Passeggiando con la storia
L’altare della Presentazione di Maria al Tempio opera di Stefano da Putignano
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 25 novembre 2021
Clara Gelao, nota, tra l'altro, per avere, di recente, pubblicato un nuova monografia su Stefano Pugliese da Putignano "Stefano da Putignano "virtuoso" scultore del Rinascimento", Mario Adda Editore, Bari 2019, attribuisce a costui la pala in pietra che sovrasta l'altare della Presentazione di Maria al Tempio, collocato nella navata destra della nostra sontuosa basilica cattedrale. Scrive, infatti, l'autrice: "Ad otto anni dal Presepe di Grottaglie, troviamo Stefano da Putignano attivo a Gravina, dove scolpisce quelle che probabilmente sono le sue ultime opere: la pala della Presentazione di Maria al tempio – quest'ultima qui per la prima volta attribuita allo scultore – e il San Michele Arcangelo,entrambe nella cattedrale ed entrambe datate 1538. Confesso che, entrando nella cattedrale di Gravina negli anni passati, mi ha sempre incuriosito la grande pala in pietra con la Presentazione al tempio, di cui però non ho mai approfondito la conoscenza, né posto attenzione alla data, 1538, che sino a qualche tempo fa risultava, così come la pala, scialbata con un'uniforme tinteggiatura beige, tanto da attribuirla frettolosamente e, devo dire, senza troppa convinzione, alla bottega di Altobello Persio".
Quindi, è da dire subito che la nostra città ha il privilegio di conservare due opere importantissime di questo scultore pugliese di nascita, di cognome e conosciuto più comunemente come Stefano da Putignano. Della statua dedicata al santo patrono, ci siamo occupati in una precedente puntata. Alla luce di questa nuova e più precisa attribuzione, è giusto rivolgere l'attenzione alla pala d'altare in pietra che rievoca la presentazione di Maria al tempo, la cui festa liturgica è fissata il 21 novembre di ogni anno.
Clara Gelao, nel districarsi tra la storia controversa di questo manufatto, voluto da una delle famiglie nobili cittadine, la famiglia Guida, fa riferimento al Nardone. "Fino a qualche anno fa le uniche notizie disponibili su questo altare erano quelle fornite dal Nardone, il quale lo diceva eretto nella seconda metà del secolo XV, "impiegandosi, a quanto pare, una tavola già appartenuta ad uno degli altari della vecchia chiesa" da un membro della nobile famiglia Guida, a suo dire originaria di Gravina. Tale notizia riassume in maniera generica e non del tutto esatta quanto si può ricostruire da una serie di epigrafi, divise tra la chiesa e il suo succorpo, di cui la più completa, fatta incidere nel 1721 dal canonico Antonio Guida a futura memoria, è quella che può leggersi ancor oggi sul tratto di muro a sinistra dell'altare della Presentazione".
Nel citato testo della Gelao, non manca il riferimento alla Visita Apostolica dell'Orsini, avvenuta nel 1714. Si può leggere quanto segue: "Le prime importanti variazioni cominciano ad avvenire nel 1714, a seguito della Visita di Vincenzo Maria Orsini, Visitatore Apostolico nonché futuro papa Benedetto XIII, il quale, visitando la cappella, che continuava ad essere di patronato della famiglia Guida, ma che era stata spostata "in ultimo luogo di questa nave" (all'inizio della navata destra) trova l'altare "derelitto, non ritenendo altro di buono che una vecchia tavola di basso rilievo di pietra paesana". Ordina pertanto di demolire l'altare, di impiantare nello stesso luogo il Battistero e, "affinché non si perda la memoria di detta tavola … che si trasporti alla Confessione, detta qui la lamia de' morti" (il succorpo della chiesa).
Lo stesso cardinale visita l'altare di San Giovanni Battista (alias San Giovanni Decollato), anch'esso di patronato dei Guida, che aveva sede dov'è attualmente la cappella della Presentazione e lo trova in condizioni terribili, con "mensa di rozzissimo tufo, col gradino, e suppedaneo di legno fradici". Non sappiamo se la pala, a seguito dell'ordine dato dal Visitatore Apostolico, sia stata effettivamente spostata nel succorpo e poi riportata in cattedrale o se la disposizione dell'Orsini sia rimasta inevasa". Val bene, ora, seguire la descrizione dell'opera che ne fa la studiosa.
"Guardiamo ora la pala, centinata, che è stata di recente liberata dall'opaca scialbatura, rivelando in maniera più perspicua l'intaglio della pietra e interessanti tracce di colore e di doratura che riguardano anche gli stipiti e l'intradosso dell'arcata. Realizzata a rilievo, la pala è ripartita in otto campi di diversa forma e dimensioni (i due laterali superiori a quarto di cerchio, il centrale inferiore alto il doppio rispetto a quelli che lo fiancheggiano) che poggiano, orizzontalmente, su cornici modanate, decorate da dentelli. A detta del Nardone, i campi superiori nella zona centinata raffigurerebbero le tre profezie: la zona centrale alluderebbe a quella pagana, impersonata da una Sibilla; le due laterali alle profezie bibliche: rispettivamente quella del Nuovo e del Vecchio Testamento.
Nel riquadro centrale è rappresentata Maria Bambina, vista da tergo, con lunga veste cannulata e lunghi capelli ritorti che le scendono sulle spalle, la quale, dopo aver percorso i quindici, canonici erti gradini, raffigurati con incerta prospettiva come un enorme soffietto, entra nel tempio di Gerusalemme. Qui viene accolta dal Sommo Sacerdote, raffigurato in atteggiamento ieratico, con mitra sul capo e lunga e compatta barba, che, stando dietro un pulpito a struttura esagonale, con fronte decorata da teste di animali fantastici che sputano fogliami, prende entrambe le mani della Vergine fra le sue.
La figura del Sommo Sacerdote è inquadrata da un'arcata, al di là della quale si intravedono colonnati realizzati a stiacciato. Ai lati di questo riquadro, sullo stesso piano del Sommo Sacerdote, ed entro arcate consimili, si affacciano, procedendo verso il centro, due venerandi personaggi barbuti, ognuno dei quali reca una lunga candela a torciglione. Nei riquadri inferiori laterali sono assiepati coloro che assistono al rito, a sinistra gli uomini, a destra le donne, colti in vari atteggiamenti, alcuni dei quali recano doni. Ai piedi della scala è inginocchiato un vecchio, ripreso di spalle, che si è tolto il cappello in atto di rispetto: si tratta forse di Guidone de Guida, offerente e patrono della pala, fattosi raffigurare in veste di umile pellegrino".
Il breve tragitto storico compiuto dalla critica d'arte, Clara Gelao, che ho cercato di sintetizzare nelle parti essenziali, porta alla conclusione più dettagliata circa l'attribuzione. Anzi, l'autrice motiva il perché l'opera può e deve essere attribuita Stefano da Putignano. Sempre dal testo in esame, è facile cogliere le seguenti deduzioni: "In realtà, a dirci che si tratta di Stefano da Putignano in una fase avanzatissima della sua attività e quindi probabilmente supportato dalla bottega, è soprattutto la figura del Sommo Sacerdote, il cui volto dalle larghe palpebre con i soliti zigomi aggettanti e la lunga barba composta in ordinatissime ciocche richiama da una parte il San Paolo di Castellaneta, dall'altra l'Eterno della Trinità di Turi.
Lo stesso nobile volto dai lunghi occhi "cinesi" hanno i due venerandi personaggi che lo affiancano. La lunga veste della Vergine bambina, stretta in vita da una fusciacca e con rigide pieghe nella parte inferiore, svasata, ricorda l'abito del fanciullo nel gruppo scultoreo collocato all'ingresso della cripta di Santa Maria del Soccorso a Monopoli o quella del San Rocco di Ceglie Messapica. Il dinamismo che permea alcune figure, i panneggi più liberi e svolazzanti degli altri personaggi, la stessa vivacità della rappresentazione, parlano invece il linguaggio del San Michele Arcangelo della cattedrale, eseguito nello stesso 1538, forse l'estrema opera dell'artista".
Quindi, è da dire subito che la nostra città ha il privilegio di conservare due opere importantissime di questo scultore pugliese di nascita, di cognome e conosciuto più comunemente come Stefano da Putignano. Della statua dedicata al santo patrono, ci siamo occupati in una precedente puntata. Alla luce di questa nuova e più precisa attribuzione, è giusto rivolgere l'attenzione alla pala d'altare in pietra che rievoca la presentazione di Maria al tempo, la cui festa liturgica è fissata il 21 novembre di ogni anno.
Clara Gelao, nel districarsi tra la storia controversa di questo manufatto, voluto da una delle famiglie nobili cittadine, la famiglia Guida, fa riferimento al Nardone. "Fino a qualche anno fa le uniche notizie disponibili su questo altare erano quelle fornite dal Nardone, il quale lo diceva eretto nella seconda metà del secolo XV, "impiegandosi, a quanto pare, una tavola già appartenuta ad uno degli altari della vecchia chiesa" da un membro della nobile famiglia Guida, a suo dire originaria di Gravina. Tale notizia riassume in maniera generica e non del tutto esatta quanto si può ricostruire da una serie di epigrafi, divise tra la chiesa e il suo succorpo, di cui la più completa, fatta incidere nel 1721 dal canonico Antonio Guida a futura memoria, è quella che può leggersi ancor oggi sul tratto di muro a sinistra dell'altare della Presentazione".
Nel citato testo della Gelao, non manca il riferimento alla Visita Apostolica dell'Orsini, avvenuta nel 1714. Si può leggere quanto segue: "Le prime importanti variazioni cominciano ad avvenire nel 1714, a seguito della Visita di Vincenzo Maria Orsini, Visitatore Apostolico nonché futuro papa Benedetto XIII, il quale, visitando la cappella, che continuava ad essere di patronato della famiglia Guida, ma che era stata spostata "in ultimo luogo di questa nave" (all'inizio della navata destra) trova l'altare "derelitto, non ritenendo altro di buono che una vecchia tavola di basso rilievo di pietra paesana". Ordina pertanto di demolire l'altare, di impiantare nello stesso luogo il Battistero e, "affinché non si perda la memoria di detta tavola … che si trasporti alla Confessione, detta qui la lamia de' morti" (il succorpo della chiesa).
Lo stesso cardinale visita l'altare di San Giovanni Battista (alias San Giovanni Decollato), anch'esso di patronato dei Guida, che aveva sede dov'è attualmente la cappella della Presentazione e lo trova in condizioni terribili, con "mensa di rozzissimo tufo, col gradino, e suppedaneo di legno fradici". Non sappiamo se la pala, a seguito dell'ordine dato dal Visitatore Apostolico, sia stata effettivamente spostata nel succorpo e poi riportata in cattedrale o se la disposizione dell'Orsini sia rimasta inevasa". Val bene, ora, seguire la descrizione dell'opera che ne fa la studiosa.
"Guardiamo ora la pala, centinata, che è stata di recente liberata dall'opaca scialbatura, rivelando in maniera più perspicua l'intaglio della pietra e interessanti tracce di colore e di doratura che riguardano anche gli stipiti e l'intradosso dell'arcata. Realizzata a rilievo, la pala è ripartita in otto campi di diversa forma e dimensioni (i due laterali superiori a quarto di cerchio, il centrale inferiore alto il doppio rispetto a quelli che lo fiancheggiano) che poggiano, orizzontalmente, su cornici modanate, decorate da dentelli. A detta del Nardone, i campi superiori nella zona centinata raffigurerebbero le tre profezie: la zona centrale alluderebbe a quella pagana, impersonata da una Sibilla; le due laterali alle profezie bibliche: rispettivamente quella del Nuovo e del Vecchio Testamento.
Nel riquadro centrale è rappresentata Maria Bambina, vista da tergo, con lunga veste cannulata e lunghi capelli ritorti che le scendono sulle spalle, la quale, dopo aver percorso i quindici, canonici erti gradini, raffigurati con incerta prospettiva come un enorme soffietto, entra nel tempio di Gerusalemme. Qui viene accolta dal Sommo Sacerdote, raffigurato in atteggiamento ieratico, con mitra sul capo e lunga e compatta barba, che, stando dietro un pulpito a struttura esagonale, con fronte decorata da teste di animali fantastici che sputano fogliami, prende entrambe le mani della Vergine fra le sue.
La figura del Sommo Sacerdote è inquadrata da un'arcata, al di là della quale si intravedono colonnati realizzati a stiacciato. Ai lati di questo riquadro, sullo stesso piano del Sommo Sacerdote, ed entro arcate consimili, si affacciano, procedendo verso il centro, due venerandi personaggi barbuti, ognuno dei quali reca una lunga candela a torciglione. Nei riquadri inferiori laterali sono assiepati coloro che assistono al rito, a sinistra gli uomini, a destra le donne, colti in vari atteggiamenti, alcuni dei quali recano doni. Ai piedi della scala è inginocchiato un vecchio, ripreso di spalle, che si è tolto il cappello in atto di rispetto: si tratta forse di Guidone de Guida, offerente e patrono della pala, fattosi raffigurare in veste di umile pellegrino".
Il breve tragitto storico compiuto dalla critica d'arte, Clara Gelao, che ho cercato di sintetizzare nelle parti essenziali, porta alla conclusione più dettagliata circa l'attribuzione. Anzi, l'autrice motiva il perché l'opera può e deve essere attribuita Stefano da Putignano. Sempre dal testo in esame, è facile cogliere le seguenti deduzioni: "In realtà, a dirci che si tratta di Stefano da Putignano in una fase avanzatissima della sua attività e quindi probabilmente supportato dalla bottega, è soprattutto la figura del Sommo Sacerdote, il cui volto dalle larghe palpebre con i soliti zigomi aggettanti e la lunga barba composta in ordinatissime ciocche richiama da una parte il San Paolo di Castellaneta, dall'altra l'Eterno della Trinità di Turi.
Lo stesso nobile volto dai lunghi occhi "cinesi" hanno i due venerandi personaggi che lo affiancano. La lunga veste della Vergine bambina, stretta in vita da una fusciacca e con rigide pieghe nella parte inferiore, svasata, ricorda l'abito del fanciullo nel gruppo scultoreo collocato all'ingresso della cripta di Santa Maria del Soccorso a Monopoli o quella del San Rocco di Ceglie Messapica. Il dinamismo che permea alcune figure, i panneggi più liberi e svolazzanti degli altri personaggi, la stessa vivacità della rappresentazione, parlano invece il linguaggio del San Michele Arcangelo della cattedrale, eseguito nello stesso 1538, forse l'estrema opera dell'artista".