Passeggiando con la storia
Palazzo di città
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 22 giugno 2023
Il nostro Palazzo Comunale era un convento francescano soppresso nel 1809 dal re di Napoli Gioacchino Murat. Nel 1808 Gioacchino Murat prese il posto di Giuseppe Napoleone, fratello maggiore di Napoleone Bonaparte, e il primo decreto che fece fu quello di sopprimere tutti gli ordini monastici e conventi, con decorrenza 1/10/1809. Il provvedimento di confisca della proprietà della Chiesa aveva come intento quello di trasformare gli edifici religiosi ad uso civile. Al sindaco venne affidata la responsabilità di ogni inadempienza nell'applicazione della legge, cioè bisognava destinare il convento di san Francesco a: caserma della Gendarmeria Reale, Casa Comunale e Giudice di Pace, carcere pubblico ed altro. Toccò all'ing. Donato Giannuzzi eseguire una perizia e stabilire i lavori necessari per rendere i locali idonei all'uso previsto e la cessione dell'immobile avvenne nel maggio 1813.
Bisognò attendere diversi anni, quindi arrivare a maggio 1820, perché gli ambienti dell'ex convento di San Francesco diventino oggetto di attenzione dell'amministrazione comunale. Una prima ridistribuzione delle stanze prevedeva: per la Casa Comunale tutto il corridoio a mano destra della scala del quarto soprano con le quattro stanze e salone, dove era il refettorio, con le finestre prospicenti il giardinetto. Una nuova descrizione degli ambienti comunali datata 3 settembre 1855 indicava per la sede del comune quanto segue: "Sala, prima anticamere, stanza da studio del sindaco, stanza per libreria, stanza degli impiegati, sala decurionale, stanza per l'archivio comunale, stanza per l'archivio di beneficienza, stanza per il giudicato di conciliazione, stanza di deposito per gli oggetti pignorati, sala di udienza del giudicato regio, stanza per gli uscieri di conciliazione, cancelleria del giudicato regio". Con l'Unità d'Italia del 1861 sorsero nuovi problemi, riguardanti soprattutto l'inventario delle proprietà della Chiesa, oggetto di deliberazioni del Parlamento Italiano. Infatti il 21 agosto 1862 fu deciso il passaggio al demanio dello stato di tutti i beni ecclesiastici.
Ma per alcuni edifici, come il nostro convento, fu sospeso il passaggio al demanio dello stato, come indicato in alcune clausole della legge. Ma il Comune rimase ugualmente in quegli ambienti per diverso tempo, e continuò ad essere oggetto di ulteriori deliberazioni in epoca fascista. Nel 1936 infatti il Podestà di Gravina Vincenzo Tota decise di confermare definitivamente la sede del Comune nell'ex convento, occupando per i 2/3 l'intero immobile, mentre la restante parte rimase ai frati conventuali. In quegli anni fu deciso di migliorare l'aspetto e la struttura destinata al Comune. Fu decisa la realizzazione di una facciata più decorosa e indipendente su uno dei tre ingressi. Si scelse l'ingresso di via Vittorio Veneto, facilmente raggiungibile da tutti i rioni di Gravina.
La progettazione fu affidata all'ing. De Martino, mentre i lavori all'impresa Nicola Loglisci, con un costo di 234.863 lire. In corso d'opera un nuovo progettista, l'ing. Filippo Lacalamita, approvò una ulteriore ed importante variante al progetto: la sopraelevazione della parte centrale della facciata per l'applicazione di un orologio avente il quadrante del diametro di metri 1.40 (anziché costruire la vera torre dell'orologio); la copertura della gabbia della scala; la nuova e ampia scalinata di accesso al comune, disposta a tenaglia e abbellita dalla presenza dei busti del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena; la sistemazione del piazzale antistante la nuova facciata con una gradinata lunga quanto il prospetto per il libero accesso da ogni punto, migliorando così l'armonia dell'insieme. Non sappiamo se nel 1938 al momento dell'inaugurazione della nuova facciata comunale furono effettivamente sistemati anche gli uffici comunali, mentre la pretura venne trasferita nell'ex convento di Santa Sofia. Durante l'amministrazione comunale del sindaco Vito Laddaga, fra il 1979 e il 1980, fu deciso di chiudere il piazzale del Comune con un ampio cancello per impedire la sosta delle macchine in tutte le ore della giornata.
Bisognò attendere diversi anni, quindi arrivare a maggio 1820, perché gli ambienti dell'ex convento di San Francesco diventino oggetto di attenzione dell'amministrazione comunale. Una prima ridistribuzione delle stanze prevedeva: per la Casa Comunale tutto il corridoio a mano destra della scala del quarto soprano con le quattro stanze e salone, dove era il refettorio, con le finestre prospicenti il giardinetto. Una nuova descrizione degli ambienti comunali datata 3 settembre 1855 indicava per la sede del comune quanto segue: "Sala, prima anticamere, stanza da studio del sindaco, stanza per libreria, stanza degli impiegati, sala decurionale, stanza per l'archivio comunale, stanza per l'archivio di beneficienza, stanza per il giudicato di conciliazione, stanza di deposito per gli oggetti pignorati, sala di udienza del giudicato regio, stanza per gli uscieri di conciliazione, cancelleria del giudicato regio". Con l'Unità d'Italia del 1861 sorsero nuovi problemi, riguardanti soprattutto l'inventario delle proprietà della Chiesa, oggetto di deliberazioni del Parlamento Italiano. Infatti il 21 agosto 1862 fu deciso il passaggio al demanio dello stato di tutti i beni ecclesiastici.
Ma per alcuni edifici, come il nostro convento, fu sospeso il passaggio al demanio dello stato, come indicato in alcune clausole della legge. Ma il Comune rimase ugualmente in quegli ambienti per diverso tempo, e continuò ad essere oggetto di ulteriori deliberazioni in epoca fascista. Nel 1936 infatti il Podestà di Gravina Vincenzo Tota decise di confermare definitivamente la sede del Comune nell'ex convento, occupando per i 2/3 l'intero immobile, mentre la restante parte rimase ai frati conventuali. In quegli anni fu deciso di migliorare l'aspetto e la struttura destinata al Comune. Fu decisa la realizzazione di una facciata più decorosa e indipendente su uno dei tre ingressi. Si scelse l'ingresso di via Vittorio Veneto, facilmente raggiungibile da tutti i rioni di Gravina.
La progettazione fu affidata all'ing. De Martino, mentre i lavori all'impresa Nicola Loglisci, con un costo di 234.863 lire. In corso d'opera un nuovo progettista, l'ing. Filippo Lacalamita, approvò una ulteriore ed importante variante al progetto: la sopraelevazione della parte centrale della facciata per l'applicazione di un orologio avente il quadrante del diametro di metri 1.40 (anziché costruire la vera torre dell'orologio); la copertura della gabbia della scala; la nuova e ampia scalinata di accesso al comune, disposta a tenaglia e abbellita dalla presenza dei busti del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena; la sistemazione del piazzale antistante la nuova facciata con una gradinata lunga quanto il prospetto per il libero accesso da ogni punto, migliorando così l'armonia dell'insieme. Non sappiamo se nel 1938 al momento dell'inaugurazione della nuova facciata comunale furono effettivamente sistemati anche gli uffici comunali, mentre la pretura venne trasferita nell'ex convento di Santa Sofia. Durante l'amministrazione comunale del sindaco Vito Laddaga, fra il 1979 e il 1980, fu deciso di chiudere il piazzale del Comune con un ampio cancello per impedire la sosta delle macchine in tutte le ore della giornata.