Passeggiando con la storia
Il “sequestrato di Dio” Mons. Giuseppe Vairo vescovo della Diocesi di Gravina – Irsina
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 12 gennaio 2023
12.57
Il "sequestrato di Dio" Mons. Giuseppe Vairo vescovo della Diocesi di Gravina – Irsina dal 1962 al 1971
La definizione non è mia. E' tratta dal libro di Edoardo Soave: "Mons. Giuseppe Vairo il "sequestrato di Dio", Osanna Edizioni, Gennaio 2012". Un testo da me consultato, come, anche l'altro di don Giustino D'Addezio: "Il Vescovo… Arcivescovo Giuseppe Vairo. Atti preliminari per l'inchiesta diocesana nelle sue diocesi, Tipografia S.T.E.S Potenza, giugno 2011", alla base di una ricerca seria e documentata.
La definizione che io, invece, ho coniato per questo personaggio è stata quella di essere e sentirlo "il mio vescovo", partendo da delle ragioni di carattere personale e famigliare. Fu il vescovo che mi amministrò il sacramento della Cresima, lo stesso sacramento che amministrò, privatamente, nella Cappella dell'Episcopio di Gravina, a mio padre in età avanzata, non essendosi, egli cresimato prima del matrimonio, ma con la promessa di farlo. Il legame con questo vescovo è stato forte, anche per un'altra ragione. La comunità delle suore del Sacro Costato che lo accudiva si serviva da mio padre per la fornitura della carne. Ma, al di là di questi bei ricordi, inoltriamoci nella conoscenza diretta di lui e mettere in luce le sue doti spirituali, umane, culturali e pastorali.
Nato a Paola, nell'arcidiocesi di Cosenza – Bisignano il 24 gennaio 1917, nel rione più antico chiamato "Rocchetta", in via Lungo Gelso, 21, da Francesco e Adele Gravina. (Strane coincidenze che capitano nella vita. Essere figlio di una madre dal cognome Gravina e diventare Vescovo di Gravina). Ultimo di quattro figli: la prima Maria Rosaria si farà suora Domenicana e prenderà il nome di Suor Maria Valentina; poi Giovanni, Raffaella e Giuseppe, che sin da piccolo frequentava la chiesa di San Giacomo, di fronte alla bottega del padre calzolaio.
Di origini umili, semplici, quelle stesse che, per lui, sono diventate modello di vita fino alla fine dei suoi giorni. Per tutta la sua vita di sacerdote e pastore, sull'esempio, anche, del suo vero e primo più grande maestro, il concittadino San Francesco da Paola, fondatore dell'Ordine dei Minimi. Tanto vocato alla povertà, tanto vocato agli studi filosofici, teologici, patristici e dogmatici, tanto da diventare un gigante di cultura e di dottrina. Nonostante queste doti e qualità umane; la sua formazione spirituale, anzi, proprio grazie a ciò, non seppe mai sgomitare per gli avanzamenti nella carriera ecclesiastica. Vide tutto e lesse tutto secondo la volontà divina; nei disegni della Provvidenza egli adagiò il suo percorso esistenziale.
Compiuti gli studi nel Seminario Diocesano di Cosenza e negli Atenei Pontifici Pio XI di Reggio Calabria e Pio X di Catanzaro, fu ordinato sacerdote il 16 giugno 1940 con l'imposizione delle mani di Mons. Raffaele Eugenio Faggiano, della Congregazione dei Passionisti di San Paolo della Croce. Infatti, durante gli anni seminariali a Cosenza, strinse un forte legame di amicizia di spiritualità con i Passionisti di Laurignano e di Fuscaldo. Non a caso, durante il suo episcopato gravinese indisse, dal 5 al 19 marzo del 1967, una Missione cittadina, in preparazione del Congresso Eucaristico diocesano, che si sarebbe svolto dal 21 al 28 maggio successivo, affidandola ai figli di San Paolo della Croce.
Dopo essere diventato presbitero, iniziò il suo ministero sacerdotale nella Parrocchia SS. Annunziata come Vicario Cooperatore. Man mano che il tempo passava, gli impegni diventavano sempre più numerosi, consistenti e di responsabilità. Fu segretario dell'arcivescovo cosentino mons. Aniello Calcara, divenendo assistente ecclesiastico diocesano della Gioventù di Azione cattolica, della Federazione Universitari Cattolici Italiani, del Movimento Laureati e delegato arcivescovile dell'Azione Cattolica.
Ha svolto i delicati incarichi di Difensore del Vincolo, Promotore di Giustizia e Giudice Sinodale nel Tribunale Diocesano. E' stato canonico della Chiesa Cattedrale di Cosenza fino al 1952, Prelato domestico di Sua Santità nel 1959 e Vicario generale dell'arcidiocesi cosentina.
Era il 1° luglio del 1961, di sabato, quando mons. Calcara, 80 anni, da 21 anni arcivescovo di Cosenza, che si era adoperato per ottenere la promozione del suo vicario, annunciò che Roma aveva accolto la sua richiesta: don Peppino Vairo era stato eletto vescovo titolare di Utina e ausiliare di Cosenza. Aveva 44 anni ed era uno dei vescovi più giovani d'Italia.
L'ordinazione episcopale avvenne nella cattedrale di Cosenza il 20 agosto del 1961 per le mani di mons. Giovanni Rizzo, vescovo di Rossano Calabro. Coconsacranti furono mons. Umberto Altomonte, vecchio compagno di seminario del neo vescovo, divenuto ausiliare di Mazara del Vallo e Raffaele Barbieri vescovo di Cassano allo Jonio. Un vescovo senza alcuna sede residenziale, per pochi giorni ausiliare di Cosenza, deve aspettare il 19 gennaio 1962 per ricevere la bolla di nomina e destinazione alle Chiese di Gravina- Irsina, unite aeque principaliter nella stessa diocesi, nata nel 1818 e smembrata nel 1971 nell'ambito di quello che fu un primo riordino delle diocesi italiane. Scelse come insegna episcopale uno scudo con al centro il monogramma costantiniano Cristòs e sovrapposta una lampada accesa, spiegata nel motto latino, tratto dalla Lettera ai Romani di San Paolo: Induamur arma lucis, Indossiamo l'armatura della luce.
Alla luce di questa novità, attesa soprattutto dai confratelli di Vairo, dai fedeli, cittadini e concittadini calabresi, ci piace riprendere e riportare una dichiarazione, un ricordo, racchiusi in una parte dell'omelia pronunciata da mons. Serafino Sprovieri, il 25 agosto 2001, nella Cattedrale di Potenza in occasione del trigesimo di Mons. Vairo.
Mons. Sprovieri era stato anche lui segretario dell'arcivescovo Calcara, e, successivamente, eletto arcivescovo di Rossano e vescovo di Cariati, per essere traslato, il 25 novembre 1991 alla sede arcivescovile di Benevento, che tenne per 14 anni, fino ai limiti del pensionamento per raggiunti limiti di età.
Racconta mons. Sprovieri: "Quando una frotta di amici lo raggiungemmo, non sapendo umanamente se bisognasse complimentarci o rammaricarci con lui, in quanto la statura notoriamente elevata della sua preparazione culturale e spirituale sembrava dovesse meritare sedi più prestigiose, egli ci sorrise con inaspettata serenità. Ribadendo che nella vita poteva gareggiare con la gioia di poter conoscere con certezza la volontà divina e che questo significava per lui la nomina a Vescovo di Gravina ed Irsina, Mons. Vairo, da innamorato di Dante, ci disarmò, ricordando quel verso della Divina Commedia, che è certamente uno dei più belli: "in sua voluntate è nostra pace!"
Quale fosse il fervore, con cui aggredì quella Chiesa, datale in sposa, non voglio ricordarlo, ricordando la sua vibrante prima Lettera pastorale, ma dedurlo da ciò che riscontrammo in lui appena una settimana dopo il suo ingresso. Andammo a fargli visita e lo ascoltammo in un discorso appassionato, rivolto soprattutto all'Azione cattolica. Questo per noi era ovvio, in quanto Mons. Vairo lo avevamo sempre conosciuto così.
Ma appena fu con noi, egli delineò con accenti commossi le grandezze storiche di quel grosso centro, parlando con ammirazione documentata del papa orsini, ovverosia Benedetto XIII, che poi sarebbe stato per me, una volta diventato arcivescovo di Benevento, così importante e familiare".
Il nuovo vescovo eletto fece il suo ingresso solenne nella nostra città, all'epoca sede principale della diocesi, l'8 aprile 1962. La settimana successiva, analoga cerimonia si tenne ad Irsina. Un neo e giovane vescovo alle prese con una realtà difficile. In due centri accomunati da una forte scristianizzazione, ignoranza degli elementari e basilari sedimenti della fede, così come il novello pastore riconobbe.
Ma non si disarmò, anzi, con la forza della sua giovane età si buttò a capo fitto nella messe a lui affidata. Sembrava che il suo altissimo grado culturale non fosse congeniale ad un popolo ad un clero che lo riteneva rigido, intransigente, canonista. Ma tutto si compose in quell'affetto, in quella stima e in quel rispetto affettuoso che esiste tra un padre e i suoi figli.
Tutto si sciolse in breve tempo, nonostante i suoi continui impegni fuori sede per partecipare attivamente ai lavori del Concilio Vaticano II. Fu un padre conciliare molto presente nelle discussioni, presentando e discutendo sui documenti in preparazione, attraverso proposte personali, suggerimenti. I suoi interventi nell'Assise conciliare verterono su: De Fontibus revelationis; De Ecclesia; De Oecumenismo; De libertate religiosa; De Ecclesia in mumdo huius temporis; De instrumentis communicationis socialis.
Della sua esperienza pastorale in diocesi abbiamo fatto cenno precedentemente, con riferimento alla Missione cittadina e al Congresso Eucaristico Interdiocesano. In più, bisogna aggiungere che egli consacrò l'altare in onore di San Tommaso nella chiesa di San Domenico e l'altare in onore di San Giuseppe nella Cappella del Seminario. Portò a compimento alcuni lavori di restauro all'interno della Cattedrale, con particolare riferimento al coro ligneo e all'organo, consacrando, in onore della Beata Vergine Maria Assunta in Cielo, l'altare maggiore.
Durante il suo episcopato, presso il Convento di San Felice, sede della Congregazione Suore Missionarie Francescane di Gesù Crocifisso, fondata da Mons. Giovanni Maria Sanna, vescovo della nostra Diocesi dal 1922 al 1953, intervenne, alla presenza del Cardinale Corrado Ursi, alla cerimonia di benedizione della statua del suo predecessore. Governò la Chiesa particolare di Gravina ed Irsina fino al 23 dicembre 1971.
Fino a che non seppe della nomina del suo successore. Il suo distacco non fu facile, perché aveva amato il suo popolo, i suoi confratelli, le comunità religiose, i laici impegnati nelle attività parrochiali, ed era stato ricambiato, nonostante le iniziali diffidenze e ritrosie, tanto da fargli ripetere con orgoglio che, a Gravina ed Irsina sentiva profumo di Chiesa. Tra l'altro, il 1986, quando venne a conoscenza della disavventura che ci toccò vivere e sopportare, con la soppressione del titolo di Diocesi, riservato alla nostra città da secoli, soffrì moltissimo, considerando che lui era stato l'artefice della proposta di una creazione della Diocesi della Murgia, e che Gravina conservasse e continuasse a conservare il centro territoriale del futuro e nascente organismo. Purtroppo, così non fu.
Dopo la sua prima esperienza pastorale, di prima nomina per giunta, nuovi, impellenti e più gravosi impegni pastorali fu chiamato ad assolvere verso le Chiese di Acerenza, Tricarico, Matera, Melfi Rapolla Venosa, durante i quali continuò a spandersi per il riscatto delle popolazioni lucane, continuando ad esortare, ad ammonire, ad educare, a predicare, a testimoniare. Terribili furono gli anni del terremoto e del post, che scosse la città di Potenza, mentre egli ricopriva la titolarità di quella sede vescovile ed era, nel contempo metropolita della Basilicata.
Durante questi anni difficili e dolorosi, celebrò il suo giubileo episcopale, in ricordo della ordinazione ricevuta il 20 agosto 1961. Per la gioiosa ricorrenza, venne pubblicato un poderoso volume che raccoglieva scritti, lettere pastorali, interventi, omelie: "Venticinque anni di Dialogo Pastorale in tempi di Concilio e dopoconcilio, Laurenziana, Napoli 1986. Un secondo volume, che evocava il saluto rivoltogli da Giovanni Paolo II: "Luce e decoro dell'Episcopato", abbracciava il suo magistero nel decennio dal 1986 al 1997, pubblicato a Potenza, in occasione del suo 50° di sacerdozio.
Ammalatosi gravemente, nel maggio 2001, veniva trasferito per le cure adeguate nell'Ospedale di lunga degenza della "Casa sollievo della sofferenza", a San Giovanni Rotondo, dove chiudeva la giornata terrena nel "Risorto, la nostra speranza", titolo di una sua lettera pastorale, entrando nell'alba senza tramonto di Dio, il 25 luglio 2001, alle ore 00.30.
La definizione non è mia. E' tratta dal libro di Edoardo Soave: "Mons. Giuseppe Vairo il "sequestrato di Dio", Osanna Edizioni, Gennaio 2012". Un testo da me consultato, come, anche l'altro di don Giustino D'Addezio: "Il Vescovo… Arcivescovo Giuseppe Vairo. Atti preliminari per l'inchiesta diocesana nelle sue diocesi, Tipografia S.T.E.S Potenza, giugno 2011", alla base di una ricerca seria e documentata.
La definizione che io, invece, ho coniato per questo personaggio è stata quella di essere e sentirlo "il mio vescovo", partendo da delle ragioni di carattere personale e famigliare. Fu il vescovo che mi amministrò il sacramento della Cresima, lo stesso sacramento che amministrò, privatamente, nella Cappella dell'Episcopio di Gravina, a mio padre in età avanzata, non essendosi, egli cresimato prima del matrimonio, ma con la promessa di farlo. Il legame con questo vescovo è stato forte, anche per un'altra ragione. La comunità delle suore del Sacro Costato che lo accudiva si serviva da mio padre per la fornitura della carne. Ma, al di là di questi bei ricordi, inoltriamoci nella conoscenza diretta di lui e mettere in luce le sue doti spirituali, umane, culturali e pastorali.
Nato a Paola, nell'arcidiocesi di Cosenza – Bisignano il 24 gennaio 1917, nel rione più antico chiamato "Rocchetta", in via Lungo Gelso, 21, da Francesco e Adele Gravina. (Strane coincidenze che capitano nella vita. Essere figlio di una madre dal cognome Gravina e diventare Vescovo di Gravina). Ultimo di quattro figli: la prima Maria Rosaria si farà suora Domenicana e prenderà il nome di Suor Maria Valentina; poi Giovanni, Raffaella e Giuseppe, che sin da piccolo frequentava la chiesa di San Giacomo, di fronte alla bottega del padre calzolaio.
Di origini umili, semplici, quelle stesse che, per lui, sono diventate modello di vita fino alla fine dei suoi giorni. Per tutta la sua vita di sacerdote e pastore, sull'esempio, anche, del suo vero e primo più grande maestro, il concittadino San Francesco da Paola, fondatore dell'Ordine dei Minimi. Tanto vocato alla povertà, tanto vocato agli studi filosofici, teologici, patristici e dogmatici, tanto da diventare un gigante di cultura e di dottrina. Nonostante queste doti e qualità umane; la sua formazione spirituale, anzi, proprio grazie a ciò, non seppe mai sgomitare per gli avanzamenti nella carriera ecclesiastica. Vide tutto e lesse tutto secondo la volontà divina; nei disegni della Provvidenza egli adagiò il suo percorso esistenziale.
Compiuti gli studi nel Seminario Diocesano di Cosenza e negli Atenei Pontifici Pio XI di Reggio Calabria e Pio X di Catanzaro, fu ordinato sacerdote il 16 giugno 1940 con l'imposizione delle mani di Mons. Raffaele Eugenio Faggiano, della Congregazione dei Passionisti di San Paolo della Croce. Infatti, durante gli anni seminariali a Cosenza, strinse un forte legame di amicizia di spiritualità con i Passionisti di Laurignano e di Fuscaldo. Non a caso, durante il suo episcopato gravinese indisse, dal 5 al 19 marzo del 1967, una Missione cittadina, in preparazione del Congresso Eucaristico diocesano, che si sarebbe svolto dal 21 al 28 maggio successivo, affidandola ai figli di San Paolo della Croce.
Dopo essere diventato presbitero, iniziò il suo ministero sacerdotale nella Parrocchia SS. Annunziata come Vicario Cooperatore. Man mano che il tempo passava, gli impegni diventavano sempre più numerosi, consistenti e di responsabilità. Fu segretario dell'arcivescovo cosentino mons. Aniello Calcara, divenendo assistente ecclesiastico diocesano della Gioventù di Azione cattolica, della Federazione Universitari Cattolici Italiani, del Movimento Laureati e delegato arcivescovile dell'Azione Cattolica.
Ha svolto i delicati incarichi di Difensore del Vincolo, Promotore di Giustizia e Giudice Sinodale nel Tribunale Diocesano. E' stato canonico della Chiesa Cattedrale di Cosenza fino al 1952, Prelato domestico di Sua Santità nel 1959 e Vicario generale dell'arcidiocesi cosentina.
Era il 1° luglio del 1961, di sabato, quando mons. Calcara, 80 anni, da 21 anni arcivescovo di Cosenza, che si era adoperato per ottenere la promozione del suo vicario, annunciò che Roma aveva accolto la sua richiesta: don Peppino Vairo era stato eletto vescovo titolare di Utina e ausiliare di Cosenza. Aveva 44 anni ed era uno dei vescovi più giovani d'Italia.
L'ordinazione episcopale avvenne nella cattedrale di Cosenza il 20 agosto del 1961 per le mani di mons. Giovanni Rizzo, vescovo di Rossano Calabro. Coconsacranti furono mons. Umberto Altomonte, vecchio compagno di seminario del neo vescovo, divenuto ausiliare di Mazara del Vallo e Raffaele Barbieri vescovo di Cassano allo Jonio. Un vescovo senza alcuna sede residenziale, per pochi giorni ausiliare di Cosenza, deve aspettare il 19 gennaio 1962 per ricevere la bolla di nomina e destinazione alle Chiese di Gravina- Irsina, unite aeque principaliter nella stessa diocesi, nata nel 1818 e smembrata nel 1971 nell'ambito di quello che fu un primo riordino delle diocesi italiane. Scelse come insegna episcopale uno scudo con al centro il monogramma costantiniano Cristòs e sovrapposta una lampada accesa, spiegata nel motto latino, tratto dalla Lettera ai Romani di San Paolo: Induamur arma lucis, Indossiamo l'armatura della luce.
Alla luce di questa novità, attesa soprattutto dai confratelli di Vairo, dai fedeli, cittadini e concittadini calabresi, ci piace riprendere e riportare una dichiarazione, un ricordo, racchiusi in una parte dell'omelia pronunciata da mons. Serafino Sprovieri, il 25 agosto 2001, nella Cattedrale di Potenza in occasione del trigesimo di Mons. Vairo.
Mons. Sprovieri era stato anche lui segretario dell'arcivescovo Calcara, e, successivamente, eletto arcivescovo di Rossano e vescovo di Cariati, per essere traslato, il 25 novembre 1991 alla sede arcivescovile di Benevento, che tenne per 14 anni, fino ai limiti del pensionamento per raggiunti limiti di età.
Racconta mons. Sprovieri: "Quando una frotta di amici lo raggiungemmo, non sapendo umanamente se bisognasse complimentarci o rammaricarci con lui, in quanto la statura notoriamente elevata della sua preparazione culturale e spirituale sembrava dovesse meritare sedi più prestigiose, egli ci sorrise con inaspettata serenità. Ribadendo che nella vita poteva gareggiare con la gioia di poter conoscere con certezza la volontà divina e che questo significava per lui la nomina a Vescovo di Gravina ed Irsina, Mons. Vairo, da innamorato di Dante, ci disarmò, ricordando quel verso della Divina Commedia, che è certamente uno dei più belli: "in sua voluntate è nostra pace!"
Quale fosse il fervore, con cui aggredì quella Chiesa, datale in sposa, non voglio ricordarlo, ricordando la sua vibrante prima Lettera pastorale, ma dedurlo da ciò che riscontrammo in lui appena una settimana dopo il suo ingresso. Andammo a fargli visita e lo ascoltammo in un discorso appassionato, rivolto soprattutto all'Azione cattolica. Questo per noi era ovvio, in quanto Mons. Vairo lo avevamo sempre conosciuto così.
Ma appena fu con noi, egli delineò con accenti commossi le grandezze storiche di quel grosso centro, parlando con ammirazione documentata del papa orsini, ovverosia Benedetto XIII, che poi sarebbe stato per me, una volta diventato arcivescovo di Benevento, così importante e familiare".
Il nuovo vescovo eletto fece il suo ingresso solenne nella nostra città, all'epoca sede principale della diocesi, l'8 aprile 1962. La settimana successiva, analoga cerimonia si tenne ad Irsina. Un neo e giovane vescovo alle prese con una realtà difficile. In due centri accomunati da una forte scristianizzazione, ignoranza degli elementari e basilari sedimenti della fede, così come il novello pastore riconobbe.
Ma non si disarmò, anzi, con la forza della sua giovane età si buttò a capo fitto nella messe a lui affidata. Sembrava che il suo altissimo grado culturale non fosse congeniale ad un popolo ad un clero che lo riteneva rigido, intransigente, canonista. Ma tutto si compose in quell'affetto, in quella stima e in quel rispetto affettuoso che esiste tra un padre e i suoi figli.
Tutto si sciolse in breve tempo, nonostante i suoi continui impegni fuori sede per partecipare attivamente ai lavori del Concilio Vaticano II. Fu un padre conciliare molto presente nelle discussioni, presentando e discutendo sui documenti in preparazione, attraverso proposte personali, suggerimenti. I suoi interventi nell'Assise conciliare verterono su: De Fontibus revelationis; De Ecclesia; De Oecumenismo; De libertate religiosa; De Ecclesia in mumdo huius temporis; De instrumentis communicationis socialis.
Della sua esperienza pastorale in diocesi abbiamo fatto cenno precedentemente, con riferimento alla Missione cittadina e al Congresso Eucaristico Interdiocesano. In più, bisogna aggiungere che egli consacrò l'altare in onore di San Tommaso nella chiesa di San Domenico e l'altare in onore di San Giuseppe nella Cappella del Seminario. Portò a compimento alcuni lavori di restauro all'interno della Cattedrale, con particolare riferimento al coro ligneo e all'organo, consacrando, in onore della Beata Vergine Maria Assunta in Cielo, l'altare maggiore.
Durante il suo episcopato, presso il Convento di San Felice, sede della Congregazione Suore Missionarie Francescane di Gesù Crocifisso, fondata da Mons. Giovanni Maria Sanna, vescovo della nostra Diocesi dal 1922 al 1953, intervenne, alla presenza del Cardinale Corrado Ursi, alla cerimonia di benedizione della statua del suo predecessore. Governò la Chiesa particolare di Gravina ed Irsina fino al 23 dicembre 1971.
Fino a che non seppe della nomina del suo successore. Il suo distacco non fu facile, perché aveva amato il suo popolo, i suoi confratelli, le comunità religiose, i laici impegnati nelle attività parrochiali, ed era stato ricambiato, nonostante le iniziali diffidenze e ritrosie, tanto da fargli ripetere con orgoglio che, a Gravina ed Irsina sentiva profumo di Chiesa. Tra l'altro, il 1986, quando venne a conoscenza della disavventura che ci toccò vivere e sopportare, con la soppressione del titolo di Diocesi, riservato alla nostra città da secoli, soffrì moltissimo, considerando che lui era stato l'artefice della proposta di una creazione della Diocesi della Murgia, e che Gravina conservasse e continuasse a conservare il centro territoriale del futuro e nascente organismo. Purtroppo, così non fu.
Dopo la sua prima esperienza pastorale, di prima nomina per giunta, nuovi, impellenti e più gravosi impegni pastorali fu chiamato ad assolvere verso le Chiese di Acerenza, Tricarico, Matera, Melfi Rapolla Venosa, durante i quali continuò a spandersi per il riscatto delle popolazioni lucane, continuando ad esortare, ad ammonire, ad educare, a predicare, a testimoniare. Terribili furono gli anni del terremoto e del post, che scosse la città di Potenza, mentre egli ricopriva la titolarità di quella sede vescovile ed era, nel contempo metropolita della Basilicata.
Durante questi anni difficili e dolorosi, celebrò il suo giubileo episcopale, in ricordo della ordinazione ricevuta il 20 agosto 1961. Per la gioiosa ricorrenza, venne pubblicato un poderoso volume che raccoglieva scritti, lettere pastorali, interventi, omelie: "Venticinque anni di Dialogo Pastorale in tempi di Concilio e dopoconcilio, Laurenziana, Napoli 1986. Un secondo volume, che evocava il saluto rivoltogli da Giovanni Paolo II: "Luce e decoro dell'Episcopato", abbracciava il suo magistero nel decennio dal 1986 al 1997, pubblicato a Potenza, in occasione del suo 50° di sacerdozio.
Ammalatosi gravemente, nel maggio 2001, veniva trasferito per le cure adeguate nell'Ospedale di lunga degenza della "Casa sollievo della sofferenza", a San Giovanni Rotondo, dove chiudeva la giornata terrena nel "Risorto, la nostra speranza", titolo di una sua lettera pastorale, entrando nell'alba senza tramonto di Dio, il 25 luglio 2001, alle ore 00.30.