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Passeggiando con la storia
I divieti quaresimali in un Editto che Vincenzo Maria Orsini promulgò nel 1676, quand’era vescovo di Manfredonia.
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 6 marzo 2025
Secondo la religione cattolica, con il mercoledì delle ceneri, ieri, ha avuto inizio la Quaresima, un tempo di preparazione alla Pasqua. Da Teresa Maria Rauzino abbiamo ripreso l'articolo pubblicato sul «Corriere del Mezzogiorno - Corriere della sera» del 19 marzo 2004, sul senso di questo particolare periodo, compresi i divieti quaresimali voliti dal cardinale Orsini, promulgati ad appena un anno dal governo pastorale nella Diocesi di Manfredonia.
"La Quaresima dovrebbe essere il momento giusto per rilanciare le pratiche del digiuno e dell'astinenza. Ma questa pratica ha ancora un senso nel mondo di oggi? Trova ancora dei convinti sostenitori? E come veniva regolata, nel passato? Lo abbiamo scoperto leggendo l'Editto per l'Osservanza della Quadragesima, nell'Appendix Sinodi della diocesi sipontina, datato 7 febbraio 1676. Per l'autore, il vescovo Vincenzo Maria Orsini, la Quaresima, che con i suoi 40 giorni corrisponde a un decimo di tutte le giornate dell'anno, «è un tributo che ogni Cristiano Cattolico deve rendere a Dio, Sommo Creatore.
È un periodo da accettare. È il tempo in cui lo Spirito deve tra le astinenze spiccare superiore al corpo». Seguendo ciò che hanno disposto i Sacri canoni e il Sacro Concilio di Trento (che includono tra i giorni di digiuno tutti i giorni della Quaresima, ad eccezione delle domeniche), monsignor Orsini ordina a tutti, e a ciascuno dei suoi "sudditi", che nella prossima, futura Quaresima osservino le seguenti regole: «Che niuno (nessuno), almeno dai sette anni in su, ardisca di mangiar carne di qualsiasi specie». Oltre alla carne è vietato mangiare uova, e butiro (burro). Le "sanzioni" previste sono piuttosto pesanti: per gli ecclesiastici la deposizione, per i laici la scomunica.
Tutti coloro che hanno un'età "obbligante" sono, quindi, tenuti a digiunare ogni giorno, ad eccezione delle domeniche. Monsignor Orsini esenta da questi obblighi soltanto le persone inferme, e quelle alle quali per legittime ragioni è concessa dispensa da' sacri Canoni. Esse sono tenute a produrre «una fede giurata del Medico». Al certificato dovrà essere allegata la fede giurata del confessore che «abbia cognizione della loro coscienza».
Solo dopo aver presentato questi documenti all'arcivescovo, o al suo vicario generale o vicari foranei, presenti nei vari centri della diocesi, sarà possibile, per gli infermi, ottenere l'agognata licenza scritta che permetta loro di assaporare i cibi vietati. Ma i divieti non finiscono qui: pur avendo la dispensa scritta, gli infermi sono tenuti «ad usare detti cibi moderatamente e privatamente»: dovranno evitare di farsi vedere mentre mangiano cibi vietati, in special modo da persone sconosciute.
Per chi non osserverà queste cautele è prevista una pena grave, a discrezione dell'arcivescovo, e in sussidio di scomunica. Orsini ordina ai medici e ai confessori di non rilasciare, a meno che non siano strettamente necessari, i suddetti certificati. Li minaccia di gravi sanzioni se lo faranno con leggerezza. Ordina, infine, che nessuno venda pubblicamente cibi vietati: "Tutti i bottegari, in tempo di predica, sono obbligati a tenere chiuse le loro botteghe". Se non lo faranno, tutta la loro merce verrà sequestrata.
Per evitare che il digiuno possa essere un'occasione di vanto, dovrà essere effettuato in segreto e nell'umiltà. La tradizione cristiana è categorica su questo punto: "Meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la maldicenza i propri fratelli" (Abba Iperechio); "Se praticate un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi" (Isidoro il Presbitero).
Anche l'Editto per l'osservanza della Quaresima si chiude con una raccomandazione: "Melior est abstinenti a vitiorum, quam ciborum" (Meglio l'astinenza dai vizi rispetto a quella dai cibi). Perciò, in questo "sagro tempo", si dovranno mettere da parte gli odi, e riappacificarsi col prossimo, bisognerà astenersi dalle cacce, dai conviti, dai festini, seguire le prediche, udire ogni mattina la santa messa, più volte confessarsi e comunicarsi, e fare opere pie confacenti allo stato di buon cristiano.
Affinché l'Editto sia noto a tutti, Orsini ordina agli arcipreti della diocesi sipontina di pubblicarlo nella domenica della Quinquagesima e nella seconda domenica di Quadragesima; e di tenerlo affisso sulle porte delle chiese per tutto il tempo quaresimale: "Ed in tal modo abbia forza, come se fosse personalmente intimato a ciascuno!". Nei giorni festivi si permetteva generalmente ai venditori di pane, vino, frutti ed ortaggi, ai macellai, ai bottegai e albergatori, "ad aromatarij e spetiali di poter vendere i loro generi acciò le feste non siano gravi, ma celebrate con hilarità spirituale". Ma questo è vietato a Pasqua: "Nelli giorni della Pascha di Resurrezione... non s'aprirà alcuna botegha, nè si venderà, nè si opererà, o farassi alcuna cosa se non per mera & evidentissima necessità di qualche infermo".
"La Quaresima dovrebbe essere il momento giusto per rilanciare le pratiche del digiuno e dell'astinenza. Ma questa pratica ha ancora un senso nel mondo di oggi? Trova ancora dei convinti sostenitori? E come veniva regolata, nel passato? Lo abbiamo scoperto leggendo l'Editto per l'Osservanza della Quadragesima, nell'Appendix Sinodi della diocesi sipontina, datato 7 febbraio 1676. Per l'autore, il vescovo Vincenzo Maria Orsini, la Quaresima, che con i suoi 40 giorni corrisponde a un decimo di tutte le giornate dell'anno, «è un tributo che ogni Cristiano Cattolico deve rendere a Dio, Sommo Creatore.
È un periodo da accettare. È il tempo in cui lo Spirito deve tra le astinenze spiccare superiore al corpo». Seguendo ciò che hanno disposto i Sacri canoni e il Sacro Concilio di Trento (che includono tra i giorni di digiuno tutti i giorni della Quaresima, ad eccezione delle domeniche), monsignor Orsini ordina a tutti, e a ciascuno dei suoi "sudditi", che nella prossima, futura Quaresima osservino le seguenti regole: «Che niuno (nessuno), almeno dai sette anni in su, ardisca di mangiar carne di qualsiasi specie». Oltre alla carne è vietato mangiare uova, e butiro (burro). Le "sanzioni" previste sono piuttosto pesanti: per gli ecclesiastici la deposizione, per i laici la scomunica.
Tutti coloro che hanno un'età "obbligante" sono, quindi, tenuti a digiunare ogni giorno, ad eccezione delle domeniche. Monsignor Orsini esenta da questi obblighi soltanto le persone inferme, e quelle alle quali per legittime ragioni è concessa dispensa da' sacri Canoni. Esse sono tenute a produrre «una fede giurata del Medico». Al certificato dovrà essere allegata la fede giurata del confessore che «abbia cognizione della loro coscienza».
Solo dopo aver presentato questi documenti all'arcivescovo, o al suo vicario generale o vicari foranei, presenti nei vari centri della diocesi, sarà possibile, per gli infermi, ottenere l'agognata licenza scritta che permetta loro di assaporare i cibi vietati. Ma i divieti non finiscono qui: pur avendo la dispensa scritta, gli infermi sono tenuti «ad usare detti cibi moderatamente e privatamente»: dovranno evitare di farsi vedere mentre mangiano cibi vietati, in special modo da persone sconosciute.
Per chi non osserverà queste cautele è prevista una pena grave, a discrezione dell'arcivescovo, e in sussidio di scomunica. Orsini ordina ai medici e ai confessori di non rilasciare, a meno che non siano strettamente necessari, i suddetti certificati. Li minaccia di gravi sanzioni se lo faranno con leggerezza. Ordina, infine, che nessuno venda pubblicamente cibi vietati: "Tutti i bottegari, in tempo di predica, sono obbligati a tenere chiuse le loro botteghe". Se non lo faranno, tutta la loro merce verrà sequestrata.
Per evitare che il digiuno possa essere un'occasione di vanto, dovrà essere effettuato in segreto e nell'umiltà. La tradizione cristiana è categorica su questo punto: "Meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la maldicenza i propri fratelli" (Abba Iperechio); "Se praticate un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi" (Isidoro il Presbitero).
Anche l'Editto per l'osservanza della Quaresima si chiude con una raccomandazione: "Melior est abstinenti a vitiorum, quam ciborum" (Meglio l'astinenza dai vizi rispetto a quella dai cibi). Perciò, in questo "sagro tempo", si dovranno mettere da parte gli odi, e riappacificarsi col prossimo, bisognerà astenersi dalle cacce, dai conviti, dai festini, seguire le prediche, udire ogni mattina la santa messa, più volte confessarsi e comunicarsi, e fare opere pie confacenti allo stato di buon cristiano.
Affinché l'Editto sia noto a tutti, Orsini ordina agli arcipreti della diocesi sipontina di pubblicarlo nella domenica della Quinquagesima e nella seconda domenica di Quadragesima; e di tenerlo affisso sulle porte delle chiese per tutto il tempo quaresimale: "Ed in tal modo abbia forza, come se fosse personalmente intimato a ciascuno!". Nei giorni festivi si permetteva generalmente ai venditori di pane, vino, frutti ed ortaggi, ai macellai, ai bottegai e albergatori, "ad aromatarij e spetiali di poter vendere i loro generi acciò le feste non siano gravi, ma celebrate con hilarità spirituale". Ma questo è vietato a Pasqua: "Nelli giorni della Pascha di Resurrezione... non s'aprirà alcuna botegha, nè si venderà, nè si opererà, o farassi alcuna cosa se non per mera & evidentissima necessità di qualche infermo".