Passeggiando con la storia
Giudizi sull’Orsini arcivescovo e papa
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 9 maggio 2024
Frà Vincenzo Maria Orsini è figlio del Concilio di Trento. Attuatore in tutte le sue forme e sostanze. Infatti, egli, a circa un secolo di distanza dalla morte di San Carlo Borromeo, seppe attualizzare l'immagine dell'arcivescovo milanese. Non a caso i biografi orsiniani sostengono e lo descrivono "come il più degno erede, fra Sei e Settecento, del modello pastorale borromeiano. Fu definito, perciò " il San Carlo Borromeo del Mezzogiorno d'Italia".
Secondo il giudizio di alcuni suoi contemporanei egli non fu principe, nonostante la stirpe di discendenza, ma padre e pastore. In altre parole, il suo modo di "comandare", può dirsi un modo di insegnare, e il suo stile di governo rivela piuttosto autorità che non autoritarismo. "Era troppo austero, severo prima con se stesso che con gli o verso gli altri; cocciuto, ma umile, cordiale, gentile e generoso. Il suo clero, canonici, parroci, regolari e semplici preti o chierici, lo voleva dignitoso, dotto e santo; tanto, quanto più lo sapeva bisognoso di correzione e di generale riforma".
Con questa sua forte personalità, riuscì ad imporsi e farsi rispettare, soprattutto per quanto riguardava, da una parte, l'uso dei costumi del clero e dei cardinali. Voleva che vestissero dignitosamente, che non si servissero di barbe, baffi e parrucche. Si racconta, infatti, che durante una processione del Corpus Domini, fece allontanare un porporato che indossava la parrucca. Altrettanto esigente fu nei confronti del personale medico ed ospedaliero, quando, ad essi rimproverava lo scarso impegno nella cura degli ammalati e dei degenti, che visitava spesso, sia da semplice arcivescovo che da papa. Voleva che gli ammalati fossero accuditi come si stesse accudendo il papa. Tra l'altro, non bisogna dimenticare che fu promotore della costruzione di nuovi ospedali. A Manfredonia, a Benevento e a Roma, dove, per esempio, è ancora attivo, sia pure riconvertito, l'Ospedale di Santa Maria e San Gallicano, nel rione Trastevere.
Se insieme a questi giudizi e ad altri che andrò a riprendere successivamente, posso inserirne uno mio personale, posso dire che l'Orsini frate, cardinale, arcivescovo, papa non fu semplicemente un alter Christus, ma un ipse Christus, cioè non un altro Cristo, ma Cristo stesso.
Fra Giuseppe Luigi ( o Lodovico) De Anducar ( o Anduxar), dell' Ordine dei Predicatori, Vescovo di Tortona nel 1755, ex bibliotecario domestico di Benedetto, in qualità di testimone nel Processo per la causa di Beatificazione e Canonizzazione del venerabile Servo di Dio Papa Benedetto XIII dell'Ordine dei Predicatori, compilato nella Curia Vescovile di Tortona nel 1755, ebbe ad esprimersi in questi termini: "Io l'ho sempre avuto in concetto di Santo, e certamente sarei consolatissimo se la S. Madre Chiesa lo proponesse sugli altari".
Giuseppe Crispino, già segretario dell'arcivescovo di Napoli, Innico Caracciolo, amico dell'Orsini, uno tra i più grandi pastoralisti del tempo, autore, tra l'altro, del Trattato della Visita pastorale, pubblicato sotto l'influenza dell'Orsini, del nostro ebbe a scrivere le seguenti parole: "Nel nostro secolo, Vostra Eminenza è stata singolare, come singolarissima è e sarà, nelle sue pastorali operazioni". Il vescovo di Larino, Giovanni Tria, uno dei biografi del cardinale Orsini, autore, tra l'altro, della Vita del Sommo Pontefice Benedetto Decimoterzo, detto Teofilo Samio, pubblicata da Giuseppe Crescimbeni in Le vite degli arcadi illustri, diceva che: " il suo zelo si poteva ammirare, ma difficilmente imitare".
Sulla stessa lunghezza d'onda Prospero Lambertini, creato cardinale da Benedetto XIII e divenuto successore col nome di Benedetto XIV. Uomo di ampia cultura giuridica e teologica e grande intenditore di santi, all'interno del volume: De Servorum Dei beatificazione et beatorum canoninatione, vol. III ( La Beatificazione dei Servi di Dio e la Canonizzazione dei Beati Vol. III.1, così scrive del nostro.
"Non sopportava, se non costretto dalla necessità, di separarsi dal suo amato gregge e di rimanerne a lungo lontano: ciò che dev'essere la principale cura del vescovo (…). Visitare ogn'anno una parte della diocesi; edificare o restaurare chiese magnifiche; consacrare altari per la celebrazione dei sacri misteri; stabilir pie confraternite; fondare ospedali pubblici ed ospizi per malati; sollevare i poveri, né solo con le rendite ecclesiastiche, ma il più spesso con denaro proprio; rompere alle anime affamate il pane delizioso della parola evangelica; radunare ora concili provinciali ed ora sinodi diocesani; pubblicare le leggi fatte negli uni e negli altri; amministrare egli stesso i sacramenti della confermazione; praticar le cerimonie della Chiesa; trovarsi assiduo a tutti gli uffici divini ed adempiere senza mai stancarsi tutte le funzioni del sacro ministero; tal era il suo piano di vita, tale fu sempre la sua pratica. Per tutto ciò, finalmente, si distinse egli tanto da trovarsene ben pochi che si possano a lui paragonare, e nessuno forse che abbia accoppiato sì gran pietà e zelo in tutto ciò che tocca il culto e il servizio divino".
In più, Benedetto XIV lo ricordava ai vescovi come colui che aveva tanto "travagliato in tempo di vita sua per la retta disciplina e per la decenza delle chiese; egli era solito di portare al nostro proposito l'esempio delle chiese dei padri cappuccini, povere dell'ultima povertà, e pulite dell'ultima pulizia".
Lo storico Ludovico Antonio Muratori, autore degli Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1749, pubblicati a Milano nel 1749, dell'Orsini scrive di un papa che "faceva nel medesimo tempo l'ufizio di vescovo e di parroco". Questo giudizio, però, non lo si consideri negativo, ma, piuttosto, elogiativo, come sostiene il professore Angelomichele De Spirito nel suo Personalità e stile di vita di Benedetto XIII Vescovo e Papa Meridionale, inserendo questo particolare aspetto di vita pastorale in una visione più completa ed obiettiva di eccellenti qualità e di straordinari impegni: "il rifiuto del nepotismo, la predilezione per i poveri e gli ammalati, l'insofferenza per lo stile e i sistemi di curia, lo spirito di pietà e la cura delle anime".
Vero è, anche, che il giudizio del Muratori si intreccia con quello più realistico che, in ogni caso, ogni vescovo è prima di tutto parroco, il primo parroco di una e in una diocesi. Solo che non potendo esercitare questo ruolo in tutte le parrocchie della diocesi, delega un suo sacerdote, fermo restando che il parroco di ogni singola chiesa resta lui, il vescovo. Per cui non deve stupire che l'Orsini esercitasse, quasi sempre questa funzione, da asceta, da erudito per meglio servire, umilmente, nella vigna del Signore. Dai suoi diari apprendiamo, infatti, il totale di tutti i riti celebrati: 94.821 cresime, 2.201 ordinazioni sacerdotali e 111 episcopali, 369 chiese e 2.199 altari consacrati.
Mons. Venanzio Filippo Piersanti di Matelica, Maestro delle cerimonie apostoliche durante il pontificato di Benedetto XIII, nella orazione pronunciata nella Basilica di Santa Maria Sopra Minerva, in occasione della traslazione del corpo del pontefice dalla Basilica di San Pietro a quella in cui, spesso, l'Orsini si recava, per essere gestita dai suoi confratelli domenicani, tra l'altro, ebbe modo di pronunciare le seguenti espressioni di stima, di sincera ed affettuosa gratitudine.
"Egli eccelse per quella santità di vita che spinse nello stesso modo all'ammirazione anche i più sapienti". "Le sue doti e le nobili azioni la cui vita, illustre di esempi di solide virtù, fu lontana sempre da ogni simulazione e da artifizi di amplificazione". "Benedetto XIII Sommo Pontefice nella più grande dignità, con il più profondo dispregio delle cose umane, nel sommo sacerdozio con altissima fede religiosa in Dio nel supremo episcopato della Chiesa Cattolica, eccelse in mirifica carità verso Dio e verso il prossimo".
Certo, in questa carrellata non mancano alcuni giudizi negativi, uno di questi espressi da Pietro Giannone, che in una sua autobiografia, così scrisse dell'Orsini: "Così faceva in Roma, essendo papa, come in Benevento essendo arcivescovo, non comprendendo, finchè visse, che si fosse l'essere papa: e perciò niente curando delle cose grandi dello Stato, né della papal monarchia, era tutto inteso alle cerimonie e funzioni ecclesiastiche, a battesimi, a consacrar templi e altari, a benedire campane, alla mondizia e pulizia degli abiti ed ornamenti di sacrestia e cose simili".
Seppure il giudizio potrebbe sembrare concordare con quanto già scritto e detto da altri, nel Giannone, come gli storici hanno scorto, c'è tutta una punta di velenosa polemica ed acrimonia. Non bisogna dimenticare che fu lo stesso Orsini a provocare la condanna, attraverso un editto di proibizione, emesso nel corso del 38 sinodo della Chiesa Beneventana, della Storia civile del Regno di Napoli, scritta dal Giannone e pubblicata nel 1723, in cui veniva sostenuto il diritto o i diritti del potere civile nei confronti di quello ecclesiastico.
Un ultimo giudizio mi pare giusto e doveroso riportare, ed è quello espresso da padre Bonaventura da Lama nel suo : Cronica de' Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò, volume II. Scrive, infatti, il francescano: "Eroe Singolarissimo del Mondo Cristiano, che non ha pari nel culto sagro, Zelo della Chiesa, e nel Santo timor di Dio; che ben si potrà adattare l'Elogio dato ad Elia: Zelo zelatus sucituumm pro Domino Deo Exercituum (sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli esercit).
L'Orsini, per aver emanato, nel 1727, la Costituzione Maxima Vigilantia, con la quale ordinava che tutti i vescovi, i capitoli e i superiori delle case religiose in Italia provvedessero ad erigere l'archivio, e a fornirlo di un archivista che redigesse l'inventario dei documenti, fu definito papa archivista. In verità, questa specifica qualifica e questo specifico riconoscimento sono arrivati in maniera tardiva in quanto l'Orsini, sin dagli anni dei suoi episcopati ebbe cura di ordinare e riordinare gli archivi delle Chiese a lui affidate. Non solo, ma imponeva ai parroci di farlo. Quindi, è giusto dire e ribadire che l'Orsini fu vescovo e papa archivista. Da sempre.
Secondo il giudizio di alcuni suoi contemporanei egli non fu principe, nonostante la stirpe di discendenza, ma padre e pastore. In altre parole, il suo modo di "comandare", può dirsi un modo di insegnare, e il suo stile di governo rivela piuttosto autorità che non autoritarismo. "Era troppo austero, severo prima con se stesso che con gli o verso gli altri; cocciuto, ma umile, cordiale, gentile e generoso. Il suo clero, canonici, parroci, regolari e semplici preti o chierici, lo voleva dignitoso, dotto e santo; tanto, quanto più lo sapeva bisognoso di correzione e di generale riforma".
Con questa sua forte personalità, riuscì ad imporsi e farsi rispettare, soprattutto per quanto riguardava, da una parte, l'uso dei costumi del clero e dei cardinali. Voleva che vestissero dignitosamente, che non si servissero di barbe, baffi e parrucche. Si racconta, infatti, che durante una processione del Corpus Domini, fece allontanare un porporato che indossava la parrucca. Altrettanto esigente fu nei confronti del personale medico ed ospedaliero, quando, ad essi rimproverava lo scarso impegno nella cura degli ammalati e dei degenti, che visitava spesso, sia da semplice arcivescovo che da papa. Voleva che gli ammalati fossero accuditi come si stesse accudendo il papa. Tra l'altro, non bisogna dimenticare che fu promotore della costruzione di nuovi ospedali. A Manfredonia, a Benevento e a Roma, dove, per esempio, è ancora attivo, sia pure riconvertito, l'Ospedale di Santa Maria e San Gallicano, nel rione Trastevere.
Se insieme a questi giudizi e ad altri che andrò a riprendere successivamente, posso inserirne uno mio personale, posso dire che l'Orsini frate, cardinale, arcivescovo, papa non fu semplicemente un alter Christus, ma un ipse Christus, cioè non un altro Cristo, ma Cristo stesso.
Fra Giuseppe Luigi ( o Lodovico) De Anducar ( o Anduxar), dell' Ordine dei Predicatori, Vescovo di Tortona nel 1755, ex bibliotecario domestico di Benedetto, in qualità di testimone nel Processo per la causa di Beatificazione e Canonizzazione del venerabile Servo di Dio Papa Benedetto XIII dell'Ordine dei Predicatori, compilato nella Curia Vescovile di Tortona nel 1755, ebbe ad esprimersi in questi termini: "Io l'ho sempre avuto in concetto di Santo, e certamente sarei consolatissimo se la S. Madre Chiesa lo proponesse sugli altari".
Giuseppe Crispino, già segretario dell'arcivescovo di Napoli, Innico Caracciolo, amico dell'Orsini, uno tra i più grandi pastoralisti del tempo, autore, tra l'altro, del Trattato della Visita pastorale, pubblicato sotto l'influenza dell'Orsini, del nostro ebbe a scrivere le seguenti parole: "Nel nostro secolo, Vostra Eminenza è stata singolare, come singolarissima è e sarà, nelle sue pastorali operazioni". Il vescovo di Larino, Giovanni Tria, uno dei biografi del cardinale Orsini, autore, tra l'altro, della Vita del Sommo Pontefice Benedetto Decimoterzo, detto Teofilo Samio, pubblicata da Giuseppe Crescimbeni in Le vite degli arcadi illustri, diceva che: " il suo zelo si poteva ammirare, ma difficilmente imitare".
Sulla stessa lunghezza d'onda Prospero Lambertini, creato cardinale da Benedetto XIII e divenuto successore col nome di Benedetto XIV. Uomo di ampia cultura giuridica e teologica e grande intenditore di santi, all'interno del volume: De Servorum Dei beatificazione et beatorum canoninatione, vol. III ( La Beatificazione dei Servi di Dio e la Canonizzazione dei Beati Vol. III.1, così scrive del nostro.
"Non sopportava, se non costretto dalla necessità, di separarsi dal suo amato gregge e di rimanerne a lungo lontano: ciò che dev'essere la principale cura del vescovo (…). Visitare ogn'anno una parte della diocesi; edificare o restaurare chiese magnifiche; consacrare altari per la celebrazione dei sacri misteri; stabilir pie confraternite; fondare ospedali pubblici ed ospizi per malati; sollevare i poveri, né solo con le rendite ecclesiastiche, ma il più spesso con denaro proprio; rompere alle anime affamate il pane delizioso della parola evangelica; radunare ora concili provinciali ed ora sinodi diocesani; pubblicare le leggi fatte negli uni e negli altri; amministrare egli stesso i sacramenti della confermazione; praticar le cerimonie della Chiesa; trovarsi assiduo a tutti gli uffici divini ed adempiere senza mai stancarsi tutte le funzioni del sacro ministero; tal era il suo piano di vita, tale fu sempre la sua pratica. Per tutto ciò, finalmente, si distinse egli tanto da trovarsene ben pochi che si possano a lui paragonare, e nessuno forse che abbia accoppiato sì gran pietà e zelo in tutto ciò che tocca il culto e il servizio divino".
In più, Benedetto XIV lo ricordava ai vescovi come colui che aveva tanto "travagliato in tempo di vita sua per la retta disciplina e per la decenza delle chiese; egli era solito di portare al nostro proposito l'esempio delle chiese dei padri cappuccini, povere dell'ultima povertà, e pulite dell'ultima pulizia".
Lo storico Ludovico Antonio Muratori, autore degli Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1749, pubblicati a Milano nel 1749, dell'Orsini scrive di un papa che "faceva nel medesimo tempo l'ufizio di vescovo e di parroco". Questo giudizio, però, non lo si consideri negativo, ma, piuttosto, elogiativo, come sostiene il professore Angelomichele De Spirito nel suo Personalità e stile di vita di Benedetto XIII Vescovo e Papa Meridionale, inserendo questo particolare aspetto di vita pastorale in una visione più completa ed obiettiva di eccellenti qualità e di straordinari impegni: "il rifiuto del nepotismo, la predilezione per i poveri e gli ammalati, l'insofferenza per lo stile e i sistemi di curia, lo spirito di pietà e la cura delle anime".
Vero è, anche, che il giudizio del Muratori si intreccia con quello più realistico che, in ogni caso, ogni vescovo è prima di tutto parroco, il primo parroco di una e in una diocesi. Solo che non potendo esercitare questo ruolo in tutte le parrocchie della diocesi, delega un suo sacerdote, fermo restando che il parroco di ogni singola chiesa resta lui, il vescovo. Per cui non deve stupire che l'Orsini esercitasse, quasi sempre questa funzione, da asceta, da erudito per meglio servire, umilmente, nella vigna del Signore. Dai suoi diari apprendiamo, infatti, il totale di tutti i riti celebrati: 94.821 cresime, 2.201 ordinazioni sacerdotali e 111 episcopali, 369 chiese e 2.199 altari consacrati.
Mons. Venanzio Filippo Piersanti di Matelica, Maestro delle cerimonie apostoliche durante il pontificato di Benedetto XIII, nella orazione pronunciata nella Basilica di Santa Maria Sopra Minerva, in occasione della traslazione del corpo del pontefice dalla Basilica di San Pietro a quella in cui, spesso, l'Orsini si recava, per essere gestita dai suoi confratelli domenicani, tra l'altro, ebbe modo di pronunciare le seguenti espressioni di stima, di sincera ed affettuosa gratitudine.
"Egli eccelse per quella santità di vita che spinse nello stesso modo all'ammirazione anche i più sapienti". "Le sue doti e le nobili azioni la cui vita, illustre di esempi di solide virtù, fu lontana sempre da ogni simulazione e da artifizi di amplificazione". "Benedetto XIII Sommo Pontefice nella più grande dignità, con il più profondo dispregio delle cose umane, nel sommo sacerdozio con altissima fede religiosa in Dio nel supremo episcopato della Chiesa Cattolica, eccelse in mirifica carità verso Dio e verso il prossimo".
Certo, in questa carrellata non mancano alcuni giudizi negativi, uno di questi espressi da Pietro Giannone, che in una sua autobiografia, così scrisse dell'Orsini: "Così faceva in Roma, essendo papa, come in Benevento essendo arcivescovo, non comprendendo, finchè visse, che si fosse l'essere papa: e perciò niente curando delle cose grandi dello Stato, né della papal monarchia, era tutto inteso alle cerimonie e funzioni ecclesiastiche, a battesimi, a consacrar templi e altari, a benedire campane, alla mondizia e pulizia degli abiti ed ornamenti di sacrestia e cose simili".
Seppure il giudizio potrebbe sembrare concordare con quanto già scritto e detto da altri, nel Giannone, come gli storici hanno scorto, c'è tutta una punta di velenosa polemica ed acrimonia. Non bisogna dimenticare che fu lo stesso Orsini a provocare la condanna, attraverso un editto di proibizione, emesso nel corso del 38 sinodo della Chiesa Beneventana, della Storia civile del Regno di Napoli, scritta dal Giannone e pubblicata nel 1723, in cui veniva sostenuto il diritto o i diritti del potere civile nei confronti di quello ecclesiastico.
Un ultimo giudizio mi pare giusto e doveroso riportare, ed è quello espresso da padre Bonaventura da Lama nel suo : Cronica de' Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò, volume II. Scrive, infatti, il francescano: "Eroe Singolarissimo del Mondo Cristiano, che non ha pari nel culto sagro, Zelo della Chiesa, e nel Santo timor di Dio; che ben si potrà adattare l'Elogio dato ad Elia: Zelo zelatus sucituumm pro Domino Deo Exercituum (sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli esercit).
L'Orsini, per aver emanato, nel 1727, la Costituzione Maxima Vigilantia, con la quale ordinava che tutti i vescovi, i capitoli e i superiori delle case religiose in Italia provvedessero ad erigere l'archivio, e a fornirlo di un archivista che redigesse l'inventario dei documenti, fu definito papa archivista. In verità, questa specifica qualifica e questo specifico riconoscimento sono arrivati in maniera tardiva in quanto l'Orsini, sin dagli anni dei suoi episcopati ebbe cura di ordinare e riordinare gli archivi delle Chiese a lui affidate. Non solo, ma imponeva ai parroci di farlo. Quindi, è giusto dire e ribadire che l'Orsini fu vescovo e papa archivista. Da sempre.