Rubrica “Passeggiando con la storia” - la cola cola
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Passeggiando con la storia

Il Cola- Cola, un giocattolo, un totem di felicità, spensieratezza e fertilità

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

Il Cola-Cola, che altrove viene chiamato o definito solo fischietto, in altre parti viene chiamato cucù, come, ad esempio a Matera, impariamo a chiamarlo e a coniugarlo al maschile, visto che si tratta di un oggetto, a forma di uccello e che, comunque, è e rimane un fischietto. Da questo punto di vista si è occupato Amedeo Visci, pubblicando un testo: "Il Cola Cola. Tra il mito degli dei e degli eroi".

Quindi, per farne un questione lessicale, possiamo dire che il fischietto è sostantivo maschile, per cui l'oggetto di che trattasi va coniugato al maschile, cioè il Cola Cola, considerato, come accennato innanzi, che è riferito ad un uccello. Se poi, si passa al riferimento di uccello specifico, cioè la gazza ladra, coniugarlo al femminile va altrettanto bene. Quindi, o al maschile o al femminile, sono entrambi corretti.

In Italia, dal Nord al Sud, un po' tutte le regioni vedono la presenza di fischietti apotropaici. Più vicine a noi, la Basilicata con Matera, la Puglia con Grottaglie, Gravina e Rutigliano. A Gravina si chiama la "Cola Cola" (còula-còule in dialetto gravinese), e il suo nome deriva dal nome assegnato dai gravinesi alla gazza (Pica Caudata), abituale frequentatrice dei boschi dell'agro gravinese.

Infine, il cola cola ha valore di buon auspicio perchè come l'artigiano, anno dopo anno, rigenerava questo oggetto con la sua fantasia e la sua bravura, così il contadino sperava nella rinascita della terra come buon auspicio e di prosperità. E' il tipico fischietto bitonale in terracotta prodotto a Gravina e può a buona ragione considerarsi l'erede diretto dei giocattoli e dei tintinnabula fittili prodotti in loco a partire dal V secolo a.C. Arrivato fino ai giorni nostra, in tempi di guerra e povertà, il fischietto era l'unico gioco che i bambini potevano permettersi e con il quale imitavano il verso degli uccelli.

Tra l'altro, questo oggetto rientra a pieno titolo in quella che è stata , da sempre, l'arte figula nella nostra città, dove operavano maestri lavoratori dell'argilla, i famosi fornaciari, e dove insistevano apposite fornaci in cui venivano cucinati tutti gli oggetti realizzati con la terracotta locale: tegole, brocche, piatti. Non a caso, nella nostra toponomastica cittadina figurano via Figuli e via Fornaci.

Da tre sfere d'argilla preventivamente predisposte vengono ottenute altrettante masse coniche le quali, a loro volta, opportunamente modellate e connesse, danno corpo al magico oggetto. Segue l'asciugatura all'aria, la coloritura e quindi il passaggio nel fuoco, il sacro dono di Prometeo. Gli elementi della natura si legano così indissolubilmente nell'oggetto che, a questo punto, diviene "soprannaturale".

La forma in cui si presenta è quella di un iridescente uccello, anche se, dichiaratamente, è la stilizzazione di un animale meno variopinto, la gazza o, in dialetto, il cola cola appunto. I suo colori, dunque, assurgono a un significato più profondo, legato al culto ancestrale della Natura e della sua vitalità che si rinnova nella ciclica esplosione della primavera. La sua originaria struttura ovoidale (anche qui non sono fuori luogo i riferimenti all'evocazione della fertilità), pur mantenendosi integra, si evolve nei decenni associandosi a un piedistallo di forma troncoconica.

Per lo studio di questo fantasioso oggetto, è stata, giustamente, scomodata, persino, la mitologia, quella che si richiama agli oggetti apotropaici. Infatti, il nostro rientra a pieno titolo in quella categoria propiziatoria e anti-malocchio. Il fischietto alle origini altro non è che un richiamo, usato in tante circostanze, dai pastori fino ai bambini che giocano, ma nel tempo ha acquistato proprietà apotropaiche di buon augurio e di scaccia pensieri. Infatti, la fisionomia di un gallinaceo potrebbe essere l'origine delle sue "qualità" apotropaiche. Il gallo è un animale sacro a Esculapio, e quest'ultimo, grazie al Cristianesimo, è stato scalzato dall'Arcangelo Michele.

E' un oggetto che ha esaltato la maestria dei nostri artigiani locali. Ha lasciato indubbie tracce d'attaccamento ai colori, ai sapori della nostra terra; alle radici della nostra cultura ancestrale, della nostra civiltà contadina e bucolica, tra feticismo, superstizione e magia. I maestri fratelli, ormai Vincenzo e Beniamino Loglisci sono stati cultori di questo oggetto sacro e misterioso. Le Cola Cola sono state prodotte già da tre generazioni della famiglia Loglisci prima di Vincenzo e Beniamino: inizialmente infatti c'erano il padre Giuseppe ed il nonno Vincenzo.

Oggi, fortunatamente, la loro ricca produzione è sfociata in un Museo del Cola Cola, che, attualmente, ha sede presso la loro casa d'origine, in piazza Benedetto XIII, 24 ed è visitabile. Cinque stanzette in cima a una ripida scala. Tutto sembra parlare la lingua dei nostri avi; sembra essere il libro aperto della nostra storia. Dalle fotografie in bianco e nero, ai mobili di legno scuro, dagli attrezzi di un tempo lontano ai pavimenti decorati a fiori. Una delle stanze dell'appartamento è chiamata Il Paese dei balocchi. Il cuore del Museo, con scaffali che traboccano di terrecotte bizzarre e smaglianti.

Immersi tra presente e passato, la casa museo rappresenta e custodisce il meglio della produzione artigianale di una famiglia che ha speso la propria vita a conservare per tramandare. Ci sono pezzi nuovi, freschi di produzione. Ma, anche e, soprattutto quelli storici che risalgono a più di un secolo fa. E' facile scorgere, grazie alla illustrazione che rende ai visitatori Marco, nipote dei capostipiti del casato, l'enorme Cola Cola che si donava ai fidanzati al momento della promessa di matrimonio tutto pieno di pennacchi colorati. O la giostrina con gli animaletti in circolo che si appendeva sulle culle dei neonati. Esemplari che fissano il tempo, che restano scolpiti nella memoria del visitatore, il quale, al termine del suo percorso in questo mondo incantato e fiabesco, non può fare a meno di ricordarsi che il Cola Cola è un souvenir. Da portare ovunque egli approderà, dopo il viaggio di ritorno dalla nostra città.
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  • Giuseppe Massari
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