Passeggiando con la storia
La chiesa rupestre Tota o sant’Elia
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 27 maggio 2021
12.59
Iniziando il precorso storico e descrittivo di questa chiesa, bisogna partire dall'Inventario topografico e bibliografico delle cripte eremitiche basiliane di Puglia, compilato da Giuseppe Gabrieli, pubblicato in occasione del V Congresso Internazionale di Studi Bizantini, in Roma, nel settembre del 1936. "Cripta del "Dottor Tota": "manomessa ma ancora riparabile" mi scriveva uno studioso del luogo, il defunto Pasquale Calderoni Martini. Ma io l'ho trovata non più riparabile! Le pitture sono quasi del tutto scomparse, sotto l'azione dell'umidità, della efflorescenza nitrosa, e più dei "raschiatori di salnitro" (per i fuochi artificiali!) Piccola basilichetta a 3, anzi a 4 navate, con tre absidi; delle quali l'una mostra, in qualche linea, il Redentore fra 4 angeli; la seconda, il Cristo tra i Profeti (Elia ecc…); la terza una Madonna con bambino. Resti di figure sui pilastri; iscrizioni latine".
Secondo quanto, invece, asseriva Alba Medea nel suo: Gli affreschi delle chiese eremitiche pugliesi, 1939, la Cripta Tota o Sant'Elia, ripreso da Pino Navedoro nell'opera: Le chiese rupestri di Gravina in Puglia. Considerazioni preliminari su alcuni ambienti conosciuti o ancora inediti, Il Grillo Ediitore, 2006, "deve il suo nome odierno ad uno dei proprietari in età moderna del luogo su cui insiste. Si suppone che corrisponda alla chiesa di S. Elia menzionata dalle fonti antiche perché in tempi recenti era ancora apprezzabile, tra gli affreschi che la adornavano, il profeta Elia. Oggi le raffigurazioni, che già nel 1939 risultavano danneggiate dall'umidità, non sono più visibili perché l'ambiente risulta interrato. La cripta aveva una pianta a cinque navate, triabsidata, con l'aula scandita da file di pilastri; vi si accede da un dromos con scalinata". La studiosa descrive così l'ambiente: "Ampia grotta rettangolare, a 5 navate, divise da pilastri rettangolari, tagliati nella roccia tufacea che costituisce anche il pavimento. Le volte sono piane. Vi si scende per una breve scalinata, tagliata nel masso, alla quale si accede da un arco". In verità, bisogna evidenziare come questo complesso architettonico, di grandissima valenza storica ed artistica, doveva rientrare in un piano di finanziamento per lo stacco degli affreschi, così come Cesare Brandi aveva proposto e così come era già avvenuto per gli affreschi di San Vito Vecchio. Nonostante la disponibilità, e l'avvenuta cessione del proprietario allo Stato dei beni contenuti in questo sito, non se ne fece più nulla, perché il progetto presentato dallo stesso Brandi non fu finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno. Ciò avvenne negli anni a cavallo tre il 1957 il 1958. Successivamente, dal verbale di deliberazione del Consiglio comunale, n.185, si evince che la seduta consiliare, dell'8 luglio 1963, approvò e deliberò di acquistare dal Sig. Dott. Vincenzo Tota la cripta bizantina esistente in via San Vito Vecchio e mq 484 di terreno di sua proprietà, al prezzo di lire 5.000 al mq". Evidentemente, anche quest'atto fu vanificato, tanto che tutto è rimasto e, forse, permane, in quello stato di indicibile degrado che grida vendetta al cospetto della storia.
Ritornando allo stato dei luoghi, le ultime novità, le ultime notizie, se così le possiamo chiamare, dopo quelle del 1939, risalgono al 24 maggio 1967, in seguito ad un sopralluogo effettuato dal compianto professore Angelo Amodio, storico critico d'arte gravinese e alla relazione dettagliata, da questi stilata, su richiesta della Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e delle Gallerie della Puglia e della Lucania. Si torna sull'argomento, ad affrontarlo, ma senza alcun esito positivo, ai fini del recupero e della fruibilità. Scriveva il professore Amodio: "Nel giardino di proprietà del Dott. Vincenzo Tota, in via S. Vito Vecchio (ex via Fornaci), scavata nel masso tufaceo, quasi affiorante alla superficie del terreno, vi è l'ampia Grotta del XII/XIII secolo di form quasi quadrata, a 5 navate divise da pilastri rettangolari, tagliati nella roccia tufacea, che costituisce anche il pavimento rispondente a livello della Via suddetta. Un assieme di bella e suggestiva architettura primitiva, dell'Epoca Bizantina. Misure: Altezza nt.3; Larghezza mt.12; Lunghezza mt.13. Affreschi Bizantini: Entrata sotto l'arco di accesso a destra, tracce di un volto canuto barbato a tratti monocromi; resti dell'iscrizione verticale: "C. Basi…Oc"; Parete di fondo: Grande nicchia al termine della navata centrale, piana non absidata, bella testa di un Cristo dalla ricca capigliatura con severa espressione non priva di nobiltà. Ao lati sono ancora visibili resti di Angeli con nastri volanti nelle chiome; Arco a destra: Tracce di due Santi e volto di un altro Santo canuto e barbato; resti di iscrizioni: Jacobus – Fratres. Dalla navata estrema di destra, per una apertura praticata nella parete, si penetra entro una grotta adiacente ove vi è un giacitoio; Nicchia della navata destra: Grande Cristo in trono. Tiene aperto un libro sul quale si leggono le precise parole: "Ego sum lux mundi qui…"
Condizioni attuali: La Grotta è libera da cose, ma ingombra di terriccio di riporto, sparso in piccoli cumoli per tutto il pavimento. La Grotta e gli affreschi ancora esistenti potranno essere salvati, se si procede all'immediato acquisto di essi e di tutta l'area soprastante, già richiesta al proprietario Dott. Vincenzo Tota da privati per adibirla a suolo edificatorio". Il professore Amodio concludeva il suo scritto con un auspicio: "E' l'unica soluzione per sottrarli così da sicuro deperimento e distruzione e rimetterli in piena luce alla ammirazione e attrazione di un numeroso turismo internazionale".
Purtroppo, le cose non sono andate così. Quale sia, oggi, lo stato degli affreschi non ci è dato saperlo, se non vengono attivate le procedure progettuali di un intervento finalizzato, intanto, alla rimozione degli ingombri che non facilitano l'ingresso al sito e poi, constatare lo stato in cui versano gli affreschi. Se non sono stati, nel frattempo, trafugati o danneggiati dall'incuria e dal degrado naturale degli agenti atmosferici. Se si dovesse constatare che la chiesa è rimasta nuda e spoglia dei suoi tesori, non ci resta che prendere atto di un altro patrimonio, purtroppo andato distrutto e perso.
(Il corredo fotografico, risalente al 1985, è parte dell'archivio di Giuseppe Olivieri).
Secondo quanto, invece, asseriva Alba Medea nel suo: Gli affreschi delle chiese eremitiche pugliesi, 1939, la Cripta Tota o Sant'Elia, ripreso da Pino Navedoro nell'opera: Le chiese rupestri di Gravina in Puglia. Considerazioni preliminari su alcuni ambienti conosciuti o ancora inediti, Il Grillo Ediitore, 2006, "deve il suo nome odierno ad uno dei proprietari in età moderna del luogo su cui insiste. Si suppone che corrisponda alla chiesa di S. Elia menzionata dalle fonti antiche perché in tempi recenti era ancora apprezzabile, tra gli affreschi che la adornavano, il profeta Elia. Oggi le raffigurazioni, che già nel 1939 risultavano danneggiate dall'umidità, non sono più visibili perché l'ambiente risulta interrato. La cripta aveva una pianta a cinque navate, triabsidata, con l'aula scandita da file di pilastri; vi si accede da un dromos con scalinata". La studiosa descrive così l'ambiente: "Ampia grotta rettangolare, a 5 navate, divise da pilastri rettangolari, tagliati nella roccia tufacea che costituisce anche il pavimento. Le volte sono piane. Vi si scende per una breve scalinata, tagliata nel masso, alla quale si accede da un arco". In verità, bisogna evidenziare come questo complesso architettonico, di grandissima valenza storica ed artistica, doveva rientrare in un piano di finanziamento per lo stacco degli affreschi, così come Cesare Brandi aveva proposto e così come era già avvenuto per gli affreschi di San Vito Vecchio. Nonostante la disponibilità, e l'avvenuta cessione del proprietario allo Stato dei beni contenuti in questo sito, non se ne fece più nulla, perché il progetto presentato dallo stesso Brandi non fu finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno. Ciò avvenne negli anni a cavallo tre il 1957 il 1958. Successivamente, dal verbale di deliberazione del Consiglio comunale, n.185, si evince che la seduta consiliare, dell'8 luglio 1963, approvò e deliberò di acquistare dal Sig. Dott. Vincenzo Tota la cripta bizantina esistente in via San Vito Vecchio e mq 484 di terreno di sua proprietà, al prezzo di lire 5.000 al mq". Evidentemente, anche quest'atto fu vanificato, tanto che tutto è rimasto e, forse, permane, in quello stato di indicibile degrado che grida vendetta al cospetto della storia.
Ritornando allo stato dei luoghi, le ultime novità, le ultime notizie, se così le possiamo chiamare, dopo quelle del 1939, risalgono al 24 maggio 1967, in seguito ad un sopralluogo effettuato dal compianto professore Angelo Amodio, storico critico d'arte gravinese e alla relazione dettagliata, da questi stilata, su richiesta della Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e delle Gallerie della Puglia e della Lucania. Si torna sull'argomento, ad affrontarlo, ma senza alcun esito positivo, ai fini del recupero e della fruibilità. Scriveva il professore Amodio: "Nel giardino di proprietà del Dott. Vincenzo Tota, in via S. Vito Vecchio (ex via Fornaci), scavata nel masso tufaceo, quasi affiorante alla superficie del terreno, vi è l'ampia Grotta del XII/XIII secolo di form quasi quadrata, a 5 navate divise da pilastri rettangolari, tagliati nella roccia tufacea, che costituisce anche il pavimento rispondente a livello della Via suddetta. Un assieme di bella e suggestiva architettura primitiva, dell'Epoca Bizantina. Misure: Altezza nt.3; Larghezza mt.12; Lunghezza mt.13. Affreschi Bizantini: Entrata sotto l'arco di accesso a destra, tracce di un volto canuto barbato a tratti monocromi; resti dell'iscrizione verticale: "C. Basi…Oc"; Parete di fondo: Grande nicchia al termine della navata centrale, piana non absidata, bella testa di un Cristo dalla ricca capigliatura con severa espressione non priva di nobiltà. Ao lati sono ancora visibili resti di Angeli con nastri volanti nelle chiome; Arco a destra: Tracce di due Santi e volto di un altro Santo canuto e barbato; resti di iscrizioni: Jacobus – Fratres. Dalla navata estrema di destra, per una apertura praticata nella parete, si penetra entro una grotta adiacente ove vi è un giacitoio; Nicchia della navata destra: Grande Cristo in trono. Tiene aperto un libro sul quale si leggono le precise parole: "Ego sum lux mundi qui…"
Condizioni attuali: La Grotta è libera da cose, ma ingombra di terriccio di riporto, sparso in piccoli cumoli per tutto il pavimento. La Grotta e gli affreschi ancora esistenti potranno essere salvati, se si procede all'immediato acquisto di essi e di tutta l'area soprastante, già richiesta al proprietario Dott. Vincenzo Tota da privati per adibirla a suolo edificatorio". Il professore Amodio concludeva il suo scritto con un auspicio: "E' l'unica soluzione per sottrarli così da sicuro deperimento e distruzione e rimetterli in piena luce alla ammirazione e attrazione di un numeroso turismo internazionale".
Purtroppo, le cose non sono andate così. Quale sia, oggi, lo stato degli affreschi non ci è dato saperlo, se non vengono attivate le procedure progettuali di un intervento finalizzato, intanto, alla rimozione degli ingombri che non facilitano l'ingresso al sito e poi, constatare lo stato in cui versano gli affreschi. Se non sono stati, nel frattempo, trafugati o danneggiati dall'incuria e dal degrado naturale degli agenti atmosferici. Se si dovesse constatare che la chiesa è rimasta nuda e spoglia dei suoi tesori, non ci resta che prendere atto di un altro patrimonio, purtroppo andato distrutto e perso.
(Il corredo fotografico, risalente al 1985, è parte dell'archivio di Giuseppe Olivieri).