Passeggiando con la storia
Gli albanesi a Gravina nel XVI secolo
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 10 settembre 2020
L'argomento, a prima vista, presuppone o merita un approfondimento di carattere sociale e politico. Non voglio farmi prendere da questa voglia tentatrice. Non voglio cadere nella trappola di una posizione preconcetta, circa il fenomeno dell'immigrazione, così come si è andata sviluppando, in Italia, in Puglia e nella nostra città , che potrebbe sembrare di parte, per un verso e ostile per l'altro. Voglio lasciar parlare i fatti. Voglio aprire questa pagina di storia locale in termini sinceri e distaccati, riferendomi agli esempi costruttivi e positivi che ne sono derivati.
Ferdinando Orsini, estromesso dal feudo di Gravina, dopo la morte violenta del padre Francesco, riuscì a riconquistarlo grazie alla protezione e alla intercessione dei Castriota, con cui gli Orsini intrattenevano buone relazioni di amicizia. Tra questi rapporti e legami riguardanti ragioni di stato, nacque anche uno di carattere matrimoniale nel momento in cui il giovane erede del casato orsiniano impalmò la giovane Angela Castriota di origini albanesi. Perciò, l'Orsini potè contare sugli aiuti ed opere di molti albanesi, venuti a Gravina al seguito della loro principessa, facendosi promotori, in diversi settori economici della città, soprattutto nella difficile fase di ricostruzione dopo il terremoto del 1456. Anzi, quasi certamente la Castriota e il suo principe consorte favorirono gli immigrati con donazioni ed esenzioni.
Notizie più dettagliate su questa massiccia e poderosa presenza le ho desunte leggendo gli atti di un convegno, svoltosi a Gravina, il 21 gennaio 2006, sul tema: "Scanderberg e Gravina" e pubblicati successivamente: "Scanderbeg tra letteratura e radici mediterranee. La sua presenza a Gravina in Puglia". Nel corso di una relazione svolta dal professore Fedele Raguso, sul tema: "Una Castriota nel Ducato di Gravina del XVI secolo", c'è un capitolo dedicato alla presenza della comunità albanese nella nostra città.
Gli immigrati si stabilirono tra la chiesa di San Giovanni Evangelista ed il convento di San Francesco, urbanizzando quella zona dando vita al quartiere "Casalnuovo", (di qui, anche, il nome di una via inserita nella toponomastica cittadina), sui fianchi della strada denominata "Via dei Greci", poi via Santoro, oggi via Pietro Ianora e di via San Giovanni Evangelista. Altri si stabilirono a ridosso di quello che un tempo fu Palazzo Orsini, oggi Capone – Spalluti, ubicato all'incrocio tra via Vittorio Veneto e via Pasquale Cassese), e nei dintorni della chiesa di San Nicola La zona di Casalnuovo fu popolata e vitalizzata con case palaziate, che ebbero come centro di aggregazione la chiesa di Santa Sofia ed il monastero S. Maria Scala Coeli.
L'opera meritoria di questi primi immigrati, come si è detto innanzi servì, essenzialmente, a ricostruire la città dopo il terremoto del 1456. Si deve a loro il consistente sviluppo urbanistico di Gravina e l'ampliamento della sua cinta muraria, che ebbe come confini da sud a nord-ovest le vie Fornaci, viale Orsini, via Garibaldi, via Fontana la Stella, con tre porte principali e torrioni: Porta Basilicata - Sant'Agostino, Porta Reale - San Michele e Porta Napoli – Aquila.
Dell'importante nucleo che si insediò tra di noi, vi furono molti agricoltori ed allevatori che seppero dare impulso all'agricoltura e agli allevamenti. Il territorio, già di per se a vocazione rurale fu ripopolato con centri agricoli produttivi, serviti da infrastrutture quali pozzi, fontane d'acqua sorgiva, piscine o vasche d'acqua piovana, ovini e recinzioni di muro a secco. Le colline circostanti furono terrazzate e destinate a piantagioni di alberi da frutti e da vigneti. Le lame che confluivano nella gravina furono trasformate in villaggi rupestri con chiese e cappelle, che fungevano da centri aggreganti e luoghi di culto. La pastorizia, con il pascolo sui latifondi erbosi e boschivi, ebbe il suo buon incremento.
Gli albanesi trapiantati a Gravina, soprattutto, gli artigiani ed artisti furono impegnati nelle opere di ricostruzione della cattedrale, per la costruzione del seminario vescovile; a costruire la chiesa e il monastero di Santa Sofia. Albanesi costruttori di mulini ad acqua. Uno di questi fu realizzato nella vallata della Gravina, di proprietà del duca e della Universitas, cioè del Comune. Per concludere e ancora a merito di questa comunità, va evidenziato un altro aspetto di carattere sociale ed occupazionale. Costituirono cooperative di mugnai, di cardatori tessitori e produttori di indumenti di lana e furono anche raccoglitori di salnitro.
Ferdinando Orsini, estromesso dal feudo di Gravina, dopo la morte violenta del padre Francesco, riuscì a riconquistarlo grazie alla protezione e alla intercessione dei Castriota, con cui gli Orsini intrattenevano buone relazioni di amicizia. Tra questi rapporti e legami riguardanti ragioni di stato, nacque anche uno di carattere matrimoniale nel momento in cui il giovane erede del casato orsiniano impalmò la giovane Angela Castriota di origini albanesi. Perciò, l'Orsini potè contare sugli aiuti ed opere di molti albanesi, venuti a Gravina al seguito della loro principessa, facendosi promotori, in diversi settori economici della città, soprattutto nella difficile fase di ricostruzione dopo il terremoto del 1456. Anzi, quasi certamente la Castriota e il suo principe consorte favorirono gli immigrati con donazioni ed esenzioni.
Notizie più dettagliate su questa massiccia e poderosa presenza le ho desunte leggendo gli atti di un convegno, svoltosi a Gravina, il 21 gennaio 2006, sul tema: "Scanderberg e Gravina" e pubblicati successivamente: "Scanderbeg tra letteratura e radici mediterranee. La sua presenza a Gravina in Puglia". Nel corso di una relazione svolta dal professore Fedele Raguso, sul tema: "Una Castriota nel Ducato di Gravina del XVI secolo", c'è un capitolo dedicato alla presenza della comunità albanese nella nostra città.
Gli immigrati si stabilirono tra la chiesa di San Giovanni Evangelista ed il convento di San Francesco, urbanizzando quella zona dando vita al quartiere "Casalnuovo", (di qui, anche, il nome di una via inserita nella toponomastica cittadina), sui fianchi della strada denominata "Via dei Greci", poi via Santoro, oggi via Pietro Ianora e di via San Giovanni Evangelista. Altri si stabilirono a ridosso di quello che un tempo fu Palazzo Orsini, oggi Capone – Spalluti, ubicato all'incrocio tra via Vittorio Veneto e via Pasquale Cassese), e nei dintorni della chiesa di San Nicola La zona di Casalnuovo fu popolata e vitalizzata con case palaziate, che ebbero come centro di aggregazione la chiesa di Santa Sofia ed il monastero S. Maria Scala Coeli.
L'opera meritoria di questi primi immigrati, come si è detto innanzi servì, essenzialmente, a ricostruire la città dopo il terremoto del 1456. Si deve a loro il consistente sviluppo urbanistico di Gravina e l'ampliamento della sua cinta muraria, che ebbe come confini da sud a nord-ovest le vie Fornaci, viale Orsini, via Garibaldi, via Fontana la Stella, con tre porte principali e torrioni: Porta Basilicata - Sant'Agostino, Porta Reale - San Michele e Porta Napoli – Aquila.
Dell'importante nucleo che si insediò tra di noi, vi furono molti agricoltori ed allevatori che seppero dare impulso all'agricoltura e agli allevamenti. Il territorio, già di per se a vocazione rurale fu ripopolato con centri agricoli produttivi, serviti da infrastrutture quali pozzi, fontane d'acqua sorgiva, piscine o vasche d'acqua piovana, ovini e recinzioni di muro a secco. Le colline circostanti furono terrazzate e destinate a piantagioni di alberi da frutti e da vigneti. Le lame che confluivano nella gravina furono trasformate in villaggi rupestri con chiese e cappelle, che fungevano da centri aggreganti e luoghi di culto. La pastorizia, con il pascolo sui latifondi erbosi e boschivi, ebbe il suo buon incremento.
Gli albanesi trapiantati a Gravina, soprattutto, gli artigiani ed artisti furono impegnati nelle opere di ricostruzione della cattedrale, per la costruzione del seminario vescovile; a costruire la chiesa e il monastero di Santa Sofia. Albanesi costruttori di mulini ad acqua. Uno di questi fu realizzato nella vallata della Gravina, di proprietà del duca e della Universitas, cioè del Comune. Per concludere e ancora a merito di questa comunità, va evidenziato un altro aspetto di carattere sociale ed occupazionale. Costituirono cooperative di mugnai, di cardatori tessitori e produttori di indumenti di lana e furono anche raccoglitori di salnitro.