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Passeggiando con la storia
Perché il San Sabastiano del Carracci nella Pinacoteca della Fondazione Santomasi?
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 16 gennaio 2025
La nostra benemerita Fondazione Ettore Pomarici Santomasi è depositaria, all'interno della propria quadreria, di un capolavoro di Ludovico Carracci, il San Sebastiano legato alla colonna. Un'opera che, di recente, ha varcato la soglia della sua naturale abitazione, per approdare, per fare sosta, temporaneamente, dal 18 luglio 2024 al 12 gennaio scorso, in quel di Domodossola, ai Musei civici, alla mostra dal titolo: "I Tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte". Al di là di questo aspetto non secondario, ma a dimostrazione di quanto il dipinto potesse essere importante e famoso, c'è da chiedersi, storicamente, come mai questo Carracci si trovi a Gravina. Le fonti e le piste che ci aiuteranno in questo percorso sono: il testo di Mauro Vincenzo Fontana, uno degli attuali critici d'arte molto apprezzati ed autore di: La Pinacoteca Pomarici Santomasi "Da Ludovico Carracci al Settecento"; e quello di Samantha De Simone: "Gli Orsini di Solofra e la pittura a Gravina fra XVII e XVIII secolo".
Scrive, tra l'altro, Fontana: "Al 1599 ci riporta anche l'altro pezzo più antico della quadreria, una tela, certo assai più nota e di ben altra caratura qualitativa, che però ha fatto il suo ingresso nella pinacoteca a oltre vent'anni di distanza dalla remissione del mandato calderoniano. Mi riferisco al formidabile San Sebastiano carracesco talvolta conteggiato erroneamente tra i dipinti del primitivo lascito di Ettore Pomarici ma acquisito, in realtà, solo grazie alla donazione nel 1953 da Nicola Tarantino, provenendo, in prima battuta dalla collezione di Cesare Rinaldi di Bologna, ante 1636; collezione Ginetti (Roma 1678).
Dopo che Gail Feigenbaum non vi scorse niente di più che una copia da un originale disperso, l'opera si è incamminata lungo un lento percorso di riabilitazione critica, avviato da Lucio Galante nel 1985 sulla scorta del ritrovamento sul tergo di un'antica iscrizione di collezione ("LUDOVICUS CARACIUS PICTOR/ INSIGNIS BONONIENSIS ANNO 1599").
Ormai conquistatosi ai nostri giorni la reputazione di un autografo sicuro, il dipinto è stato ben assestato dagli argomenti di Alessandro Brogi all'altezza di altri capi d'opera della maturità di Ludovico, tra cui l'assai consentaneo San Rocco (1598 – 1600) in San Giacomo Maggiore a Bologna. Prova eloquente della confidenza del maestro con il tema del nudo eroico all'antica, esso documenta al meglio la centralità accordata dall'emiliano al disegno, inteso, in sintonia con il sentire del cugino Annibale, quale primario e imprescindibile strumento di approccio asl dato di natura".
Riprendendo dalla De Simone, invece, leggiamo: "La figura di San Sebastiano occupa in primo piano tutta l'altezza della tela. Il suo corpo levigato non è profanato dalle frecce, come vorrebbe la tradizione iconografica. Animato da uno scatto spasmodico, il santo assume quasi la posa di un danzatore classico. Il dipinto gravinese precede di pochi anni l'altra versione del S. Sebastiano della Galleria Doria Pamphilj di Roma, nella quale il Carracci incrementa la drammaticità e l'inquietudine della scena, lasciando intatto il paesaggio sullo sfondo.
Da sempre il San Sebastiano di Gravina è stato ricondotto al patrimonio locale degli Orsini. La Tagarelli, che in più di un'occasione si è occupata della collezione ducale, pur attribuendo erroneamente il S. Sebastiano ad un pittore "vicino alla maniera di Annibale Carracci", ha spesso avanzato l'ipotesi che il dipinto sia appartenuto agli Orsini. Che il S. Sebastiano non sia appartenuto né agli Orsini né a Gravina è evidente anche dalle parole dello stesso Malvasia, che, all'epoca della pubblicazione delle sue biografie nel 1678, contemplava la tela ancora nella collezione Ginetti e non faceva minimamente accenno ad un'acquisizione del dipinto da parte dei duchi gravinesi". Considerando che le tesi, sia quella di Fontana che della De Simone si incrociano parallelamente, quest'ultima chiude la querelle nel modo seguente: "Pensare ad una acquisizione successiva contrasterebbe d'altra parte con gli orientamenti della famiglia ducale che, fra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, s'interessò quasi esclusivamente ad artisti contemporanei attivi fra Puglia e Campania".
Per completezza d'informazione, c'è da aggiunge che la famiglia Carracci fu tale nella condivisione di un'arte, quella pittorica, tanto da annoverare oltre che il suddetto Ludovico, anche due cugini: Annibale ed Agostino. Ludovico Carracci, che visse sempre a Bologna, fondò e diresse, dal 1582, l'Accademia pittorica dei Desiderosi, in seguito, Accademia degli Incamminati. Ma dei tre artisti, fu quello che assecondò maggiormente i precetti dell'allora arcivescovo di Bologna, mons. Paleotti, anche perché spesso impegnato in opere pubbliche. Tuttavia, malgrado i severi dettami, Ludovico riesce a mantenere un'altissima qualità e una sincera interpretazione dei dettami di Paleotti; la sua è una religiosità popolare, espressa in scene intime e piene di frammenti di vissuto quotidiano.
Scrive, tra l'altro, Fontana: "Al 1599 ci riporta anche l'altro pezzo più antico della quadreria, una tela, certo assai più nota e di ben altra caratura qualitativa, che però ha fatto il suo ingresso nella pinacoteca a oltre vent'anni di distanza dalla remissione del mandato calderoniano. Mi riferisco al formidabile San Sebastiano carracesco talvolta conteggiato erroneamente tra i dipinti del primitivo lascito di Ettore Pomarici ma acquisito, in realtà, solo grazie alla donazione nel 1953 da Nicola Tarantino, provenendo, in prima battuta dalla collezione di Cesare Rinaldi di Bologna, ante 1636; collezione Ginetti (Roma 1678).
Dopo che Gail Feigenbaum non vi scorse niente di più che una copia da un originale disperso, l'opera si è incamminata lungo un lento percorso di riabilitazione critica, avviato da Lucio Galante nel 1985 sulla scorta del ritrovamento sul tergo di un'antica iscrizione di collezione ("LUDOVICUS CARACIUS PICTOR/ INSIGNIS BONONIENSIS ANNO 1599").
Ormai conquistatosi ai nostri giorni la reputazione di un autografo sicuro, il dipinto è stato ben assestato dagli argomenti di Alessandro Brogi all'altezza di altri capi d'opera della maturità di Ludovico, tra cui l'assai consentaneo San Rocco (1598 – 1600) in San Giacomo Maggiore a Bologna. Prova eloquente della confidenza del maestro con il tema del nudo eroico all'antica, esso documenta al meglio la centralità accordata dall'emiliano al disegno, inteso, in sintonia con il sentire del cugino Annibale, quale primario e imprescindibile strumento di approccio asl dato di natura".
Riprendendo dalla De Simone, invece, leggiamo: "La figura di San Sebastiano occupa in primo piano tutta l'altezza della tela. Il suo corpo levigato non è profanato dalle frecce, come vorrebbe la tradizione iconografica. Animato da uno scatto spasmodico, il santo assume quasi la posa di un danzatore classico. Il dipinto gravinese precede di pochi anni l'altra versione del S. Sebastiano della Galleria Doria Pamphilj di Roma, nella quale il Carracci incrementa la drammaticità e l'inquietudine della scena, lasciando intatto il paesaggio sullo sfondo.
Da sempre il San Sebastiano di Gravina è stato ricondotto al patrimonio locale degli Orsini. La Tagarelli, che in più di un'occasione si è occupata della collezione ducale, pur attribuendo erroneamente il S. Sebastiano ad un pittore "vicino alla maniera di Annibale Carracci", ha spesso avanzato l'ipotesi che il dipinto sia appartenuto agli Orsini. Che il S. Sebastiano non sia appartenuto né agli Orsini né a Gravina è evidente anche dalle parole dello stesso Malvasia, che, all'epoca della pubblicazione delle sue biografie nel 1678, contemplava la tela ancora nella collezione Ginetti e non faceva minimamente accenno ad un'acquisizione del dipinto da parte dei duchi gravinesi". Considerando che le tesi, sia quella di Fontana che della De Simone si incrociano parallelamente, quest'ultima chiude la querelle nel modo seguente: "Pensare ad una acquisizione successiva contrasterebbe d'altra parte con gli orientamenti della famiglia ducale che, fra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, s'interessò quasi esclusivamente ad artisti contemporanei attivi fra Puglia e Campania".
Per completezza d'informazione, c'è da aggiunge che la famiglia Carracci fu tale nella condivisione di un'arte, quella pittorica, tanto da annoverare oltre che il suddetto Ludovico, anche due cugini: Annibale ed Agostino. Ludovico Carracci, che visse sempre a Bologna, fondò e diresse, dal 1582, l'Accademia pittorica dei Desiderosi, in seguito, Accademia degli Incamminati. Ma dei tre artisti, fu quello che assecondò maggiormente i precetti dell'allora arcivescovo di Bologna, mons. Paleotti, anche perché spesso impegnato in opere pubbliche. Tuttavia, malgrado i severi dettami, Ludovico riesce a mantenere un'altissima qualità e una sincera interpretazione dei dettami di Paleotti; la sua è una religiosità popolare, espressa in scene intime e piene di frammenti di vissuto quotidiano.