Passeggiando con la storia
Il busto di Mons. Arcasio Ricci nel cappellone del Santissimo
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 15 agosto 2024
La nota critica d'arte, Clara Gelao, a proposito di questo monumento, nel XXIII volume, fasc. III – IV di Napoli nobilissima, 1984, pubblicava l'articolo: "Un busto del Mochi a Gravina". La studiosa, pur descrivendolo nelle sue parti; pur adducendo considerazioni di carattere stilistico, di dubbio gusto, secondo lei, sul posizionamento dell'opera, non riusciva, però, ad identificare con precisione l'autore dell'opera, anche se lo datava non anteriormente al 13 novembre del 1630, tenuto conto che l'elezione a vescovo di Gravina di mons. Ricci, avvenne il 24 novembre dello stesso anno.
Così scriveva: "Se dunque la data non desta eccessivi problemi (e d'altronde non potrà superare il 1636, anno della morte del vescovo), del tutto sconosciuto risulta invece il nome dell'autore di questo inedito fuor d'opera; nome che non trapela né dalle fonti archivistiche, né dalla davvero scarna storiografia che lo riguarda".
Fortunatamente, da parte di altri, gli studi, le ricerche hanno fatto passi in avanti, tanto che Emanuele Pellegrini, nel suo articolo: Giovanni Ricci e Francesco Mochi: il busto di Arcasio Ricci nel duomo di Gravina, pubblicato in Commentari d'arte, 12, 1999, Saggi di Storia dell'Arte, va oltre la Gelao, attraverso un documento ritrovato nel Fondo Ricci (Entrata ed Uscita di Casa Ricci), dell'archivio capitolare di Pescia, risalendo sia al committente e sia all'esecutore del busto marmoreo dell'ex vescovo della nostra città e Diocesi.
Scriveva il ricercatore: "E' noto come Giovanni Ricci (fratello di mons. Arcasio n.d.r.) avesse commissionato a Francesco Mochi il busto del cardinal d'Aquino che adorna il suo monumento funebre in Santa Maria sopra Minerva, ma non era stato possibile accertare che lo stesso Ricci nel maggio 1636, da due anni proposto di Pescia, avesse pagato ancora lo scultore di Montevarchi per la realizzazione di un altro busto, quello di suo fratello Arcasio, vescovo di Gravina, morto pochi mesi prima."
Tra l'altro, i due monumenti, come riferisce lo stesso autore del saggio si differenziano per una caratteristica sostanziale. "Infatti, mentre la stessa epigrafe apposta sul monumento del cardinale Ladislao d'Aquino nella chiesa romana dichiarava esplicitamente Giovanni Ricci responsabile dell'opera, l'iscrizione sul sepolcro pugliese rendeva noto solamente che Arcasio Ricci aveva edificato il proprio mausoleo quando era ancora in vita (posuit vivens)".
Considerato che i rapporti tra Giovanni Ricci e lo scultore montevarchino Mochi "lasciavano presupporre che proprio il proposto si sarebbe occupato dell'esecuzione del busto marmoreo raffigurante suo fratello, non esistevano certezze che potessero confermare questo asserto".
Alla fine, la verità, la certezza, senza più ombre di dubbi, è venuta fuori, come si diceva innanzi, grazie ad una ricerca effettuata nell'archivio capitolare di Pescia. In questo documento è possibile trovare riferimenti al committente e all'artista. La notizia del pagamento è infatti registrata in un quaderno di spese di casa Ricci nel quale, oltre ad un saldo riferito ad un'altra committenza, si espresso riferimento al monumento gravinese.
"E a dì 20 maggio scudi 25 pagamento di mio ordine al sig. Francesco Galeffi, al qual ordinai desse al sig. Francesco Mochi in somma di scudi 50 per la statua di Monsignor mio fatto vescovo di Gravina" . Conclude Pellegrini: "La vicinanza temporale tra il decesso del vescovo di gravina e il pagamento al Mochi potrebbe far apparire il gesto del Ricci quasi un omaggio alla memoria di Arcasio".
A tutto ciò, per completezza, va aggiunto ciò che ribadì lo stesso mons. Arcasio, nel corso della sua seconda Visita ad limina Apostolorum, il 23 gennaio 1634, relativamente alla costruzione della Cappella del Santissimo, voluta dallo stesso presule, ove fu già previsto e costruito il monumento che avrebbe accolto i suoi resti mortali.
"Il sacramento della santissima eucaristia si conservava in un sacello molto piccolo e poco decoroso a sinistra del coro, quasi in un angolo della chiesa, né avrebbe potuto essere con maggiore devozione essere collocato altrove, giacchè non v'era altro luogo adatto, se non nel lato destro, il che però era cosa difficilissima a costruire su rocce a strapiombo, e insomma non pareva che si potesse gettare alcun fondamento se non con immane fatica e spesa.
Ma confidando nell'aiuto celeste e aggredendo per superarla questa difficoltà, grazie al sostegno divino l'opera è riuscita magnifica, ampia e sontuosa. La struttura è di forma ottagonale con una cupola costruita in proporzione. In mezzo al muro c'è un altare con custodia. Sul lato sinistro sotto un arco a fornice è stato eretto il mio sepolcro".
Così scriveva: "Se dunque la data non desta eccessivi problemi (e d'altronde non potrà superare il 1636, anno della morte del vescovo), del tutto sconosciuto risulta invece il nome dell'autore di questo inedito fuor d'opera; nome che non trapela né dalle fonti archivistiche, né dalla davvero scarna storiografia che lo riguarda".
Fortunatamente, da parte di altri, gli studi, le ricerche hanno fatto passi in avanti, tanto che Emanuele Pellegrini, nel suo articolo: Giovanni Ricci e Francesco Mochi: il busto di Arcasio Ricci nel duomo di Gravina, pubblicato in Commentari d'arte, 12, 1999, Saggi di Storia dell'Arte, va oltre la Gelao, attraverso un documento ritrovato nel Fondo Ricci (Entrata ed Uscita di Casa Ricci), dell'archivio capitolare di Pescia, risalendo sia al committente e sia all'esecutore del busto marmoreo dell'ex vescovo della nostra città e Diocesi.
Scriveva il ricercatore: "E' noto come Giovanni Ricci (fratello di mons. Arcasio n.d.r.) avesse commissionato a Francesco Mochi il busto del cardinal d'Aquino che adorna il suo monumento funebre in Santa Maria sopra Minerva, ma non era stato possibile accertare che lo stesso Ricci nel maggio 1636, da due anni proposto di Pescia, avesse pagato ancora lo scultore di Montevarchi per la realizzazione di un altro busto, quello di suo fratello Arcasio, vescovo di Gravina, morto pochi mesi prima."
Tra l'altro, i due monumenti, come riferisce lo stesso autore del saggio si differenziano per una caratteristica sostanziale. "Infatti, mentre la stessa epigrafe apposta sul monumento del cardinale Ladislao d'Aquino nella chiesa romana dichiarava esplicitamente Giovanni Ricci responsabile dell'opera, l'iscrizione sul sepolcro pugliese rendeva noto solamente che Arcasio Ricci aveva edificato il proprio mausoleo quando era ancora in vita (posuit vivens)".
Considerato che i rapporti tra Giovanni Ricci e lo scultore montevarchino Mochi "lasciavano presupporre che proprio il proposto si sarebbe occupato dell'esecuzione del busto marmoreo raffigurante suo fratello, non esistevano certezze che potessero confermare questo asserto".
Alla fine, la verità, la certezza, senza più ombre di dubbi, è venuta fuori, come si diceva innanzi, grazie ad una ricerca effettuata nell'archivio capitolare di Pescia. In questo documento è possibile trovare riferimenti al committente e all'artista. La notizia del pagamento è infatti registrata in un quaderno di spese di casa Ricci nel quale, oltre ad un saldo riferito ad un'altra committenza, si espresso riferimento al monumento gravinese.
"E a dì 20 maggio scudi 25 pagamento di mio ordine al sig. Francesco Galeffi, al qual ordinai desse al sig. Francesco Mochi in somma di scudi 50 per la statua di Monsignor mio fatto vescovo di Gravina" . Conclude Pellegrini: "La vicinanza temporale tra il decesso del vescovo di gravina e il pagamento al Mochi potrebbe far apparire il gesto del Ricci quasi un omaggio alla memoria di Arcasio".
A tutto ciò, per completezza, va aggiunto ciò che ribadì lo stesso mons. Arcasio, nel corso della sua seconda Visita ad limina Apostolorum, il 23 gennaio 1634, relativamente alla costruzione della Cappella del Santissimo, voluta dallo stesso presule, ove fu già previsto e costruito il monumento che avrebbe accolto i suoi resti mortali.
"Il sacramento della santissima eucaristia si conservava in un sacello molto piccolo e poco decoroso a sinistra del coro, quasi in un angolo della chiesa, né avrebbe potuto essere con maggiore devozione essere collocato altrove, giacchè non v'era altro luogo adatto, se non nel lato destro, il che però era cosa difficilissima a costruire su rocce a strapiombo, e insomma non pareva che si potesse gettare alcun fondamento se non con immane fatica e spesa.
Ma confidando nell'aiuto celeste e aggredendo per superarla questa difficoltà, grazie al sostegno divino l'opera è riuscita magnifica, ampia e sontuosa. La struttura è di forma ottagonale con una cupola costruita in proporzione. In mezzo al muro c'è un altare con custodia. Sul lato sinistro sotto un arco a fornice è stato eretto il mio sepolcro".