Passeggiando con la storia
Le fontane pubbliche e storiche della città
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 29 luglio 2021
La Puglia sitibonda non è stata solo letteratura sociale, politica o agricola. Non è stato solo qualcosa che è entrato a far parte dell'immaginario collettivo. E' stata una triste realtà storica, pur se non è mancata una certa retorica enfatizzata, contraddittoria e strumentalizzata per fini politici; è stata una una piaga sociale per una serie di ragioni, alcune riconducibili alla povertà e alla miseria. Ma, anche, di igiene, di approvvigionamento per le campagne, per gli allevamenti di bestiame, anche in considerazione della vocazione agricola e zootecnica della nostra regione e della mostra terra. Naturalmente, la nostra città non è stata da meno, nonostante disponesse di fonti naturali e sorgive, sia pure e mai non utilizzate a sufficienza, tanto da far dire a qualcuno che galleggiavamo sull'acqua.
La storia è lunga e bella da raccontare, Ci avvaliamo di una consulenza bibliografica: "Gravina in Puglia Quando non c'era l'acqua del Sele Sorgenti Acquedotti Fontane", un testo scritto a quattro mani da Fedele Raguso e Marisa D'Agostino, edito da Grafischena nel 2003, Anno Internazionale dell'acqua, in particolar modo del capitolo curato dalla D'Agostino: "E vennero i giorni dell'Acquedotto Pugliese…!. "Mentre si progettava e si proponeva l'opera dell'Acquedotto Pugliese, a Gravina si fecero analisi chimiche per appurare la qualità delle acque disponibili sul territorio. Nel 1902 ci fu un'indagine con un semplice e apposito questionario sulla potabilità dell'acqua, che consentì di conoscere la situazione generale: si conobbe il numero delle sorgenti, la lunghezza delle condutture, la presenza dei pozzi e delle cisterne di uso pubblico, e la segnalazione di casi di tifo addominale e/o di epidemie".
Qui, forse è necessario fare un passo indietro con la storia, quando, cioè la città era servita da due fonti di distribuzione dell'acqua, diventate, nel frattempo, insufficienti. E' storia cittadina quella che riguarda noi gravinesi, che, come gli antichi romani, portarono l'acqua in città e nei luoghi di maggiore necessità mediante opere architettoniche ancora esistenti come la monumentale fontana di piazza Notar Domenico e il maestoso ponte viadotto-acquedotto della Madonna della Stella. Ecco, quindi la necessità di reperire nuova acqua per soddisfare le esigenze di una comunità che si era estesa e si andava estendendo, anche oltre le mura di cinta medievali e del centro storico. Riprendendo dal testo già citato, leggiamo che "nel 1908, anno di grande siccità, la Fontana di Piazza dell'Erba, oggi Notar Domenico, ricca fonte di approvvigionamento del paese non era più in grado di soddisfare il bisogno della popolazione, per ci la Giunta comunale deliberò un aumento di portata d'acqua presso la stessa fontana, prelevandola da un pozzo vicino, di proprietà Pellicciari". Col passare del tempo e degli anni, la situazione non migliorò. Nel frattempo, procedeva la costruzione di quelle strutture ed infrastrutture da utilizzare dall'ente preposto che era l'Acquedotto Pugliese. Tra alti e bassi, minacce ed incomprensioni istituzionali, finalmente il Comune di Gravina cominciò ad avere l'acqua del Sele presso tre fontane pubbliche solo dopo il 1928: "in via Bari, ancora esistente, all'angolo tra via Bari e via Guardialto, alle spalle della statua di Padre Pio; in piazza Lucana, l'attuale via De Gasperi, nei pressi dello svincolo tra via Tripoli e via San Sebastiano, in piazza Notar Domenico".
Nel contesto di questa breve ricostruzione storica, una parentesi per descrivere le caratteristiche estetiche e funzionali di queste pubbliche fontane. Segni particolari: altezza 128 cm., base circolare 38 cm, forma conica, corredata di cappello e vaschetta di recupero delle acque, totalmente in ghisa, rubinetto a getto intermittente con meccanismo interno in ottone, frutto dell'ingegno degli uomini che hanno fatto l'Acquedotto Pugliese, ancora oggi a produzione artigianale. Su una popolazione che già contava 24.000 anime, le tre fontane risultarono insufficienti, tenuto conto che molte abitazioni non erano ancora fornite di impianti di acqua corrente propria. Tra l'altro proprio perché "i rioni erano lontani dai tre punti di erogazione, fu proposta una diramazione provvisoria, che alimentasse una nuova fontana da installarsi su via Garibaldi, angolo rione Gelso, perché venisse appagata la sete del nuovo rione Cappuccini".
Le cronache, gli atti pubblici d'archivio raccontano, purtroppo, che tale provvedimento non bastò ancora, tanto da indurre, il podestà dell'epoca, il dottore Domenico Nardone a deliberare "la installazione di tre nuove fontane: in piazza Ferrovia, tutt'ora scomparsa, via Lucania, non più esistente, Cavato S. Andrea, più esattamente, attualmente, collocata e funzionante, in via San Giovanni Evangelista, con una erogazione giornaliera di 15 mc, senza aumento di canone".
Intanto, proseguivano i lavori del costruendo Acquedotto, attraverso la costruzione di nuove condutture, la manutenzione di quelle esistenti. Lavori di adeguamenti per andare incontro alle esigenze impellenti di una città che cresceva con le sue famiglie numerose, alla ricerca di un fabbisogno idrico. Non solo da un punto di vista alimentare, quanto igienico. Sicchè, con nuovi bacini, nuovi serbatoi, nuove canalizzazioni furono costruite altre fontane pubbliche, alcune delle quali ancora funzionanti, come quella di piazza Pellicciari, di via Ponticelli e quella in via Donato Cristiani, nei pressi dell'ex convento di Santa Sofia. Altre, purtroppo soppiantate o misteriosamente scomparse, anche se bisogna dire che alcune furono sistemate in zone che, magari non erano servite dalla rete idrica. Un esempio può essere quella ubicata nel rione Fondovito. Sono scomparse quella di Corso Mazzini angolo compreso tra via Garibaldi e via Giardini, e quella in via Salvatore Fighera, a ridosso del cinema Mastrogiacomo, perché le acque minavano la staticità dei palazzi addossati alla stessa fonte idrica.
Il resto è storia del secolo appena trascorso, quando, la città, subì un'altra battuta d'arresto circa l'erogazione dell'acqua. Perché gli invasi non erano più sufficienti, le dighe, in dotazione all'Acquedotto Pugliese, erano diventate inefficienti e scarse in base alle utenze da servire su tutto il territorio pugliese. La Puglia sitibonda tornò ad affacciarsi, a rivendicare, a protestare, a manifestare, tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso. Oggi, sembra essere tutto cambiato, rientrato nella norma, anche se la norma è sempre quella del contenimento dei consumi per evitare che le fonti di rifornimento si esauriscano e si ripiombi, nuovamente, in quel triste passato da dimenticare.
La storia è lunga e bella da raccontare, Ci avvaliamo di una consulenza bibliografica: "Gravina in Puglia Quando non c'era l'acqua del Sele Sorgenti Acquedotti Fontane", un testo scritto a quattro mani da Fedele Raguso e Marisa D'Agostino, edito da Grafischena nel 2003, Anno Internazionale dell'acqua, in particolar modo del capitolo curato dalla D'Agostino: "E vennero i giorni dell'Acquedotto Pugliese…!. "Mentre si progettava e si proponeva l'opera dell'Acquedotto Pugliese, a Gravina si fecero analisi chimiche per appurare la qualità delle acque disponibili sul territorio. Nel 1902 ci fu un'indagine con un semplice e apposito questionario sulla potabilità dell'acqua, che consentì di conoscere la situazione generale: si conobbe il numero delle sorgenti, la lunghezza delle condutture, la presenza dei pozzi e delle cisterne di uso pubblico, e la segnalazione di casi di tifo addominale e/o di epidemie".
Qui, forse è necessario fare un passo indietro con la storia, quando, cioè la città era servita da due fonti di distribuzione dell'acqua, diventate, nel frattempo, insufficienti. E' storia cittadina quella che riguarda noi gravinesi, che, come gli antichi romani, portarono l'acqua in città e nei luoghi di maggiore necessità mediante opere architettoniche ancora esistenti come la monumentale fontana di piazza Notar Domenico e il maestoso ponte viadotto-acquedotto della Madonna della Stella. Ecco, quindi la necessità di reperire nuova acqua per soddisfare le esigenze di una comunità che si era estesa e si andava estendendo, anche oltre le mura di cinta medievali e del centro storico. Riprendendo dal testo già citato, leggiamo che "nel 1908, anno di grande siccità, la Fontana di Piazza dell'Erba, oggi Notar Domenico, ricca fonte di approvvigionamento del paese non era più in grado di soddisfare il bisogno della popolazione, per ci la Giunta comunale deliberò un aumento di portata d'acqua presso la stessa fontana, prelevandola da un pozzo vicino, di proprietà Pellicciari". Col passare del tempo e degli anni, la situazione non migliorò. Nel frattempo, procedeva la costruzione di quelle strutture ed infrastrutture da utilizzare dall'ente preposto che era l'Acquedotto Pugliese. Tra alti e bassi, minacce ed incomprensioni istituzionali, finalmente il Comune di Gravina cominciò ad avere l'acqua del Sele presso tre fontane pubbliche solo dopo il 1928: "in via Bari, ancora esistente, all'angolo tra via Bari e via Guardialto, alle spalle della statua di Padre Pio; in piazza Lucana, l'attuale via De Gasperi, nei pressi dello svincolo tra via Tripoli e via San Sebastiano, in piazza Notar Domenico".
Nel contesto di questa breve ricostruzione storica, una parentesi per descrivere le caratteristiche estetiche e funzionali di queste pubbliche fontane. Segni particolari: altezza 128 cm., base circolare 38 cm, forma conica, corredata di cappello e vaschetta di recupero delle acque, totalmente in ghisa, rubinetto a getto intermittente con meccanismo interno in ottone, frutto dell'ingegno degli uomini che hanno fatto l'Acquedotto Pugliese, ancora oggi a produzione artigianale. Su una popolazione che già contava 24.000 anime, le tre fontane risultarono insufficienti, tenuto conto che molte abitazioni non erano ancora fornite di impianti di acqua corrente propria. Tra l'altro proprio perché "i rioni erano lontani dai tre punti di erogazione, fu proposta una diramazione provvisoria, che alimentasse una nuova fontana da installarsi su via Garibaldi, angolo rione Gelso, perché venisse appagata la sete del nuovo rione Cappuccini".
Le cronache, gli atti pubblici d'archivio raccontano, purtroppo, che tale provvedimento non bastò ancora, tanto da indurre, il podestà dell'epoca, il dottore Domenico Nardone a deliberare "la installazione di tre nuove fontane: in piazza Ferrovia, tutt'ora scomparsa, via Lucania, non più esistente, Cavato S. Andrea, più esattamente, attualmente, collocata e funzionante, in via San Giovanni Evangelista, con una erogazione giornaliera di 15 mc, senza aumento di canone".
Intanto, proseguivano i lavori del costruendo Acquedotto, attraverso la costruzione di nuove condutture, la manutenzione di quelle esistenti. Lavori di adeguamenti per andare incontro alle esigenze impellenti di una città che cresceva con le sue famiglie numerose, alla ricerca di un fabbisogno idrico. Non solo da un punto di vista alimentare, quanto igienico. Sicchè, con nuovi bacini, nuovi serbatoi, nuove canalizzazioni furono costruite altre fontane pubbliche, alcune delle quali ancora funzionanti, come quella di piazza Pellicciari, di via Ponticelli e quella in via Donato Cristiani, nei pressi dell'ex convento di Santa Sofia. Altre, purtroppo soppiantate o misteriosamente scomparse, anche se bisogna dire che alcune furono sistemate in zone che, magari non erano servite dalla rete idrica. Un esempio può essere quella ubicata nel rione Fondovito. Sono scomparse quella di Corso Mazzini angolo compreso tra via Garibaldi e via Giardini, e quella in via Salvatore Fighera, a ridosso del cinema Mastrogiacomo, perché le acque minavano la staticità dei palazzi addossati alla stessa fonte idrica.
Il resto è storia del secolo appena trascorso, quando, la città, subì un'altra battuta d'arresto circa l'erogazione dell'acqua. Perché gli invasi non erano più sufficienti, le dighe, in dotazione all'Acquedotto Pugliese, erano diventate inefficienti e scarse in base alle utenze da servire su tutto il territorio pugliese. La Puglia sitibonda tornò ad affacciarsi, a rivendicare, a protestare, a manifestare, tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso. Oggi, sembra essere tutto cambiato, rientrato nella norma, anche se la norma è sempre quella del contenimento dei consumi per evitare che le fonti di rifornimento si esauriscano e si ripiombi, nuovamente, in quel triste passato da dimenticare.