Passeggiando con la storia
Il San Michele di Stefano da Putignano
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 17 settembre 2020
Non avrei trattato l'argomento se non fosse tornato alla ribalta con una attribuzione più precisa, più puntuale e più dettagliata, che meglio non si poteva avere, da una esperta, da una competente, Clara Gelao, che in una recente monografia sullo scultore pugliese e putignanese, non ha avuto più dubbi nel ribadire che l'autore del grande blocco di pietra, sul quale è stato scolpito il volto di San Michele, è Stefano Pugliese da Putignano.
Dissipati i dubbi, le incertezze di tanti studiosi che si sono cimentati, a più riprese, per lunghi periodi, nell'analisi storica, pittorica ed artistica del manufatto, soprattutto per identificare e attribuirne la paternità, nel saggio della Gelao restano ancora molte ombre oscure, non chiarite, come ad esempio il committente o i committenti. Forse, per mancanza di documentazione archivistica o per altre ragioni. Essendo, però, l'oggetto di natura religiosa, che doveva arricchire il patrimonio artistico della nostra cattedrale, si può ipotizzare, considerata la data posta alla base della massiccia statua, 1538, che il committente possa essere stato mons. Luca De Rinaldis, vescovo della Diocesi di Gravina dal 1518 al 1552.
La ricostruzione della Gelao difetta, ancora, purtroppo, di un altro elemento molto importante: chi è stato il pittore che ha dato i colori alla pietra. Secondo studi recenti, anche se non resi ancora ufficialmente pubblici, la statua dovrebbe essere stata dipinta dall'artista locale Francesco Santulli. Documenti in tal senso sono conservati presso l'Archivio Unico della Diocesi di Gravina, tante volte consultato anche da molti altri studiosi che si sono occupati dello stesso manufatto, ma che mai hanno evidenziato, per superficialità, per fretta , per pressapochismo questo importante tassello artistico, pittorico e figurativo.
Voglio aggiungere un'altra annotazione, che alla studiosa è sfuggita, relativa al periodo in cui la statua è stata commissionata e realizzata. In quegli anni il santo Principe delle Milizie Celesti non era stato ancora, ufficialmente, dichiarato santo protettore della città, la qual cosa è avvenuta con la pubblicazione della Bolla di Papa Clemente X, del 10 marzo 1674, emanata su sollecitazione del vescovo di Gravina, mons. Domenico Cennini, "dopo che il popolo e il clero di Gravina, essendo scampato al pericolo della peste del 1656, di altre epidemie e calamità, chiesero ed ottennero il riconoscimento di San Michele quale protettore e patrono principale della città".
Fatta questa doverosa ed opportuna precisazione, considerando, quindi, che il culto, in città, verso l'Arcangelo rinveniva da tempi immemorabili, tanti quanti erano quelli trascorsi dalla sua apparizione sul Gargano e la sua diffusione, arrivando a giungere ai confini della Lucania, passando per Gravina. La testimonianza della chiesa di San Michele delle Grotte è esempio eloquente.
Per tornare all'opera di Stefano da Putignano. Quante storia attorno a questo simulacro, quante fantasie costruite dal popolino, quante supposizioni e superstizioni, per fortuna tutte disattese, come quella che la statua era inamovibile altrimenti sarebbe crollata la cattedrale o sarebbe stata presagio di sciagure, lutti, disgrazie. Il feticismo, per fortuna non ha allignato ed è stato sonoramente smentito quando nel settembre del 1981, dopo secoli, quella grossa reliquia fu portata in processione, per le principali vie cittadine, in occasione della festa patronale.
Quello, invece, che è interessante riprendere è la leggenda raccontata e riportata dal Nardone nelle sue "Notizie storiche sulla città di Gravina, dalle sue origini all'unità italiana". Infatti, lo storico locale racconta un aneddoto, che riprendo integralmente, in cui, indirettamente, dimostra che il manufatto uscito dalle mani del suo scultore era senza elmo o ciniero. Scrive il Nardone, a proposito della cacciata degli austriaci dal Regno di Napoli,e, quindi da Gravina, cui la città, allora, apparteneva:"Si disse che l'allontanamento degli austriaci da Gravina fosse stato motivato dal fatto che nella notte sul 20 maggio 1734 il condottiero austriaco avesse avuto in sogno la visione di un giovane guerriero che, armato di elmo e corazza, gli avesse puntata la spada alla gola ingiungendogli di allontanarsi subito da Gravina con tutto il suo seguito.
Il condottiero, turbato da questo sogno che aveva avuto per lui tutte le apparenze della realtà, si decise a togliere l'assedio; ma prima di allontanarsi col suo esercito, domandò di voler entrare in città con pochi uomini di scorta per visitare la cattedrale, e vedere la statua del Protettore di Gravina. Avendo riconosciuto nella effige di S. Michele le sembianze del fatidico guerriero da lui visto in sogno nella notte prima, si prostrò dinanzi e le fece dono del suo elmo d'argento, della spada e della lunga catenina d'oro che portava al collo". Della spada e della catenina non vi sono mai state tracce. Scomparse, trafugate, vendute? Non si sa, ammesso che il racconto potesse avere o avesse avuto un fondamento di verità.
La storia relativa a questa statua non può dirsi conclusa se non viene evidenziato un altro fatto importante, legato alla civiltà storica della nostra città. Anticamente, durante l'ultimo periodo o nell'ultima domenica di carnevale veniva organizzata la corsa all'anello. Una gara durante la quale, a dorso di un cavallo, il concorrente, doveva centrare, al termine del suo percorso, l'anello posto nel mezzo di una corda. Chi si aggiudicava il trofeo, consistente in un anello d'oro, questo veniva donato, attraverso il rito dell'offerta, al santo patrono. A questa specifica statua di cui ci siamo occupati.
Dissipati i dubbi, le incertezze di tanti studiosi che si sono cimentati, a più riprese, per lunghi periodi, nell'analisi storica, pittorica ed artistica del manufatto, soprattutto per identificare e attribuirne la paternità, nel saggio della Gelao restano ancora molte ombre oscure, non chiarite, come ad esempio il committente o i committenti. Forse, per mancanza di documentazione archivistica o per altre ragioni. Essendo, però, l'oggetto di natura religiosa, che doveva arricchire il patrimonio artistico della nostra cattedrale, si può ipotizzare, considerata la data posta alla base della massiccia statua, 1538, che il committente possa essere stato mons. Luca De Rinaldis, vescovo della Diocesi di Gravina dal 1518 al 1552.
La ricostruzione della Gelao difetta, ancora, purtroppo, di un altro elemento molto importante: chi è stato il pittore che ha dato i colori alla pietra. Secondo studi recenti, anche se non resi ancora ufficialmente pubblici, la statua dovrebbe essere stata dipinta dall'artista locale Francesco Santulli. Documenti in tal senso sono conservati presso l'Archivio Unico della Diocesi di Gravina, tante volte consultato anche da molti altri studiosi che si sono occupati dello stesso manufatto, ma che mai hanno evidenziato, per superficialità, per fretta , per pressapochismo questo importante tassello artistico, pittorico e figurativo.
Voglio aggiungere un'altra annotazione, che alla studiosa è sfuggita, relativa al periodo in cui la statua è stata commissionata e realizzata. In quegli anni il santo Principe delle Milizie Celesti non era stato ancora, ufficialmente, dichiarato santo protettore della città, la qual cosa è avvenuta con la pubblicazione della Bolla di Papa Clemente X, del 10 marzo 1674, emanata su sollecitazione del vescovo di Gravina, mons. Domenico Cennini, "dopo che il popolo e il clero di Gravina, essendo scampato al pericolo della peste del 1656, di altre epidemie e calamità, chiesero ed ottennero il riconoscimento di San Michele quale protettore e patrono principale della città".
Fatta questa doverosa ed opportuna precisazione, considerando, quindi, che il culto, in città, verso l'Arcangelo rinveniva da tempi immemorabili, tanti quanti erano quelli trascorsi dalla sua apparizione sul Gargano e la sua diffusione, arrivando a giungere ai confini della Lucania, passando per Gravina. La testimonianza della chiesa di San Michele delle Grotte è esempio eloquente.
Per tornare all'opera di Stefano da Putignano. Quante storia attorno a questo simulacro, quante fantasie costruite dal popolino, quante supposizioni e superstizioni, per fortuna tutte disattese, come quella che la statua era inamovibile altrimenti sarebbe crollata la cattedrale o sarebbe stata presagio di sciagure, lutti, disgrazie. Il feticismo, per fortuna non ha allignato ed è stato sonoramente smentito quando nel settembre del 1981, dopo secoli, quella grossa reliquia fu portata in processione, per le principali vie cittadine, in occasione della festa patronale.
Quello, invece, che è interessante riprendere è la leggenda raccontata e riportata dal Nardone nelle sue "Notizie storiche sulla città di Gravina, dalle sue origini all'unità italiana". Infatti, lo storico locale racconta un aneddoto, che riprendo integralmente, in cui, indirettamente, dimostra che il manufatto uscito dalle mani del suo scultore era senza elmo o ciniero. Scrive il Nardone, a proposito della cacciata degli austriaci dal Regno di Napoli,e, quindi da Gravina, cui la città, allora, apparteneva:"Si disse che l'allontanamento degli austriaci da Gravina fosse stato motivato dal fatto che nella notte sul 20 maggio 1734 il condottiero austriaco avesse avuto in sogno la visione di un giovane guerriero che, armato di elmo e corazza, gli avesse puntata la spada alla gola ingiungendogli di allontanarsi subito da Gravina con tutto il suo seguito.
Il condottiero, turbato da questo sogno che aveva avuto per lui tutte le apparenze della realtà, si decise a togliere l'assedio; ma prima di allontanarsi col suo esercito, domandò di voler entrare in città con pochi uomini di scorta per visitare la cattedrale, e vedere la statua del Protettore di Gravina. Avendo riconosciuto nella effige di S. Michele le sembianze del fatidico guerriero da lui visto in sogno nella notte prima, si prostrò dinanzi e le fece dono del suo elmo d'argento, della spada e della lunga catenina d'oro che portava al collo". Della spada e della catenina non vi sono mai state tracce. Scomparse, trafugate, vendute? Non si sa, ammesso che il racconto potesse avere o avesse avuto un fondamento di verità.
La storia relativa a questa statua non può dirsi conclusa se non viene evidenziato un altro fatto importante, legato alla civiltà storica della nostra città. Anticamente, durante l'ultimo periodo o nell'ultima domenica di carnevale veniva organizzata la corsa all'anello. Una gara durante la quale, a dorso di un cavallo, il concorrente, doveva centrare, al termine del suo percorso, l'anello posto nel mezzo di una corda. Chi si aggiudicava il trofeo, consistente in un anello d'oro, questo veniva donato, attraverso il rito dell'offerta, al santo patrono. A questa specifica statua di cui ci siamo occupati.