patrono minore, risale al 1697, (mentre sulla Cattedra episcopale della Diocesi sedeva il domenicano mons. Marcello Cavalieri n.d.r.), e fu fatta ad interessamento dell'allora Cardinale fra Vincenzo Maria Orsini (poi Papa Benedetto XIII) per speciale devozione da lui riposta a questo Santo, essendo scampato dal terremoto del 5 giugno 1688".
Senza dire, come ci ricorda il citato Nardone; " che l'Orsini offri in dono alla Cattedrale di Gravina il piccolo busto d'argento massiccio con reliqua di S. Filippo Neri che nel corteo processionale per la festa di S. Michele, celebrantesi il 29 settembre, precede la statua di quest'ultimo". Bisogna aggiungere che l'Orsini, da arcivescovo e da papa, ovunque diffuse il culto verso questo suo santo protettore, col costruire chiese in suo onore . Addirittura, da papa, volle che il santo fosse elevato come 2° Patrono di Roma e che il giorno della sua festa fosse considerata di precetto.
Gli aspetti storici sopra evidenziati dovrebbero essere acquisiti, dovrebbero far parte del bagaglio di conoscenze della storia della nostra città. Oggi, invece, voglio condurre i lettori ad un fatto quasi inedito che riguarda il santo e la nostra città indirettamente, attraverso un testimone, di origini gravinesi, che contribuì alla santificazione di San Filippo Neri. Attingendo da un articolo di Nello Vian: "Tipi e tipacci nel mondo di San Filippo", apparso su : Strenna dei Romanisti. MMDCCXIV Natale di Roma 1961, Staderini Editore Roma, si apprende che un certo Giuseppe Loria, fu Vesapasiano e fu Giulia, di anni 33, nato a Gravina, fu testimone per due volte, il 18 giugno 1610 e il 1° settembre dello stesso anno, nel corso della inchiesta diocesana romana del Primo Processo per San Filippo Neri e i cui atti sono stati pubblicati per i tipi della Biblioteca Apostolica Vaticana il 1960.
Nei dettagli, la descrizione del personaggio e la testimonianza resa. Faceva il cavallerizzo, questo Giuseppe Loria, e serviva un principe appassionatamente ippofilo, Michele Peretti, che lo mandava a incettare focosi animali, fino nelle native piane. L'agitator di cavalli, con i suoi trentatré anni e il sole della sua terra, non doveva avere nelle vene sangue meno caldo, ma con il coltello portava addosso l'abitino del Carmine, e una mattina che oziava a Pasquino, un amico, anch'egli del Regno, lo aveva portato alla Chiesa Nuova ad ascoltare le meraviglie che faceva il taumaturgo Filippo. Gli venne in taglio perché quella notte stessa (22 gennaio 1609) in una zuffa che si appiccò nella stalla del principe, sul Quirinale, per soccorrere un Matteo da Gallipoli messo alle strette, si prese una stilettata in mezzo al petto: lungo un palmo, il ferro so-ttile penetrò tutto, e fu cavato dalla mano del feritore, che fuggì. Il cavallerizzo-, fatti quattro o cinque passi, traboccò a terra.
Lo caricarono sopra una carrozza, di furia, forse per evitare il sopraluogo del bargello, e lo portarono in Parione, a casa sua. Ma tutti tennero che sarebbe morto entro poche ore, a principiare dal chirurgo del Papa, chiamato certo dal principe (il pugnalato era diventato un personaggio, e ne parlò fino un Avviso alla corte urbinate). Non altro gli rimaneva che ben morire, e, poiché dalla sua venuta. in Roma aveva preso a vivere more uxorio con una certa Elena bolognese, che gli aveva dato una figlia, doveva prima essere indotto a sposarla. .Egli tuttavia resisteva, sebbene gli stessero intorno i Ministri degl'infermi, che si davano la muta (uno si presentò, anch'egli, al processo, per attestare l'accaduto).
Prima dell'alba, che si pensava ultima a sorgere per il Loria, gli apparve un prete vecchio, « bianco, allegro », quale era raffigurato, nei ritratti che già correvano, il beato Filippo. e lo sentì dire: «non dubitate; non morirai per questa volta; muta vita». Tornò, per altre due notti, ripetendo ogni volta quell'avviso (che mal per lui l'agitatore dei cavalli dimenticò presto, quanto all'ultima parte ingiuntiva). Il giorno dopo, quel rappezzato sposalizio si celebrò. Entro sette, egli si levò dal letto. Nel giugno, e ancora nel settembre, dell'anno dopo narrò al sacro tribunale tutta l'avventura.
Senza dire, come ci ricorda il citato Nardone; " che l'Orsini offri in dono alla Cattedrale di Gravina il piccolo busto d'argento massiccio con reliqua di S. Filippo Neri che nel corteo processionale per la festa di S. Michele, celebrantesi il 29 settembre, precede la statua di quest'ultimo". Bisogna aggiungere che l'Orsini, da arcivescovo e da papa, ovunque diffuse il culto verso questo suo santo protettore, col costruire chiese in suo onore . Addirittura, da papa, volle che il santo fosse elevato come 2° Patrono di Roma e che il giorno della sua festa fosse considerata di precetto.
Gli aspetti storici sopra evidenziati dovrebbero essere acquisiti, dovrebbero far parte del bagaglio di conoscenze della storia della nostra città. Oggi, invece, voglio condurre i lettori ad un fatto quasi inedito che riguarda il santo e la nostra città indirettamente, attraverso un testimone, di origini gravinesi, che contribuì alla santificazione di San Filippo Neri. Attingendo da un articolo di Nello Vian: "Tipi e tipacci nel mondo di San Filippo", apparso su : Strenna dei Romanisti. MMDCCXIV Natale di Roma 1961, Staderini Editore Roma, si apprende che un certo Giuseppe Loria, fu Vesapasiano e fu Giulia, di anni 33, nato a Gravina, fu testimone per due volte, il 18 giugno 1610 e il 1° settembre dello stesso anno, nel corso della inchiesta diocesana romana del Primo Processo per San Filippo Neri e i cui atti sono stati pubblicati per i tipi della Biblioteca Apostolica Vaticana il 1960.
Nei dettagli, la descrizione del personaggio e la testimonianza resa. Faceva il cavallerizzo, questo Giuseppe Loria, e serviva un principe appassionatamente ippofilo, Michele Peretti, che lo mandava a incettare focosi animali, fino nelle native piane. L'agitator di cavalli, con i suoi trentatré anni e il sole della sua terra, non doveva avere nelle vene sangue meno caldo, ma con il coltello portava addosso l'abitino del Carmine, e una mattina che oziava a Pasquino, un amico, anch'egli del Regno, lo aveva portato alla Chiesa Nuova ad ascoltare le meraviglie che faceva il taumaturgo Filippo. Gli venne in taglio perché quella notte stessa (22 gennaio 1609) in una zuffa che si appiccò nella stalla del principe, sul Quirinale, per soccorrere un Matteo da Gallipoli messo alle strette, si prese una stilettata in mezzo al petto: lungo un palmo, il ferro so-ttile penetrò tutto, e fu cavato dalla mano del feritore, che fuggì. Il cavallerizzo-, fatti quattro o cinque passi, traboccò a terra.
Lo caricarono sopra una carrozza, di furia, forse per evitare il sopraluogo del bargello, e lo portarono in Parione, a casa sua. Ma tutti tennero che sarebbe morto entro poche ore, a principiare dal chirurgo del Papa, chiamato certo dal principe (il pugnalato era diventato un personaggio, e ne parlò fino un Avviso alla corte urbinate). Non altro gli rimaneva che ben morire, e, poiché dalla sua venuta. in Roma aveva preso a vivere more uxorio con una certa Elena bolognese, che gli aveva dato una figlia, doveva prima essere indotto a sposarla. .Egli tuttavia resisteva, sebbene gli stessero intorno i Ministri degl'infermi, che si davano la muta (uno si presentò, anch'egli, al processo, per attestare l'accaduto).
Prima dell'alba, che si pensava ultima a sorgere per il Loria, gli apparve un prete vecchio, « bianco, allegro », quale era raffigurato, nei ritratti che già correvano, il beato Filippo. e lo sentì dire: «non dubitate; non morirai per questa volta; muta vita». Tornò, per altre due notti, ripetendo ogni volta quell'avviso (che mal per lui l'agitatore dei cavalli dimenticò presto, quanto all'ultima parte ingiuntiva). Il giorno dopo, quel rappezzato sposalizio si celebrò. Entro sette, egli si levò dal letto. Nel giugno, e ancora nel settembre, dell'anno dopo narrò al sacro tribunale tutta l'avventura.