Passeggiando con la storia
La Vergine del Carmelo nella chiesa di San Francesco
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 13 luglio 2023
E' una delle tante opere pittoriche sconosciute presenti nella nostra città. E' una di quelle che arricchisce il vasto patrimonio artistico delle nostre chiese cittadine. Questa tela, collocata all'interno della chiesa di San Francesco, rappresenta "la Vergine, assisa su un banco di nuvole, avvolta in un manto azzurro listato in oro che le copre il capo, sotto il quale si intravede il velum.
L'ampia veste rossa ricade dalle ginocchia in morbide pieghe. La vergine sostiene nella mano destra lo scapolare ed è incoronata da due angioletti in volo, anch'essi reggenti scapolari, (segno distintivo dell'Ordine dei carmelitani e dei devoti del Carmelo). La Madre è intenta ad allattare il piccolo Gesù accolto nel suo grembo, vestito di una lunga tunica bianca e recante nella mano sinistra un uccellino".
Questa, sinteticamente e brevemente, la nota descrittiva dell'opera, stilata da Antonella Simonetti, della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etmoantropologici della Puglia, nel corso del recente restaurato, aprile 2010, finanziato dalla locale sezione dell'ArcheoClub d'Italia. Andando alle profondità analitiche e critiche del dipinto, scovando possibilmente tra le radici dell'autore, purtroppo i risultati non sono stati confortanti, o quanto meno definitivi e certi sull'attribuzione del pittore.
Scrive la Simonetti, nel quaderno illustrativo del e per il restauro: "L'opera in esame è ascrivibile ad un ignoto artista locale che si colloca all'interno della corrente che parte da Giovanni Donato Oppido fino a giungere a Frà Giacomo da San Vito dei Normanni, uno degli epigoni di quella particolare temperie culturale, in cui la richiesta di dipinti devozionali concepiti secondo un meditato rigore compositivo induceva i frati francescani artisticamente più dotati a prestare la loro opera nelle chiese e nei conventi pugliesi e lucani.
L'intento didascalico si traduceva nella divisione per piani compositivi, come si evince in molte opere dell'Oppido e di Frà Giacomo da San Vito. Anche il dipinto di Gravina è diviso in due registri, ma risulta sproporzionato: il gruppo della Vergine con il Nambino si espande occupando quasi tutto lo spazio scenografico. La cultura eclettica ma periferica tardo seicentesca non permette al nostro pittore di superare un trito formulario pietistico, da cui affiorano stilemi attardati della pittura manierista napoletana ed elementi filo fiamminghi colti nei loro valori formali.
La tela non ha una specifica collocazione nella chiesa di San Francesco d'Assisi, fondata tra la fine del Quattrocento ed i primi del Cinquecento, quando i francescani entrarono in possesso di una precedente chiesa dedicata a Santa Maria La Nova, né le notizie fino ad oggi reperite hanno fatto luce sull'originaria ubicazione".
L'ampia veste rossa ricade dalle ginocchia in morbide pieghe. La vergine sostiene nella mano destra lo scapolare ed è incoronata da due angioletti in volo, anch'essi reggenti scapolari, (segno distintivo dell'Ordine dei carmelitani e dei devoti del Carmelo). La Madre è intenta ad allattare il piccolo Gesù accolto nel suo grembo, vestito di una lunga tunica bianca e recante nella mano sinistra un uccellino".
Questa, sinteticamente e brevemente, la nota descrittiva dell'opera, stilata da Antonella Simonetti, della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etmoantropologici della Puglia, nel corso del recente restaurato, aprile 2010, finanziato dalla locale sezione dell'ArcheoClub d'Italia. Andando alle profondità analitiche e critiche del dipinto, scovando possibilmente tra le radici dell'autore, purtroppo i risultati non sono stati confortanti, o quanto meno definitivi e certi sull'attribuzione del pittore.
Scrive la Simonetti, nel quaderno illustrativo del e per il restauro: "L'opera in esame è ascrivibile ad un ignoto artista locale che si colloca all'interno della corrente che parte da Giovanni Donato Oppido fino a giungere a Frà Giacomo da San Vito dei Normanni, uno degli epigoni di quella particolare temperie culturale, in cui la richiesta di dipinti devozionali concepiti secondo un meditato rigore compositivo induceva i frati francescani artisticamente più dotati a prestare la loro opera nelle chiese e nei conventi pugliesi e lucani.
L'intento didascalico si traduceva nella divisione per piani compositivi, come si evince in molte opere dell'Oppido e di Frà Giacomo da San Vito. Anche il dipinto di Gravina è diviso in due registri, ma risulta sproporzionato: il gruppo della Vergine con il Nambino si espande occupando quasi tutto lo spazio scenografico. La cultura eclettica ma periferica tardo seicentesca non permette al nostro pittore di superare un trito formulario pietistico, da cui affiorano stilemi attardati della pittura manierista napoletana ed elementi filo fiamminghi colti nei loro valori formali.
La tela non ha una specifica collocazione nella chiesa di San Francesco d'Assisi, fondata tra la fine del Quattrocento ed i primi del Cinquecento, quando i francescani entrarono in possesso di una precedente chiesa dedicata a Santa Maria La Nova, né le notizie fino ad oggi reperite hanno fatto luce sull'originaria ubicazione".