Passeggiando con la storia
Le calcare di Gravina, ovvero forni di calce
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 27 luglio 2023
Nella gran parte sono scomparse. Rari esemplari sono ancora riconoscibili e non passate dal setaccio del dimenticatoio Interrate, distrutte completamente, pur essendo state al centro dello sviluppo economico della città, insieme alle fabbriche di paste alimentari, di molini a vapore, di concerie, di fornaci per la cottura di tegole, piatti, brocche.
Per comprendere meglio cosa fossero e come funzionassero queste fabbriche artigianali produttrici di calce, mi sono avvalso del contributo del professore Franco Laiso riportato nel suo: Gravina: Intersewzioni – Interpretazioni Stampagrafica Bongo, Maggio 2017. "La calcara è un costrutto in pietr di forma tronco-conica e richiama nelle modalità strutturali, il tholos miceneo, il nuraghe sardo, i trulli, i rifugi in pietra delle Murge e tante altre strutture dell'area mediterranea. Tuttavia la funzione di questi costrutti risponde a varie esigenze.
La calcara, nella sua funzione, è un autentico altoforno on cui si cuoceva la pietra calcarea dura, presente nello strato geologico pedemurgiano, alle falde del castello, nelle zone di Grottesolagne e di Grottamarallo. La calcara accoglieva, nel suo interno circolare vuoto, piccoli blocchi di pietra calcarea dura, sistemati e tenuti compatti con perizia. Ai piedi della calcara si apriva l'imbocco della fornace attraverso cui, per circa 20 giorni, la calcara era tenuta accesa costantemente alimentata dalla paglia.
Durante le notti le calcare sprigionavano bagliori e fiamme: tutta la zona sembrava una sorta di Malebolge dell'Inferno dantesco. Dopo il processo di trasformazione fisico – chimica dovuto alla cottura, i blocchi di pietra si estraevano dalla calcara diventati, come per incanto candidi e leggerissimi, pronti per essere utilizzati come calce multiuso. La cantina o cellario della casa del centro storico non mancava mai di una vasca, il palmento, una vasca scavata nella roccia impermeabile o costruita in tufo, denominata la curatoure in cui si "curava" la calce viva che veniva ridotta ad un morbido amalgama. Questo amalgama diluito con acqua, era destinato a vari usi. Uno era quello destinato alla imbiancatura delle pareti esterne dei palazzi, irrorata direttamente sul tufo, privo di intonaco o sulle supefici interne preparate con l'intonaco
Con gli ultimi anni cinquanta l'attività della calcara cessa. Ne resta qualcuna ancora "carica" e non sottoposta al processo di trasformazione. Gli operai addetti alle calcare si perdettero nei grandi flussi dell'emigrazione. Le calcare costituiscono un prezioso patrimonio di archeologia industriale che va valorizzato e finalizzato ad un itinerario turistico – ambientale – culturale: uno fra i tanti che Gravina Possiede. E' così diffuso il costrutto tronco – conico che nel Park Guell (1900 – 1914) di Barcellona, Antoni Gaudì ne progetto uno con una finalità artistica".
Purtroppo, alla luce delle numerose devastazioni che il territorio ha subito, è impossibile datare gli inizi fiorenti e produttivi della paleoindustria delle "calcare". I più antichi documenti pergamenacei conservati nell'Archivio Diocesano di Gravina riportano qua e là autorizzazioni a cavare pietra da cuocere e realizzare forni per la calce viva. Nel Catasto Onciario del 1754 si trovano informazioni sulla professione di "cavatori di pietre" e "tofarulo".Nei documenti dell'Archivio Storico Comunale si trovano informazioni circa i forni di calce di proprietà del Comune e di diversi privati.
Altre notizie sulle fornaci risalgono anche al secolo scorso. Già prima dell'Unità d'Italia, si parla della materia prima presente nel territorio gravinese, utile per la fabbricazione di case, palazzi e chiese. Infatti Filippo Cirelli (1859) parla della "calce che unita all'arena del tufo forma un'ottima malta per la costruzione degli edifizii": di essa, come del tufo, mazzaro, tegole ed embrici "si provvedono i paesi circonvicini".
Ben presto il sindaco di Gravina dovette ottemperare ad una circolare del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio (10 giugno 1861) per la Statistica delle Cave, delle Fornaci, e delle Sorgenti minerali; nel 1871 il Corpo Regio delle Miniere (Distretto di Napoli) ripropose una nuova Statistica delle Cave e Fornaci con due moduli distinti.
Notizie importanti che hanno consentito di risalire ai proprietari, ma, anche, per procedere ad una ricognizione, ad una catalogazione, ad un vero censimento. Infatti, le fornaci censite erano e sono distribuite ed ubicate come segue: Contrada "San Giorgio" (Lama Epitaffio-Canale Casale) n. 1 di proprietà Famiglia Dibattista, scomparsa; Contrada "Grotte Solagne" n. 6. N°. 5 di proprietà del Comune di Gravina, 2 esistenti; 1 di proprietà Loglisci, scomparsa; Contrada aia "Madonna delle Grazie" n. 2, proprietà del Comune e del Capitolo Cattedrale, di cui 1 interrata (Capitolo) ed 1 semidiroccata (Comune, detta Forno Grande).
Via "Carrara Cupa" angolo via Spinazzola: a sinistra, n.2 famiglia Pentimone esistenti; a destra, n. 6 famiglia Calderoni-Martini, di cui 2 esistenti (oggi proprietà famiglia Mastrodonato) e 4 scomparse. Via Dolcecanto n. 4; a sinistra, 2 esistenti: una prima e l'altra dopo il passaggio a livello; a destra, 2 esistenti in contrada "Carrieri". Presso Ponte Ferrovia Dello Stato n. 2, proprietà comunale, diroccate: Via Corato, presso masseria Graziadei, n. 2 famiglia Dibattista, esistenti.
Al di là dell'attuale stato dei luoghi, al di là di tutto questo, la storia è, ancora, lunga. Ed è quella da scrivere. Ed è quella che riguarda un sano ed intelligente recupero di queste memorie. Di questi luoghi unici di vita, di speranze e di lavoro. Un progetto di riqualificazione nel senso e nella direzione di un recupero di quelli che sono stati gli antichi mestieri, le antiche arti di manovali, di operai scalpellini, fabbri.
Un progetto capace di recuperare il valore dell'artigianato locale, nelle forme e nelle sostanze, attraverso processi e percorsi didattico - formativi, a carattere laboratoriale, puntando su scuole professionali, centrali, periferiche, universitarie in cui si torni a lavorare la pietra, il mazzaro locale, la ceramica, il ferro, la creta, la terracotta.
Per comprendere meglio cosa fossero e come funzionassero queste fabbriche artigianali produttrici di calce, mi sono avvalso del contributo del professore Franco Laiso riportato nel suo: Gravina: Intersewzioni – Interpretazioni Stampagrafica Bongo, Maggio 2017. "La calcara è un costrutto in pietr di forma tronco-conica e richiama nelle modalità strutturali, il tholos miceneo, il nuraghe sardo, i trulli, i rifugi in pietra delle Murge e tante altre strutture dell'area mediterranea. Tuttavia la funzione di questi costrutti risponde a varie esigenze.
La calcara, nella sua funzione, è un autentico altoforno on cui si cuoceva la pietra calcarea dura, presente nello strato geologico pedemurgiano, alle falde del castello, nelle zone di Grottesolagne e di Grottamarallo. La calcara accoglieva, nel suo interno circolare vuoto, piccoli blocchi di pietra calcarea dura, sistemati e tenuti compatti con perizia. Ai piedi della calcara si apriva l'imbocco della fornace attraverso cui, per circa 20 giorni, la calcara era tenuta accesa costantemente alimentata dalla paglia.
Durante le notti le calcare sprigionavano bagliori e fiamme: tutta la zona sembrava una sorta di Malebolge dell'Inferno dantesco. Dopo il processo di trasformazione fisico – chimica dovuto alla cottura, i blocchi di pietra si estraevano dalla calcara diventati, come per incanto candidi e leggerissimi, pronti per essere utilizzati come calce multiuso. La cantina o cellario della casa del centro storico non mancava mai di una vasca, il palmento, una vasca scavata nella roccia impermeabile o costruita in tufo, denominata la curatoure in cui si "curava" la calce viva che veniva ridotta ad un morbido amalgama. Questo amalgama diluito con acqua, era destinato a vari usi. Uno era quello destinato alla imbiancatura delle pareti esterne dei palazzi, irrorata direttamente sul tufo, privo di intonaco o sulle supefici interne preparate con l'intonaco
Con gli ultimi anni cinquanta l'attività della calcara cessa. Ne resta qualcuna ancora "carica" e non sottoposta al processo di trasformazione. Gli operai addetti alle calcare si perdettero nei grandi flussi dell'emigrazione. Le calcare costituiscono un prezioso patrimonio di archeologia industriale che va valorizzato e finalizzato ad un itinerario turistico – ambientale – culturale: uno fra i tanti che Gravina Possiede. E' così diffuso il costrutto tronco – conico che nel Park Guell (1900 – 1914) di Barcellona, Antoni Gaudì ne progetto uno con una finalità artistica".
Purtroppo, alla luce delle numerose devastazioni che il territorio ha subito, è impossibile datare gli inizi fiorenti e produttivi della paleoindustria delle "calcare". I più antichi documenti pergamenacei conservati nell'Archivio Diocesano di Gravina riportano qua e là autorizzazioni a cavare pietra da cuocere e realizzare forni per la calce viva. Nel Catasto Onciario del 1754 si trovano informazioni sulla professione di "cavatori di pietre" e "tofarulo".Nei documenti dell'Archivio Storico Comunale si trovano informazioni circa i forni di calce di proprietà del Comune e di diversi privati.
Altre notizie sulle fornaci risalgono anche al secolo scorso. Già prima dell'Unità d'Italia, si parla della materia prima presente nel territorio gravinese, utile per la fabbricazione di case, palazzi e chiese. Infatti Filippo Cirelli (1859) parla della "calce che unita all'arena del tufo forma un'ottima malta per la costruzione degli edifizii": di essa, come del tufo, mazzaro, tegole ed embrici "si provvedono i paesi circonvicini".
Ben presto il sindaco di Gravina dovette ottemperare ad una circolare del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio (10 giugno 1861) per la Statistica delle Cave, delle Fornaci, e delle Sorgenti minerali; nel 1871 il Corpo Regio delle Miniere (Distretto di Napoli) ripropose una nuova Statistica delle Cave e Fornaci con due moduli distinti.
Notizie importanti che hanno consentito di risalire ai proprietari, ma, anche, per procedere ad una ricognizione, ad una catalogazione, ad un vero censimento. Infatti, le fornaci censite erano e sono distribuite ed ubicate come segue: Contrada "San Giorgio" (Lama Epitaffio-Canale Casale) n. 1 di proprietà Famiglia Dibattista, scomparsa; Contrada "Grotte Solagne" n. 6. N°. 5 di proprietà del Comune di Gravina, 2 esistenti; 1 di proprietà Loglisci, scomparsa; Contrada aia "Madonna delle Grazie" n. 2, proprietà del Comune e del Capitolo Cattedrale, di cui 1 interrata (Capitolo) ed 1 semidiroccata (Comune, detta Forno Grande).
Via "Carrara Cupa" angolo via Spinazzola: a sinistra, n.2 famiglia Pentimone esistenti; a destra, n. 6 famiglia Calderoni-Martini, di cui 2 esistenti (oggi proprietà famiglia Mastrodonato) e 4 scomparse. Via Dolcecanto n. 4; a sinistra, 2 esistenti: una prima e l'altra dopo il passaggio a livello; a destra, 2 esistenti in contrada "Carrieri". Presso Ponte Ferrovia Dello Stato n. 2, proprietà comunale, diroccate: Via Corato, presso masseria Graziadei, n. 2 famiglia Dibattista, esistenti.
Al di là dell'attuale stato dei luoghi, al di là di tutto questo, la storia è, ancora, lunga. Ed è quella da scrivere. Ed è quella che riguarda un sano ed intelligente recupero di queste memorie. Di questi luoghi unici di vita, di speranze e di lavoro. Un progetto di riqualificazione nel senso e nella direzione di un recupero di quelli che sono stati gli antichi mestieri, le antiche arti di manovali, di operai scalpellini, fabbri.
Un progetto capace di recuperare il valore dell'artigianato locale, nelle forme e nelle sostanze, attraverso processi e percorsi didattico - formativi, a carattere laboratoriale, puntando su scuole professionali, centrali, periferiche, universitarie in cui si torni a lavorare la pietra, il mazzaro locale, la ceramica, il ferro, la creta, la terracotta.