Rubrica “Passeggiando con la storia” - anniversario morte Federico II
Rubrica “Passeggiando con la storia” - anniversario morte Federico II
Passeggiando con la storia

Ricordando Federico II nell’anniversario della sua morte

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

Tornare ad occuparci del nostro castello federiciano, alla luce di alcuni importanti documenti, e in prossimità dell'anniversario della morte dell'imperatore, 870 anni da quel 13 dicembre 1250, mi è sembrato opportuno, giusto, doveroso ed opportuno. E' l'occasione, inoltre, per riandare all'origine del nome che, d'allora in poi, ha assunto la nostra città. Infatti, Signore del castello fu capostipite dei Gravina, nobile famiglia di origine normanna il cui ramo italiano prese il nome dalla città. Un possedimento dei Gravina nei pressi di Catania divenne noto nel XVII secolo con il nome di Gravina Plachi, poi Gravina di Catania, dunque Gravina divenne Gravina in Puglia.
Per la documentazione, a cui faremo riferimento, ci è stato d'aiuto uno studio condotto alcuni anni fa dal professore Tobia Granieri. Successivamente, anche da Francesco Mastromatteo, studioso medievista. Da quella miniera di notizie siamo partiti e a quella ci siamo affidati per continuare il nostro cammino storico e di interesse culturale alla scoperta di nuove e stimolanti informazioni, finalizzate a ricentralizzare il ruolo che la città ebbe nei periodi di massimo fulgore e splendore, anche con le successive dominazioni o almeno fino a metà del Quattrocento
L'intero complesso fu costruito, secondo le più quotate fonti storiche, perché Federico II s'innamorò della nostra città. Rimase colpito dalla ricchezza e dalla ubertosità del suo vastissimo territorio floro-faunistico-vivaistico. Insomma, la nostra città dovette fare un'ottima impressione al sovrano svevo, tanto che, secondo le testimonianze del Vasari, "Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti", la visiterà certamente ancora per almeno altre tre volte: nel 1227 in occasione della concessione di un privilegio rilasciato a favore di Ramberto Ravaschieri, conte di Lavagna; nel 1234, quando destinò Gravina ad essere sede della Curia Generale di Puglia, Basilicata e Capitanata, presieduta da un vicario imperiale, da un giustiziere e da quattro probiviri (di cui due ecclesiastici), preposta a trattare le cause riguardanti i presunti abusi commessi dai funzionari imperiali; e nel 1241, anno in cui è attestato un privilegio concesso a Gravina dall'imperatore ad un certo Giovanni da Sorrento.
Tali concessioni rientravano nel complesso delle libertates fridericiane, una serie di riconoscimenti imperiali di alcuni diritti di esenzione ed immunità di cui godevano già da tempo i sudditi gravinesi, meritevoli del titolo di "uomini franchi", ossia liberi, come riportato dalle fonti; tra di essi, l'esenzione dal terratico regio e altre imposte patrimoniali a favore dei proprietari di case, vigne e terreni, e del terratico feudale per militi, giudici, notai e canonici della Chiesa Cattedrale, mentre tutti gli altri sudditi erano tenuti solo al pagamento del semenzatico.
Morendo nel 1250, per espressa volontà confermata dal testamento, l'imperatore lasciò al figlio naturale Manfredi, già designato come successore al trono, il principato di Taranto e le contee di Mons Caveosus, Tricarico e Gravina, il cui contado fu conteso per un breve periodo dal fratellastro Corrado durante la sua discesa in Italia, per tornare sotto il dominio di Manfredi e rimanervi anche dopo la sua incoronazione. Con la sconfitta di Benevento (1266) e l'avvento della dominazione angioina, il castello federiciano continuò a svolgere la sua funzione strategica, rinforzata dalla presenza di una stabile guarnigione con a capo un castellano, incaricato di mantenere il maniero sempre fornito di armi e vettovaglie e di sorvegliare la riserva di caccia sottostante.

Alcuni documenti che riportano copie dei Registri Angioini tratti dal Grande Archivio Napoletano da Roberto Bevere e conservati presso il museo cittadino ci forniscono numerose informazioni sul castello di Gravina, definito di volta in volta "castello" o "palazzo regio". Un mandato del 1275 indirizzato al giustiziere di Terra di Bari sollecita l'istruzione del processo istruttorio contro alcuni gravinesi colpevoli di essersi opposti al tentativo di collegare con un canale il lago della Pescara ad una fonte, attuato dal castellano Girardo di Mannovia, il quale era stato preso a sassate e ingiuriato insieme ai suoi servi da un gruppo di gente armata. Un altro documento, del 1277, indirizzato al castellano lo informa dell'imminente arrivo di duemila anguille e duemila tinche destinate a popolare le acque della Pescara, al fine di evitare il ristagno e l'imputridirsi delle stesse, con gravi conseguenze per la salute degli abitanti.
Nella riserva regia quindi rientrava una vasta area che comprendeva la collina dove sorgeva il castello, detta "dell'Amendolara" per la presenza di numerosi mandorli, diversi laghetti tra cui la già citata Pescara e tutta la zona della selva, allora denominata «difesa», in cui, come riporta un documento del 1279, erano allevate numerose giumente di proprietà regia; sappiamo infatti da un documento del 1305 che a Gravina era presente una "maristalla", ovvero un allevamento di cavalli sotto il controllo di un funzionario regio. Un interessante atto del 1281 contiene la nomina a castellano di Guarniero di Bosco, fornendo molte notizie circa l'amministrazione del castello e la riscossione delle tasse.
Sappiamo così che nel Palazzo vi era abbondanza di armi e vettovaglie, provviste di legumi e vino ed un consistente arredo di mobili; il castellano aveva il compito di vigilare sulla selva e sul lago, per impedire caccia, pascolo e raccolta di legna e ghiande senza regia autorizzazione e previo pagamento della tassa relativa; era considerato bracconaggio anche il cacciare cervi, caprioli e daini con l'autorizzazione ma fuori della riserva o nei mesi proibiti di aprile, maggio e giugno. Dal documento si evince come la pena pecuniaria per le varie infrazioni fosse commisurata alla condizione sociale del trasgressore, aumentando progressivamente in rapporto al reddito: per la stessa infrazione un nobile avrebbe pagato 24 once d' oro, un semplice cittadino 16 ed un contadino 8.
Qualcuno ha ipotizzato l'origine sveva di questa visione giuridicamente e socialmente avanzata del prelievo fiscale. Un altro documento del 1301 è firmato dal re di Napoli e riconferma ai Gravinesi alcuni privilegi concessi loro da Federico II, e ciò indica come in quel periodo essi erano stati se non cancellati, quantomeno messi in discussione dai feudatari. Da queste fonti emerge come sotto la dominazione angioina il castello di Gravina fosse diventato per gli abitanti della città un simbolo inviso di un opprimente potere centrale lontano, costringendo il sovrano ad intervenire per ripristinare il diritto consuetudinario in base al quale, per esempio, i Gravinesi si sentivano autorizzati a prelevare legna verde malgrado i divieti, e spegnere sul nascere il focolaio della protesta.
Ancora a metà del Trecento il castello doveva trovarsi in buone condizioni e custodito da una guarnigione, come riportato nella Cronaca del notar Domenico; a partire forse dal terribile terremoto del 5 dicembre 1456 (epoca in cui non apparteneva più al regio fisco, ma alla corte feudale), esso subì dei danni e restò parzialmente disabitato, per poi subire una lenta ma progressiva decadenza nei secoli successivi.
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  • Giuseppe Massari
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