Passeggiando con la storia
Margherita Gagliardi: sposa, madre, suora
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 23 settembre 2021
E' il titolo di una pubblicazione biografica, edita nel 1974 per la Linotipia Editoriale di Bari, il cui autore è Bona Poli, si vuole sia Bonaventura Popolizio, figlio della protagonista. Molti si sono lamentati e continuano a lamentarsi, annotando con rammarico, che sono state poche le donne protagoniste nella storia della nostra città. In effetti, per alcuni versi, è vero. Quelle poche, però, se scovate tra i ricordi, tra la polvere dell'oblio, che nasconde memorie, vengono fuori, emergono e si impongono con tutta loro autorevolezza, con tutto il loro bagaglio di esperienze, di vita quotidiana. A volte eroica, originale, sorprendente. Una di queste è proprio Margherita Gagliardi, di cui si vuole tracciare il suo profilo biografico esistenziale, attingendo al testo sopraccennato.
Margherita, figlia di Vito e Anna Ardito, nacque a Gravina il 3 novembre 1893. Figlia di un calzolaio, visse una vita di stenti e di miserie. Di povertà vissuta con dignità, ma con orgoglio, ardore e passione. Suo padre fu uno dei primi ad aderire al Partito socialista gravinese e la piccola Margherita si formò a questa scuola di pensiero diventando una Propagandista del partito, con il compito di fare proseliti, girando di casa in casa tra quelle più fatiscenti, meno abbienti, visitate dalla povertà, dalla miseria, dalla disoccupazione.
All'età di diciassette anni convolò a nozze con Nicola Popolizio. Un uomo che lei aveva conosciuto, aveva cominciato ad amare, anche se non professava le sue stesse idee politiche. La qualcosa turbò non poco il padre. La ragazza risoluta rispose: "La politica è una cosa, l'amore è un'altra cosa". Ebbe ragione lei nel sostenere la sua tesi, perché aveva sposato l'uomo del cuore, l'uomo col quale visse in armonia, instaurando un rapporto di leale e sincera fedeltà. Da questa felice unione nacquero due figli: Francesco e Vito. Purtroppo, quella loro felicità fu interrotta dagli eventi bellici della prima guerra mondiale. Nicola dovette partire per il fronte. Fu arruolato tra i soldati del 140° fanteria del Mezzogiorno d'Italia. Combattè da prode e sulla neve cadde, il 1° novembre 1915, gravemente ferito ad una gamba. Ferita che gli procurò, prima l'amputazione dell'arto e successivamente la morte per la sopraggiunta cancrena.
Quando a Margherita le fu comunicata la morte del marito, lei presa dal dolore e dalla disperazione, mise sotto i piedi un quadro con l'effige di San Michele, santo a cui il marito aveva chiesto di far celebrare una messa dopo l'intervento di amputazione della gamba. Il dolore, lo strazio di una giovane sposa, con due figli da mantenere, era umanamente comprensibile. Anche il suo inveire contro i santi e contro Dio, era, quasi giustificato dal fatto che lei di fede, di Chiesa non voleva sentir parlare. Era allergica al sacro. Ma, i progetti di Dio, che sono diversi da quelli degli uomini, dispose che ella si consacrasse totalmente al Signore, che suo figlio maggiore diventasse frate francescano conventuale e sacerdote, così come suo nipote, il figlio del suo secondogenito.
Dal dolore nacque la vocazione. Cominciò a frequentare i sacri riti, i sacramenti, ad avvicinarsi all'ascolto della Parola di Dio. Un periodo di gestazione in cui Dio seppe lavorare, grazie alla mediazione spirituale del canonico don Giovanni Calabrese, parroco, all'epoca della chiesa di San Nicola, per condurla ad essere addirittura tra le cofondatrici della Congregazione delle Suore Francescane di Gesù Crocifisso istituita e fondata da Mons. Giovanni Maria Sanna.
La donna maturata dal dolore si andava formando alla vita religiosa, grazie anche alla guida spirituale di un altro sacerdote, il canonico don Domenico Digiesi. La svolta decisiva si ebbe con l'arrivo a Gravina di Mons. Sanna, come vescovo della Diocesi Gravina- Irsina. A lui fu espresso il desiderio di unirsi in vita comune con altre donne di Azione Cattolica, che avevano già sperimentato il loro apostolato con l'assistenza agli ammalati nelle case, specie i tubercolotici, l'insegnamento del catechismo a piccoli e grandi. Attività svolta, principalmente, nei rioni più difficili della città tra i quali il Piaggio, Fondovito, la contrada san Felice e via Giardini. Le altre donne zelatrici, oltre a Margherita, furono le signorine Lucia Saracino e Beatrice Corno Cometti e Marietta Taccogna vedova Meliddo. Quest'ultima, però, purtroppo, per ragioni di famiglia dovette abbandonare il nascente seme che germogliò ufficialmente il 29 aprile del 1929.
La prima abitazione della neonata Congregazione fu casa Meninni in via Federico Meninni. Qui le fondatrici presero possesso della casa, dopo che Mons. Sanna, con suo Decreto, stabilì il nome da dare alla nascente comunità: Vi chiamerete Figlie di Gesù Crocifisso. Il 7 agosto 1929, mons. Sanna, dopo aver ascoltato singolarmente le quattro aspiranti consorelle, con suo decreto nominò superiora Lucia Saracino. In questo nuovo cammino di fede e spiritualità, giustamente, Margherita non interruppe i suoi legami con i suoi figli seguendoli fino al raggiungimento delle loro legittime aspirazioni. Fino al compimento e al raggiungimento delle loro specifiche e personali vocazioni. Francesco, che, nel frattempo era diventato padre Bonaventura e Vito che aveva contratto matrimonio con Nella Fanelli.
La vita monacale di Margherita non mancò di privazioni, di sofferenze, di accettazione incondizionata della volontà di Dio, ma fu coronata, anche, da raggianti successi Un figlio ed un nipote sacerdoti di Cristo. Margherita fu donna audace, sempre impegnata ai compiti che le venivano affidati. Fu suora premurosa, generosa. Presto, insieme a suor Beatrice, su segnalazione del dottor Michele Gigliobianco, la sua opera di assistenza agli ammalati di tubercolosi. Fu suora modello, spinta dalla carità francescana, senza mai sottrarsi ai suoi doveri. All'obbedienza e al servizio. Consumò tutti i giorni della sua vita in sintonia con chi volle salvarla, convertirla, redimerla. Divenne altare di Cristo, preludio della resurrezione eterna, il 21 ottobre 1973, preannunciando nella sua ultima confessione: "Ora parto davvero. Gesù mi chiama"!
Margherita, figlia di Vito e Anna Ardito, nacque a Gravina il 3 novembre 1893. Figlia di un calzolaio, visse una vita di stenti e di miserie. Di povertà vissuta con dignità, ma con orgoglio, ardore e passione. Suo padre fu uno dei primi ad aderire al Partito socialista gravinese e la piccola Margherita si formò a questa scuola di pensiero diventando una Propagandista del partito, con il compito di fare proseliti, girando di casa in casa tra quelle più fatiscenti, meno abbienti, visitate dalla povertà, dalla miseria, dalla disoccupazione.
All'età di diciassette anni convolò a nozze con Nicola Popolizio. Un uomo che lei aveva conosciuto, aveva cominciato ad amare, anche se non professava le sue stesse idee politiche. La qualcosa turbò non poco il padre. La ragazza risoluta rispose: "La politica è una cosa, l'amore è un'altra cosa". Ebbe ragione lei nel sostenere la sua tesi, perché aveva sposato l'uomo del cuore, l'uomo col quale visse in armonia, instaurando un rapporto di leale e sincera fedeltà. Da questa felice unione nacquero due figli: Francesco e Vito. Purtroppo, quella loro felicità fu interrotta dagli eventi bellici della prima guerra mondiale. Nicola dovette partire per il fronte. Fu arruolato tra i soldati del 140° fanteria del Mezzogiorno d'Italia. Combattè da prode e sulla neve cadde, il 1° novembre 1915, gravemente ferito ad una gamba. Ferita che gli procurò, prima l'amputazione dell'arto e successivamente la morte per la sopraggiunta cancrena.
Quando a Margherita le fu comunicata la morte del marito, lei presa dal dolore e dalla disperazione, mise sotto i piedi un quadro con l'effige di San Michele, santo a cui il marito aveva chiesto di far celebrare una messa dopo l'intervento di amputazione della gamba. Il dolore, lo strazio di una giovane sposa, con due figli da mantenere, era umanamente comprensibile. Anche il suo inveire contro i santi e contro Dio, era, quasi giustificato dal fatto che lei di fede, di Chiesa non voleva sentir parlare. Era allergica al sacro. Ma, i progetti di Dio, che sono diversi da quelli degli uomini, dispose che ella si consacrasse totalmente al Signore, che suo figlio maggiore diventasse frate francescano conventuale e sacerdote, così come suo nipote, il figlio del suo secondogenito.
Dal dolore nacque la vocazione. Cominciò a frequentare i sacri riti, i sacramenti, ad avvicinarsi all'ascolto della Parola di Dio. Un periodo di gestazione in cui Dio seppe lavorare, grazie alla mediazione spirituale del canonico don Giovanni Calabrese, parroco, all'epoca della chiesa di San Nicola, per condurla ad essere addirittura tra le cofondatrici della Congregazione delle Suore Francescane di Gesù Crocifisso istituita e fondata da Mons. Giovanni Maria Sanna.
La donna maturata dal dolore si andava formando alla vita religiosa, grazie anche alla guida spirituale di un altro sacerdote, il canonico don Domenico Digiesi. La svolta decisiva si ebbe con l'arrivo a Gravina di Mons. Sanna, come vescovo della Diocesi Gravina- Irsina. A lui fu espresso il desiderio di unirsi in vita comune con altre donne di Azione Cattolica, che avevano già sperimentato il loro apostolato con l'assistenza agli ammalati nelle case, specie i tubercolotici, l'insegnamento del catechismo a piccoli e grandi. Attività svolta, principalmente, nei rioni più difficili della città tra i quali il Piaggio, Fondovito, la contrada san Felice e via Giardini. Le altre donne zelatrici, oltre a Margherita, furono le signorine Lucia Saracino e Beatrice Corno Cometti e Marietta Taccogna vedova Meliddo. Quest'ultima, però, purtroppo, per ragioni di famiglia dovette abbandonare il nascente seme che germogliò ufficialmente il 29 aprile del 1929.
La prima abitazione della neonata Congregazione fu casa Meninni in via Federico Meninni. Qui le fondatrici presero possesso della casa, dopo che Mons. Sanna, con suo Decreto, stabilì il nome da dare alla nascente comunità: Vi chiamerete Figlie di Gesù Crocifisso. Il 7 agosto 1929, mons. Sanna, dopo aver ascoltato singolarmente le quattro aspiranti consorelle, con suo decreto nominò superiora Lucia Saracino. In questo nuovo cammino di fede e spiritualità, giustamente, Margherita non interruppe i suoi legami con i suoi figli seguendoli fino al raggiungimento delle loro legittime aspirazioni. Fino al compimento e al raggiungimento delle loro specifiche e personali vocazioni. Francesco, che, nel frattempo era diventato padre Bonaventura e Vito che aveva contratto matrimonio con Nella Fanelli.
La vita monacale di Margherita non mancò di privazioni, di sofferenze, di accettazione incondizionata della volontà di Dio, ma fu coronata, anche, da raggianti successi Un figlio ed un nipote sacerdoti di Cristo. Margherita fu donna audace, sempre impegnata ai compiti che le venivano affidati. Fu suora premurosa, generosa. Presto, insieme a suor Beatrice, su segnalazione del dottor Michele Gigliobianco, la sua opera di assistenza agli ammalati di tubercolosi. Fu suora modello, spinta dalla carità francescana, senza mai sottrarsi ai suoi doveri. All'obbedienza e al servizio. Consumò tutti i giorni della sua vita in sintonia con chi volle salvarla, convertirla, redimerla. Divenne altare di Cristo, preludio della resurrezione eterna, il 21 ottobre 1973, preannunciando nella sua ultima confessione: "Ora parto davvero. Gesù mi chiama"!