Passeggiando con la storia
Il Palazzo residenza dei vescovi della nostra Diocesi
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 10 agosto 2023
"L'episcopio o casa del vescovo a Gravina fu realizzato tra l'XI e XII secolo a ridosso della cattedrale, adiacente al castello normanno. Ciò che oggi vediamo di esso è il risultato di ampliamenti, trasformazioni e restauri avvenuti dal 1456 ai nostri giorni. Tutto ciò non ci impedisce di scorgere le più antiche vestigia e le strutture architettoniche cinquecentesche. Nel 1456, a causa di forti scosse telluriche, subì danni, unitamente alla cattedrale e al castello normanno, sorto sui resti del primitivo castello "saraceno". Dopo il terremoto monsignor Marino Orsini (1447-1471), arcivescovo di Tarante ed amministratore apostolico della sede vacante di Gravina diresse i lavori di ricostruzione delle strutture ecclesiastiche compromesse e crollate. della sede vacante di Gravina dir lavori di ricostruzione delle strutture ecclesiastiche compromesse e crollate.
L'attuale struttura in continuum tra cattedrale e seminario fu realizzata nel sec. XVI. In tale circostanza scomparvero le fabbriche del Castelvecchio (quello normanno), frapposto tra la cattedrale e l'episcopio, mentre le tracce del primitivo castello (quello detto "saraceno ") che servì a Gravina come difesa contro i Saraceni nel 976, rimasero nascoste per sempre sotto la sagrestia della cattedrale. Il palazzo vescovile sorse "sopra delle sontuose colonne e pilastri, lasciando così il palazzo sospeso su questi": La struttura ebbe un porticato lungo mt. 30 "ornato di otto colonne di ordine corinzio, di lavoro finissimo ". Nel XVII secolo le otto colonne "vennero rivestite di rozzi muri" tanto che dal porticato si ricavarono due piani di ambienti.
Nel 1724 monsignor Lucino, tra le altre opere di rifacimento e nobilitazione all'interno dell'episcopio, fece "riattare la soffitta della sala e tingerla a colar noce, fé dipingere sotto la stessa un freggio esprimente l'imprese di tutti i vescovi di Gravina con le proprie iscrizioni; ed affinchè per qualche disgrazia queste memorie, o in tutto, o in parte venissero a sperdersi, disse al sacerdote don Carlo Vito d'Ambrosio che in fogli di carta reale pennelleggi l'imprese con trascrivere sotto le iscrizioni per bei farlo ligure, e rimetterlo adfuturam memoriam nel nostro archivio vescovile con insieme copiare dalle due moraglie collaterali del detto Salone lo Stato Generale di detta città e chiesa...".
I lavori di restauro all'intero del palazzo episcopale continuarono il 1727 con monsignor Vincenzo Ferrerò (1725-1730), con monsignor Cristoforo Maiello (1899-1906), con monsignor Nicola Zimarino (1906-1920). Quest'ultimo nel 1912 fece la sua visita pastorale anche all'episcopio e trovò la sala dei vescovi, detta salone, in uno stato di completo sfacelo. La sala, come si è detto, al tempo di monsignor Lucino, fu coperto con tavole dipinte di noce e fu effigiata sulle pareti con gli stemmi dei vescovi e relative iscrizioni. Nel corso dei secoli, però, il soffitto di tavole si deteriorò e in un tempo non ben preciso si fece costruire "una contravolta di cannucce a stucco. Il legname necessario per sostenere questa seconda volta fu posto nel muro deturpando quasi completamente gli stemmi in esso dipinti".
La contravolta fu trovata macchiata di umidità e in qualche parte caduta. Era necessario, quindi, intervenire per salvare gli stemmi vescovili:"prima di porre mano ai restauri del salone, ci era molto a cuore di salvare gli stemmi dei vescovi, copiandoli colle relative iscrizioni, :ma anche a giudizio di artisti fu impossibile perché gli scudi dei medesimi erano sfondati e scostati, solo le iscrizioni potemmo fare copiare ". Fu, quindi, grazie a questa azione di estrema importanza per noi che il notaio della santa visita, don Massimo Picicco, riportò tutte le iscrizioni poste sotto gli stemmi dei vescovi che correvano sulle pareti della "Cappella grande del palazzo Vescovile", come pure le iscrizioni delle due lapidi grandi sulle facciate laterali della medesima cappella relative allo stato generale della città e della diocesi.
Oltre alle suddette iscrizioni, si sono conservate anche 10 stemmi con i nomi e gli estremi dei vescovi che ressero la diocesi dal 1350 al 1450. Si tratta di disegni, mutuati da originali effigiati sulle pareti, andati completamente persi, per noi oggi molto preziosi, con cui si da avvio alla Araldica Episcopale Gravinese per l'anno nuovo 2005. Gli stemmi presentano ora l'emblema della città di Gravina, ora dell'Ordine Francescano, ora delle famiglie di appartenenza di alcuni vescovi, in un solo caso presenta il motto micaelico "Quis ut Deus" (Chi come Dio). Si aggiunge ai 10 stemmi conservati nella documentazione archivistica, lo stemma di monsignor Riccardo Caracciolo di Napoli, che sedette sul trono episcopale dal 1335 al 1343, riportato dall'Ughelli".
L'autrice è la professoressa Marisa D'Agostino, il cui testo è stato pubblicato nel calendario 2005 dell 'Ass. "Amici della Fondazione E.Pomarici Santomasi"
L'attuale struttura in continuum tra cattedrale e seminario fu realizzata nel sec. XVI. In tale circostanza scomparvero le fabbriche del Castelvecchio (quello normanno), frapposto tra la cattedrale e l'episcopio, mentre le tracce del primitivo castello (quello detto "saraceno ") che servì a Gravina come difesa contro i Saraceni nel 976, rimasero nascoste per sempre sotto la sagrestia della cattedrale. Il palazzo vescovile sorse "sopra delle sontuose colonne e pilastri, lasciando così il palazzo sospeso su questi": La struttura ebbe un porticato lungo mt. 30 "ornato di otto colonne di ordine corinzio, di lavoro finissimo ". Nel XVII secolo le otto colonne "vennero rivestite di rozzi muri" tanto che dal porticato si ricavarono due piani di ambienti.
Nel 1724 monsignor Lucino, tra le altre opere di rifacimento e nobilitazione all'interno dell'episcopio, fece "riattare la soffitta della sala e tingerla a colar noce, fé dipingere sotto la stessa un freggio esprimente l'imprese di tutti i vescovi di Gravina con le proprie iscrizioni; ed affinchè per qualche disgrazia queste memorie, o in tutto, o in parte venissero a sperdersi, disse al sacerdote don Carlo Vito d'Ambrosio che in fogli di carta reale pennelleggi l'imprese con trascrivere sotto le iscrizioni per bei farlo ligure, e rimetterlo adfuturam memoriam nel nostro archivio vescovile con insieme copiare dalle due moraglie collaterali del detto Salone lo Stato Generale di detta città e chiesa...".
I lavori di restauro all'intero del palazzo episcopale continuarono il 1727 con monsignor Vincenzo Ferrerò (1725-1730), con monsignor Cristoforo Maiello (1899-1906), con monsignor Nicola Zimarino (1906-1920). Quest'ultimo nel 1912 fece la sua visita pastorale anche all'episcopio e trovò la sala dei vescovi, detta salone, in uno stato di completo sfacelo. La sala, come si è detto, al tempo di monsignor Lucino, fu coperto con tavole dipinte di noce e fu effigiata sulle pareti con gli stemmi dei vescovi e relative iscrizioni. Nel corso dei secoli, però, il soffitto di tavole si deteriorò e in un tempo non ben preciso si fece costruire "una contravolta di cannucce a stucco. Il legname necessario per sostenere questa seconda volta fu posto nel muro deturpando quasi completamente gli stemmi in esso dipinti".
La contravolta fu trovata macchiata di umidità e in qualche parte caduta. Era necessario, quindi, intervenire per salvare gli stemmi vescovili:"prima di porre mano ai restauri del salone, ci era molto a cuore di salvare gli stemmi dei vescovi, copiandoli colle relative iscrizioni, :ma anche a giudizio di artisti fu impossibile perché gli scudi dei medesimi erano sfondati e scostati, solo le iscrizioni potemmo fare copiare ". Fu, quindi, grazie a questa azione di estrema importanza per noi che il notaio della santa visita, don Massimo Picicco, riportò tutte le iscrizioni poste sotto gli stemmi dei vescovi che correvano sulle pareti della "Cappella grande del palazzo Vescovile", come pure le iscrizioni delle due lapidi grandi sulle facciate laterali della medesima cappella relative allo stato generale della città e della diocesi.
Oltre alle suddette iscrizioni, si sono conservate anche 10 stemmi con i nomi e gli estremi dei vescovi che ressero la diocesi dal 1350 al 1450. Si tratta di disegni, mutuati da originali effigiati sulle pareti, andati completamente persi, per noi oggi molto preziosi, con cui si da avvio alla Araldica Episcopale Gravinese per l'anno nuovo 2005. Gli stemmi presentano ora l'emblema della città di Gravina, ora dell'Ordine Francescano, ora delle famiglie di appartenenza di alcuni vescovi, in un solo caso presenta il motto micaelico "Quis ut Deus" (Chi come Dio). Si aggiunge ai 10 stemmi conservati nella documentazione archivistica, lo stemma di monsignor Riccardo Caracciolo di Napoli, che sedette sul trono episcopale dal 1335 al 1343, riportato dall'Ughelli".
L'autrice è la professoressa Marisa D'Agostino, il cui testo è stato pubblicato nel calendario 2005 dell 'Ass. "Amici della Fondazione E.Pomarici Santomasi"