Passeggiando con la storia
La Fiera San Giorgio nella sua evoluzione storica, economica e politica
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 21 aprile 2022
Se una fonte inesauribile, per ricerche e studi, sono i testi, i documenti d'archivio, è pur vero che chi queste fonti le ha consultate, diventa di per sé un insostituibile punto di riferimento. Nel caso di specie, abbiamo tratto queste notizie da studi e pubblicazioni curate dal professore Fedele Raguso. Nuove acquisizioni documentarie, vecchie e nuove conferme. Questi sono gli aspetti che scaturiscono dalla lettura del Raguso. La fiera S. Giorgio di Gravina è una di quelle più antiche, ma, anche sopravvissute. La sua longevità, la sua continuità, la sua forza attrattiva sono da ascrivere alle sue buone radici, costituite da fattori geocconomici, istituzionali e da particolari contingenze storiche.
Nel 1294 Giovanni Monfort, al servizio di Carlo II d'Angiò, fu un convinto sostenitore della fiera S. Giorgio, per la quale ebbe la prerogativa di eleggere il maestro di fiera. Un documento, datato Gravina 8 dicembre 1301, riporta l'inventario dei beni posseduti e gestiti dal Monfort, con tutti i diritti amministrativi, finanziari e giudiziari. Tra quest'ultimi rientrò il diritto di elezione del maestro di fiera, che fu ereditato e difeso dagli Orsini, duchi e padroni della città sino al 1810. Alla morte di Monfort il feudo di Gravina ritornò alla Regia Curia e da questa ad Isabella d'Angiò, sorella di Carlo II e regina d'Ungheria, rappresentata in terra gravinese da Uguetto bolognese, vicario e procuratore, investito della carica di maestro giurato. Perciò, la fiera continuò a svolgersi e fu una delle tante fiere angioine, promossa da semplice mercato ad appuntamento economico di rilievo, dove si vendevano grandi quantità e tante diversità di prodotti e animali, dove si esponevano i bei cavalli murgiani, allevati nella masseria regia o marestalla, dove si calmieravano i prezzi del grano e dei cereali.
Se a Giovanni Monfort si deve il ripristino della fiera, il rilancio economico, commerciale, turistico e folcloristico lo si deve ai conti Pietro e Giovanni d'Angiò. Questi gestirono la contea di Gravina dal 1302 al 1334 ed ebbero particolare cura e sorveglianza sulla "marestalla regia", per gli allevamenti dei cavalli. Questi e altri animali delle masserie regie e private di Puglia e Basilicata si aggiunsero al fiorente mercato del grano, orzo, cereali e legumi. La fiera di Gravina divenne il luogo e la circostanza più propizia per fornire la Curia Regia e la città di Napoli di tutte le derrate alimentari e dei giovani puledri.
Da Gravina, infatti, erano richiesti i cavalli migliori per la regia corte. Tanto è attestato daí documenti datati 1305-1310. L'importanza, la vitalità, l'efficacia della fiera S. Giorgio è attestata da altre preziose fonti, in cui si legge a più riprese la presenza di mercanti fiorentini delle compagnie dei Bardi e dei Peruzzi, che in diverse circostanze prestarono soldi al signore Giovanni Monfort, acquistarono cereali ed animali, anticiparono soldi, si trovarono implicati in diversi contenziosi. Da un dispositivo di Carlo II, datato 27 dicembre 1300, sappiamo che Lippo di Firenze, mercante della compagnia dei Bardi, era creditore di 100 once prestate al defunto Giovanni Monfort, signore di Gravi na. Lippo e tal Lapo Blanco, mercanti fiorentini della stessa società dei Bardi, ebbero residenza stabile a Gravina o in Puglia, visto che compaiono in diversi negozi commerciali e giuridici. Nel 1309 Gregorio, fratello di Giacomo II, vescovo di Gravina, fu costretto a vendere a basso prezzo una gran quantità di animali a Lapo, che si impegnava a rivendere quanto acquistato allo stesso prezzo. Il fiorentino non rispettò i patti e fu necessario l'intervento del re. Lo stesso Lapo si rifiutò di pagare ai baiuli la tassa dovuta per l'acquisto di vettovaglie e giumenti. Egli insieme a Lippo, si trovò implicato in altra vertenza col dominus Gregorio, che, non potendo pagare un debito, venne incarcerato e il figlio ucciso. Le società dei Bardi e dei Peruzzi risultarono creditrici in Gravina dei conti Pietro e Giovanni.
Nella città l'affluenza di mercanti e feudatari nei giorni di fiera, era notevole perché si teneva una prestigiosa rassegna e si vendevano i cavalli non utili agli allevatori, alla Curia, al conte. Questi animali furo-no motivo di preoccupazione del re e del feudatario ogni volta che si mettevano in vendita ed in mostra alla fiera, per cui si ordinò la presenza del Giustiziere con un corpo di cavalleria armata, costituita da baroni e feudatari soggetti al servizio feudale.
La storia e la storiografia sulle fiere non ha conosciuto e non ha mai preso in considerazione l'atto di ripristino della fiera S. Giorgio del 1294, emanato da Carlo II, non ha conosciuto gli importanti documenti innanzi riportati, per cui ha accreditato la sua origine all'epoca aragonese, attribuendole, oltre tutto, una scarsa valenza economica. La si fa risalire al 1436 quando, invece, ci fu la riconferma del privilegio di "fiera franca", che Alfonso I d'Aragona aveva concesso a Francesco Orsini, conte di Gravina. Questi riuscì a far rinascere quello che era diventato un mercato consuetudinario, istituzionalizzò la fiera e la sincronizzò con quella di Bitonto e con tutte quelle che si svolgevano in Puglia.
Il privilegio di Alfonso II del 1494 confermò all'Università di Gravina tutte le grazie, gabelle, dazi, statuti, consuetudini, mercati e fiere, concessi e confermati dai predecessori: Giovanni d'Angiò, conte di Gravina; Giovanna II d'Angiò, regina; Alfonso I d'Aragona; Ferdinando I. Il contesto generale del documento si sostanzia delle donazioni angioine, che consentirono un regime fiscale regolamentato e delle agevolazioni, atti a favorire gli scambi commerciali sempre e, in modo particolare, in occasione della fiera.
Francesco Orsini, richiedente di tale privilegio, si preoccupò di far legiferare anche sui giorni da tenersi in armonia e gemellaggio con la vicina fiera di San Leone di Bitonto: questa doveva precedere quella di Gravina, che poteva iniziare le sue nundine il giorno dopo la chiusura di quella bitontina. Con gli Orsini la fiera S. Giorgio fu organizzata, entrò nel circuito commerciale del Regno, venne qualificata e privilegiata per le contrattazioni dei cavalli e dei cereali. Negli apprezzi la fiera risulta tra le voci qualificanti per le sue buone entrate, che favorivano i signori, la Chiesa e i gravinesi. Nel 1608 il tabulario Virgilio De Marino, stimando la città, ebbe modo di dare le ragioni che avevano generato la fiera S. Giorgio e le sue specificità commerciali ed istituzionali.
La città di Gravina, scrisse De Marino, era luogo di transito dei Lucani, dei Calabri, degli Otrantini, dei Baresi, dei Pugliesi che si muovevano all'interno della regione o che si dirigevano verso il Nord. Vi transitavano coloro che dal nord della Puglia e delle regioni limitrofe si dirigevano verso il Sud. Nella città c'era un ufficio postale regionale. In essa accorrevano forestieri dai paesi lontani e vicini per vendere e comprare. Portavano dalla marina primizie e pesci, dalla montagna i frutti della Basilicata, riportandosi in cambio grano, formaggi e le tante mercanzie che si producevano. Tutto questo movimento commerciale si intensificava e si organizzava globalmente in occasione della fiera S. Giorgio, che iniziava il l'8 aprile e terminava il 27, governata dal maestro di fiera cittadino, eletto dal duca di Gravina.
Nel 1294 Giovanni Monfort, al servizio di Carlo II d'Angiò, fu un convinto sostenitore della fiera S. Giorgio, per la quale ebbe la prerogativa di eleggere il maestro di fiera. Un documento, datato Gravina 8 dicembre 1301, riporta l'inventario dei beni posseduti e gestiti dal Monfort, con tutti i diritti amministrativi, finanziari e giudiziari. Tra quest'ultimi rientrò il diritto di elezione del maestro di fiera, che fu ereditato e difeso dagli Orsini, duchi e padroni della città sino al 1810. Alla morte di Monfort il feudo di Gravina ritornò alla Regia Curia e da questa ad Isabella d'Angiò, sorella di Carlo II e regina d'Ungheria, rappresentata in terra gravinese da Uguetto bolognese, vicario e procuratore, investito della carica di maestro giurato. Perciò, la fiera continuò a svolgersi e fu una delle tante fiere angioine, promossa da semplice mercato ad appuntamento economico di rilievo, dove si vendevano grandi quantità e tante diversità di prodotti e animali, dove si esponevano i bei cavalli murgiani, allevati nella masseria regia o marestalla, dove si calmieravano i prezzi del grano e dei cereali.
Se a Giovanni Monfort si deve il ripristino della fiera, il rilancio economico, commerciale, turistico e folcloristico lo si deve ai conti Pietro e Giovanni d'Angiò. Questi gestirono la contea di Gravina dal 1302 al 1334 ed ebbero particolare cura e sorveglianza sulla "marestalla regia", per gli allevamenti dei cavalli. Questi e altri animali delle masserie regie e private di Puglia e Basilicata si aggiunsero al fiorente mercato del grano, orzo, cereali e legumi. La fiera di Gravina divenne il luogo e la circostanza più propizia per fornire la Curia Regia e la città di Napoli di tutte le derrate alimentari e dei giovani puledri.
Da Gravina, infatti, erano richiesti i cavalli migliori per la regia corte. Tanto è attestato daí documenti datati 1305-1310. L'importanza, la vitalità, l'efficacia della fiera S. Giorgio è attestata da altre preziose fonti, in cui si legge a più riprese la presenza di mercanti fiorentini delle compagnie dei Bardi e dei Peruzzi, che in diverse circostanze prestarono soldi al signore Giovanni Monfort, acquistarono cereali ed animali, anticiparono soldi, si trovarono implicati in diversi contenziosi. Da un dispositivo di Carlo II, datato 27 dicembre 1300, sappiamo che Lippo di Firenze, mercante della compagnia dei Bardi, era creditore di 100 once prestate al defunto Giovanni Monfort, signore di Gravi na. Lippo e tal Lapo Blanco, mercanti fiorentini della stessa società dei Bardi, ebbero residenza stabile a Gravina o in Puglia, visto che compaiono in diversi negozi commerciali e giuridici. Nel 1309 Gregorio, fratello di Giacomo II, vescovo di Gravina, fu costretto a vendere a basso prezzo una gran quantità di animali a Lapo, che si impegnava a rivendere quanto acquistato allo stesso prezzo. Il fiorentino non rispettò i patti e fu necessario l'intervento del re. Lo stesso Lapo si rifiutò di pagare ai baiuli la tassa dovuta per l'acquisto di vettovaglie e giumenti. Egli insieme a Lippo, si trovò implicato in altra vertenza col dominus Gregorio, che, non potendo pagare un debito, venne incarcerato e il figlio ucciso. Le società dei Bardi e dei Peruzzi risultarono creditrici in Gravina dei conti Pietro e Giovanni.
Nella città l'affluenza di mercanti e feudatari nei giorni di fiera, era notevole perché si teneva una prestigiosa rassegna e si vendevano i cavalli non utili agli allevatori, alla Curia, al conte. Questi animali furo-no motivo di preoccupazione del re e del feudatario ogni volta che si mettevano in vendita ed in mostra alla fiera, per cui si ordinò la presenza del Giustiziere con un corpo di cavalleria armata, costituita da baroni e feudatari soggetti al servizio feudale.
La storia e la storiografia sulle fiere non ha conosciuto e non ha mai preso in considerazione l'atto di ripristino della fiera S. Giorgio del 1294, emanato da Carlo II, non ha conosciuto gli importanti documenti innanzi riportati, per cui ha accreditato la sua origine all'epoca aragonese, attribuendole, oltre tutto, una scarsa valenza economica. La si fa risalire al 1436 quando, invece, ci fu la riconferma del privilegio di "fiera franca", che Alfonso I d'Aragona aveva concesso a Francesco Orsini, conte di Gravina. Questi riuscì a far rinascere quello che era diventato un mercato consuetudinario, istituzionalizzò la fiera e la sincronizzò con quella di Bitonto e con tutte quelle che si svolgevano in Puglia.
Il privilegio di Alfonso II del 1494 confermò all'Università di Gravina tutte le grazie, gabelle, dazi, statuti, consuetudini, mercati e fiere, concessi e confermati dai predecessori: Giovanni d'Angiò, conte di Gravina; Giovanna II d'Angiò, regina; Alfonso I d'Aragona; Ferdinando I. Il contesto generale del documento si sostanzia delle donazioni angioine, che consentirono un regime fiscale regolamentato e delle agevolazioni, atti a favorire gli scambi commerciali sempre e, in modo particolare, in occasione della fiera.
Francesco Orsini, richiedente di tale privilegio, si preoccupò di far legiferare anche sui giorni da tenersi in armonia e gemellaggio con la vicina fiera di San Leone di Bitonto: questa doveva precedere quella di Gravina, che poteva iniziare le sue nundine il giorno dopo la chiusura di quella bitontina. Con gli Orsini la fiera S. Giorgio fu organizzata, entrò nel circuito commerciale del Regno, venne qualificata e privilegiata per le contrattazioni dei cavalli e dei cereali. Negli apprezzi la fiera risulta tra le voci qualificanti per le sue buone entrate, che favorivano i signori, la Chiesa e i gravinesi. Nel 1608 il tabulario Virgilio De Marino, stimando la città, ebbe modo di dare le ragioni che avevano generato la fiera S. Giorgio e le sue specificità commerciali ed istituzionali.
La città di Gravina, scrisse De Marino, era luogo di transito dei Lucani, dei Calabri, degli Otrantini, dei Baresi, dei Pugliesi che si muovevano all'interno della regione o che si dirigevano verso il Nord. Vi transitavano coloro che dal nord della Puglia e delle regioni limitrofe si dirigevano verso il Sud. Nella città c'era un ufficio postale regionale. In essa accorrevano forestieri dai paesi lontani e vicini per vendere e comprare. Portavano dalla marina primizie e pesci, dalla montagna i frutti della Basilicata, riportandosi in cambio grano, formaggi e le tante mercanzie che si producevano. Tutto questo movimento commerciale si intensificava e si organizzava globalmente in occasione della fiera S. Giorgio, che iniziava il l'8 aprile e terminava il 27, governata dal maestro di fiera cittadino, eletto dal duca di Gravina.