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Passeggiando con la storia
Il Carnevale di Gravina: la corsa all’anello
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 20 febbraio 2025
Da un contributo di Ferdinando Mirizzi, docente di discipline demo antropologiche presso la facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Basilicata.
Nel clima di generale risveglio di interesse per il Carnevale, divenuto negli anni Ottanta autentico fenomeno di massa, variamente definito dalle innumerevoli sfilate di carri sul modello viareggino o putignanese, dall'esplosione del raffinato e colto carnevale veneziano o, ancora, dalle forme di partecipazione spontanea, giocosa e `liberatoria' dei gruppi giovanili, specie in àmbito urbano, anche a Gravina si è registrata la ripresa, dopo di due cerimoniali tipici del Carnevale tradizionale: la corsa all'anello e la sfilata degli aratori e dei seminatori.
Si trattava di ricostruire su base memoriale tratti della cultura tradizionale da riprodurre e rappresentare, rifunzionalizzandoli, in chiave paradigmatica e didascalica. L'operazione si inseriva in un progetto più complessivo di recupero e riproposta dei vari aspetti della cultura popolare del territorio, che ha comportato, tra l'altro, la nascita significativa nel 1988 di un «Centro di documentazione della vita contadina» che, senza voler essere un museo, e quindi svincolato da problemi di natura espositiva, si presenta propriamente come una sorta di ricco «deposito» di oggetti, organicamente strutturato e articolatamente organizzato, con dichiarate intenzioni documentarie e didattiche. Ma torniamo al Carnevale
Dal 1984, dunque, l'ultima domenica del ciclo carnevalesco, nei pressi della chiesa di Sant'Agostino, si svolge annualmente, dopo una lunga interruzione, la corsa all'anello, una gara appartenente a quel genere di giostre a cavallo che, ispirandosi ai cortei cavallereschi medievali, conobbero una grande fioritura a partire dall'età rinasci-mentale. Molto diffuse nell'Italia centrale e settentrionale e nella Sardegna, tali giostre non avevano in origine una precisa collocazione nell'arco calendariale, ma finirono ben presto per essere inglobate nei rituali e nel periodo carnevaleschi, probabilmente per via della carica agonistica che le contraddistingueva e che, come è noto, rappresenta anche uno dei caratteri costitutivi del Carnevale.
La corsa all'anello, che ha oggi la sua espressione più nota e spettacolare nella «Sartiglia» di Oristano, consiste in una gara tra cavalieri, che devono cercare di infilare, con un bastone, una spada o una lancia, un anello sospeso tra i due lati di una strada. Allo stato attuale delle cono-scenze e della documentazione, la giostra gravinese costituisce nello specifico un unicum in territorio pugliese, trovando però un collegamento stretto e significativo col più famoso «palio del viccio» di Palo del Colle, dove l'ultimo lunedì di Carnevale alcuni cavalieri, vestiti con camicia e pantaloni bianchi, devono lacerare, con un bastone dotato diffusissimi – e vitali, in taluni casi, ancora fino agli anni Cinquanta – palii del pollo e del tacchino, come in origine era sicuramente quello di Palo, durante i quali i concorrenti a cavallo dovevano colpire con una mazza polli o tacchini vivi, appesi con le zampe ad una fune.
In ogni caso, si tratta di manifestazioni con funzioni essenzialmente spettacolari e sceniche, rivolte ad un pubblico separato anche fisicamente dai protagonisti e destinate a far risaltare il coraggio e l'abilità dei cavalieri, che con una mano devono reggere le briglie e guidare il cavallo al galoppo, con l'altra infilare o colpire il bersaglio, riuscendo a mantenere un assetto coordinato pur dovendosi, nel momento culminante, sollevare sulle staffe.
A Gravina, dunque, la gara richiede ai concorrenti di infilare, con una mazza di piccole dimensioni, un anello di ferro inserito in un bastone di ferula, che è assicurato ad una corda sospesa, in alto, alle due estremità di una strada in piazza Sant'Agostino. I cavalieri hanno a disposizione ciascuno cinque giri di prova per acquisire il diritto a partire nelle prime posizioni nel sesto e decisivo giro, durante il quale si assegna la vittoria a chi per primo riesce nell'impresa di infilare l'anello.
I cinque tentativi iniziali hanno dunque lo scopo di determinare la griglia di partenza per la gara vera e propria – chi infila più volte l'anello parte per primo e, a parità di anelli infilati, si procede ad un sorteggio – e costituiscono in sostanza un escamotage messo in atto dagli attuali organizzatori per allungare i tempi della manifestazione e renderla più interessante e avvincente agli occhi degli spettatori. In passato, invece, la giostra consisteva solo nel giro competitivo ufficiale, mentre l'ordine di partenza era direttamente stabilito in base ad un sorteggio tra i partecipanti, che dovevano peraltro procurarsi il bastone consistente in genere in un rametto di mandorlo o di altra pianta; oggi è invece la Pro loco a fornire ai concorrenti delle mazze uguali per tutti, della lunghezza di una ventina di centimetri circa. ll premio per il vincitore consisteva, e consiste tuttora, nell'onore di poter offrire a San Michele, patrono della città, un anello d'oro, oggi messo a disposizione dai gioiellieri gravinesi, che viene applicato con un nastrino al braccio della statua in pietra del santo custodita in un altare laterale della maggiore chiesa cittadina e che, secondo la tradizione, non deve essere di lì spostata per nessuna ragione, pena il rischio di gravi terremoti.
L'atto dell'offerta avviene alla fine della gara, quando tutti i cavalieri accompagnano, in un improvvisato corteo, il vincitore fino alla vicina cattedrale, dove tutti insieme rendono omaggio all'effigie del santo, di recente attribuita a Stefano da Putignano. La manifestazione comporta oggi qualche difficoltà di natura organizzativa, perché rispetto al passato le strade sono naturalmente asfaltate, e quindi non adatte ad una competizione equestre; il che ha determinato, ad esempio, oltre all'esigenza di ricoprire ogni volta il fondo stradale con «tufina», lo spostamento del punto di sospensione dell'anello da via San Sebastiano (nota a Gravina come u stratòne de Criste) all'attuale piazza Sant'Agostino, dubbiamente più comoda per cavalli e cavalieri.
Ma ci sono altre ragioni alla base delle difficoltà organizzative: il generale disinteresse della popolazione, principale motivo, del resto, dell'interruzione, alla metà degli anni Sessanta, della gara, che era stata in quel periodo trasferita, per ragioni di sicurezza e di traffico, al decentrato campo sportivo; e, soprattutto, la scarsezza di cavalli e cavalieri, i quali ultimi, pur non avendo le stesse abilità di quelli del passato, hanno bisogno di essere invogliati – quasi pregati – alla partecipazione, come lamenta il presidente della Pro loco. Eppure, fino agli anni tra le due guerre era un onore per i contadini prender parte alla «corsa», indossando tuniche e fasce multicolori – per travestirsi da improbabili antichi cavalieri – e potendo tra l'altro montare sui migliori cavalli della zona, che i proprietari mettevano volentieri a loro disposizione, ostentando così la propria ricchezza e sponsorizzando in certo qual modo la gara.
Sono questi, del resto, problemi ricorrenti in tutte le operazioni di riplasmazione e riproposta di fatti e fenomeni appartenenti alla cultura tradizionale in contesti nuovi e sottoposti ad una forte dinamica trasformativa, all'interno dei quali rischiano di rimanere isolati e cristallizzati come corpi estranei e semplici espressioni memoriali. Una volta esaurita la loro carica di novità e soddisfatta l'immediata curiosità della gente per quel che è stato e che non è più, tali fatti vedono progressivamente affievolire anche le loro valenze comunicative nella dimensione ripetitiva e stancante del già visto, da porre ormai negli archivi della memoria e nulla più, a meno che non si carichino di nuovi significati e di funzioni rivitalizzanti, adeguati gli uni e le altre ai presupposti e alle esigenze della società moderna.
E in questa prospettiva la corsa all'anello, probabilmente più della sfilata degli aratori e dei seminatori (di cui abbiamo parlato nella puntata del 30 gennaio), può vantare qualche concreta chance, da una parte per la sua peculiare caratteristica di gara sportiva e per le sue potenzialità spettacolari, dall'altra per l'attuale «recupero» del cavallo, di tipo ludico e/o turistico, che rientra nella più generale domanda ecologica di riappropriazione di un rapporto diretto con la natura proveniente soprattutto dalle nuove generazioni. Quest'ultima considerazione sembra trovare conferma nell'odierno sviluppo dei maneggi e nel fatto che una delle maggiori attrattive di molte delle ormai diffusissime aziende agrituristiche sia costituita proprio dalla proposta di passeggiate a cavallo attraverso prati e boschi.
Nel clima di generale risveglio di interesse per il Carnevale, divenuto negli anni Ottanta autentico fenomeno di massa, variamente definito dalle innumerevoli sfilate di carri sul modello viareggino o putignanese, dall'esplosione del raffinato e colto carnevale veneziano o, ancora, dalle forme di partecipazione spontanea, giocosa e `liberatoria' dei gruppi giovanili, specie in àmbito urbano, anche a Gravina si è registrata la ripresa, dopo di due cerimoniali tipici del Carnevale tradizionale: la corsa all'anello e la sfilata degli aratori e dei seminatori.
Si trattava di ricostruire su base memoriale tratti della cultura tradizionale da riprodurre e rappresentare, rifunzionalizzandoli, in chiave paradigmatica e didascalica. L'operazione si inseriva in un progetto più complessivo di recupero e riproposta dei vari aspetti della cultura popolare del territorio, che ha comportato, tra l'altro, la nascita significativa nel 1988 di un «Centro di documentazione della vita contadina» che, senza voler essere un museo, e quindi svincolato da problemi di natura espositiva, si presenta propriamente come una sorta di ricco «deposito» di oggetti, organicamente strutturato e articolatamente organizzato, con dichiarate intenzioni documentarie e didattiche. Ma torniamo al Carnevale
Dal 1984, dunque, l'ultima domenica del ciclo carnevalesco, nei pressi della chiesa di Sant'Agostino, si svolge annualmente, dopo una lunga interruzione, la corsa all'anello, una gara appartenente a quel genere di giostre a cavallo che, ispirandosi ai cortei cavallereschi medievali, conobbero una grande fioritura a partire dall'età rinasci-mentale. Molto diffuse nell'Italia centrale e settentrionale e nella Sardegna, tali giostre non avevano in origine una precisa collocazione nell'arco calendariale, ma finirono ben presto per essere inglobate nei rituali e nel periodo carnevaleschi, probabilmente per via della carica agonistica che le contraddistingueva e che, come è noto, rappresenta anche uno dei caratteri costitutivi del Carnevale.
La corsa all'anello, che ha oggi la sua espressione più nota e spettacolare nella «Sartiglia» di Oristano, consiste in una gara tra cavalieri, che devono cercare di infilare, con un bastone, una spada o una lancia, un anello sospeso tra i due lati di una strada. Allo stato attuale delle cono-scenze e della documentazione, la giostra gravinese costituisce nello specifico un unicum in territorio pugliese, trovando però un collegamento stretto e significativo col più famoso «palio del viccio» di Palo del Colle, dove l'ultimo lunedì di Carnevale alcuni cavalieri, vestiti con camicia e pantaloni bianchi, devono lacerare, con un bastone dotato diffusissimi – e vitali, in taluni casi, ancora fino agli anni Cinquanta – palii del pollo e del tacchino, come in origine era sicuramente quello di Palo, durante i quali i concorrenti a cavallo dovevano colpire con una mazza polli o tacchini vivi, appesi con le zampe ad una fune.
In ogni caso, si tratta di manifestazioni con funzioni essenzialmente spettacolari e sceniche, rivolte ad un pubblico separato anche fisicamente dai protagonisti e destinate a far risaltare il coraggio e l'abilità dei cavalieri, che con una mano devono reggere le briglie e guidare il cavallo al galoppo, con l'altra infilare o colpire il bersaglio, riuscendo a mantenere un assetto coordinato pur dovendosi, nel momento culminante, sollevare sulle staffe.
A Gravina, dunque, la gara richiede ai concorrenti di infilare, con una mazza di piccole dimensioni, un anello di ferro inserito in un bastone di ferula, che è assicurato ad una corda sospesa, in alto, alle due estremità di una strada in piazza Sant'Agostino. I cavalieri hanno a disposizione ciascuno cinque giri di prova per acquisire il diritto a partire nelle prime posizioni nel sesto e decisivo giro, durante il quale si assegna la vittoria a chi per primo riesce nell'impresa di infilare l'anello.
I cinque tentativi iniziali hanno dunque lo scopo di determinare la griglia di partenza per la gara vera e propria – chi infila più volte l'anello parte per primo e, a parità di anelli infilati, si procede ad un sorteggio – e costituiscono in sostanza un escamotage messo in atto dagli attuali organizzatori per allungare i tempi della manifestazione e renderla più interessante e avvincente agli occhi degli spettatori. In passato, invece, la giostra consisteva solo nel giro competitivo ufficiale, mentre l'ordine di partenza era direttamente stabilito in base ad un sorteggio tra i partecipanti, che dovevano peraltro procurarsi il bastone consistente in genere in un rametto di mandorlo o di altra pianta; oggi è invece la Pro loco a fornire ai concorrenti delle mazze uguali per tutti, della lunghezza di una ventina di centimetri circa. ll premio per il vincitore consisteva, e consiste tuttora, nell'onore di poter offrire a San Michele, patrono della città, un anello d'oro, oggi messo a disposizione dai gioiellieri gravinesi, che viene applicato con un nastrino al braccio della statua in pietra del santo custodita in un altare laterale della maggiore chiesa cittadina e che, secondo la tradizione, non deve essere di lì spostata per nessuna ragione, pena il rischio di gravi terremoti.
L'atto dell'offerta avviene alla fine della gara, quando tutti i cavalieri accompagnano, in un improvvisato corteo, il vincitore fino alla vicina cattedrale, dove tutti insieme rendono omaggio all'effigie del santo, di recente attribuita a Stefano da Putignano. La manifestazione comporta oggi qualche difficoltà di natura organizzativa, perché rispetto al passato le strade sono naturalmente asfaltate, e quindi non adatte ad una competizione equestre; il che ha determinato, ad esempio, oltre all'esigenza di ricoprire ogni volta il fondo stradale con «tufina», lo spostamento del punto di sospensione dell'anello da via San Sebastiano (nota a Gravina come u stratòne de Criste) all'attuale piazza Sant'Agostino, dubbiamente più comoda per cavalli e cavalieri.
Ma ci sono altre ragioni alla base delle difficoltà organizzative: il generale disinteresse della popolazione, principale motivo, del resto, dell'interruzione, alla metà degli anni Sessanta, della gara, che era stata in quel periodo trasferita, per ragioni di sicurezza e di traffico, al decentrato campo sportivo; e, soprattutto, la scarsezza di cavalli e cavalieri, i quali ultimi, pur non avendo le stesse abilità di quelli del passato, hanno bisogno di essere invogliati – quasi pregati – alla partecipazione, come lamenta il presidente della Pro loco. Eppure, fino agli anni tra le due guerre era un onore per i contadini prender parte alla «corsa», indossando tuniche e fasce multicolori – per travestirsi da improbabili antichi cavalieri – e potendo tra l'altro montare sui migliori cavalli della zona, che i proprietari mettevano volentieri a loro disposizione, ostentando così la propria ricchezza e sponsorizzando in certo qual modo la gara.
Sono questi, del resto, problemi ricorrenti in tutte le operazioni di riplasmazione e riproposta di fatti e fenomeni appartenenti alla cultura tradizionale in contesti nuovi e sottoposti ad una forte dinamica trasformativa, all'interno dei quali rischiano di rimanere isolati e cristallizzati come corpi estranei e semplici espressioni memoriali. Una volta esaurita la loro carica di novità e soddisfatta l'immediata curiosità della gente per quel che è stato e che non è più, tali fatti vedono progressivamente affievolire anche le loro valenze comunicative nella dimensione ripetitiva e stancante del già visto, da porre ormai negli archivi della memoria e nulla più, a meno che non si carichino di nuovi significati e di funzioni rivitalizzanti, adeguati gli uni e le altre ai presupposti e alle esigenze della società moderna.
E in questa prospettiva la corsa all'anello, probabilmente più della sfilata degli aratori e dei seminatori (di cui abbiamo parlato nella puntata del 30 gennaio), può vantare qualche concreta chance, da una parte per la sua peculiare caratteristica di gara sportiva e per le sue potenzialità spettacolari, dall'altra per l'attuale «recupero» del cavallo, di tipo ludico e/o turistico, che rientra nella più generale domanda ecologica di riappropriazione di un rapporto diretto con la natura proveniente soprattutto dalle nuove generazioni. Quest'ultima considerazione sembra trovare conferma nell'odierno sviluppo dei maneggi e nel fatto che una delle maggiori attrattive di molte delle ormai diffusissime aziende agrituristiche sia costituita proprio dalla proposta di passeggiate a cavallo attraverso prati e boschi.