Passeggiando con la storia
Mons. Aldo Forzoni Vescovo delle Diocesi unite di Gravina e Irsina nel suo testamento spirituale
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 9 gennaio 2025
Queste brevi pagine biografiche non possono condensare tutta la vita, dinamicamente spirituale di Mons. Aldo Forzoni. Intelligenza vivida, oratore accattivante e forbito, nonché profondo nella esposizione di concetti altamente teologici e mariani, tanto da colpire anche il meno acculturato dei suoi astanti. Un uomo dal senso pieno e completo di essere sacerdote e pastore, essendosi formato nella dottrina del lavoro, del sacrificio, della sofferenza.
La maturità di una vocazione adulta che lo fa essere umilmente adulto tra il suo gregge; ovunque egli fu chiamato a guidare, a correggere, a sorreggere le ragioni della fede, del credo, del rispetto verso la Chiesa e verso il clero. Verso i giovani seminaristi ebbe una predilezione speciale. Quando fu chiuso il Seminario di Ecône, fondato dal vescovo tradizionalista, Mons. Marcel Lefebvre, per volere della Santa Sede, egli pur di non perdere quelle sante vocazione decise di accogliere i giovani seminaristi nel Seminario di Massa.
Fu eletto Vescovo di Gravina e Irsina il 14 maggio 1953. Vescovo a quarantadue anni, veniva così ad essere il più giovane presule d'Italia, volutamente scelto dal Santo Padre Pio XII per la sua fama di predicatore e di parroco amato dalla gente che viveva una vera povertà evangelica. Ricevuta la consacrazione episcopale nella sua stessa parrocchia, approdò a Gravina il 13 settembre 1953. Venne poi trasferito alla sede episcopale di Diano - Teggiano, nel Salernitano, oggi diocesi di Teggiano – Policastro, il 30 novembre 1961, e dal 23 aprile 1970 divenne Vescovo di Apuania, oggi diocesi di Massa Carrara – Pontremoli, incarico che ricoprì fino alla rinuncia emessa il 23 febbraio 1988.
"Come S. Francesco, attingeva da Cristo per diventare il più possibile una sua icona. Come S. Francesco fu semplice, umile e povero. Non sapeva però che il suo impegno di configurarsi a Cristo negli ultimi anni e alla fine dei suoi giorni sarebbe stato coronato dall'esperienza di un vero calvario. S. Francesco fu segnato dalle stigmate, mons. Forzoni, nel 1982, sarebbe stato colpito da un ictus cerebrale che avrebbe imposto alla sua vita una tanto penosa Via crucis. Lui, così dinamico, sarebbe stato privato dell'autonomia motoria. Lui, dalla parola così fluente e vivace per la grande padronanza di linguaggio che possedeva, tanto che era anche poeta, egli stesso a Gravina diceva di essere "venuto dalla terra dei poeti", sarebbe stato condannato a balbettare.
Fiaccato nel fisico proprio nei doni più preziosi che il Signore gli aveva fatto, conservò però la lucidità della mente fino alla fine. In seguito all'ictus, gli venne affiancato un Vescovo ausiliare con diritto di successione nella persona di mons. Bruno Tommasi, che in seguito diverrà Arcivescovo di Lucca; ma l'aiuto più grande, seppur meno evidente, è quello prestatogli quotidianamente dai suoi seminaristi e dalle altre persone che in vari modi lo assistevano nelle indigenze della malattia.
La sua vita si concluse con il sigillo, il marchio del fuoco: l'oro fu purificato. Mons. Aldo Forzoni morì all'ospedale di Massa nella tarda serata del 7 dicembre 1991, in seguito ad un incidente dovuto ad un cortocircuito che lo bruciò lentamente riducendo tutta la parte destra del suo corpo un'unica grande piaga. Stando al racconto del diacono che lo assisteva in quelle ultime ore di agonia, si spense dolcissimamente: "Ad un tratto ha dato un lungo respiro poi ha aperto gli occhi e sorriso, ha reclinato il capo ed è spirato".
Ciò che egli fu. Quali le note significative del suo ministero sacerdotale ed episcopale sono racchiuse nella originalità del suo testamento spirituale, redatto l' 8 novembre 1969, che val la pena di essere riportato per intero e nel quale si legge:
"Nel nome della SS. Trinità, Amen.
È dolce immaginarsi sul punto di comparire dinanzi alla vera Luce. Accarezza il cuore il pensiero di cadere tra breve nelle braccia dell'Essere, tuffarsi nell'Amore, sapere finalmente cos'è la Vita nella conoscenza di Dio. Fa fremere di impazienza l'attesa di un reciproco possesso, pieno, completo, fecondo, unico. Sono certo che Chi mi volle tra i vivi, mi condurrà tra gli eletti. Infinite prove mi ha dato di tenerezza e di fedeltà. Non vedo l'ora di potergli dire il "grazie" più tranquillo e sincero. Le mie colpe? Sono seppellite nella Sua misericordia.
Confido nella Carità della Chiesa. So che è Santa e possedendomi nel circolo della sua vita mi proietterà nella spirale dell'Amore. Confido nella mia estrema povertà. Nessuno può immaginare (né ha mai potuto intravedere) quanto e come sia stato povero, miserabile. Nulla assolutamente nulla ho mai potuto offrire al mio Signore. (Quando lo dicevo non mi si credeva, né crederà chi legge qui, ma questo non cambia la realtà). Ma appunto per questa mia estrema, incredibile nudità trovo la gioia di morire e di presentarmi a Lui. Povera pagliuzza arida e spoglia, questa mia esistenza non poteva non riflettere il sole tutte le volte che Lui si degnava rivestirla con i Suoi raggi.
Sì, sono contento di essere stato creato e non ho ringraziato abbastanza il mio Creatore per il dono della vita. Ma la vita non l'ho mai intesa se non in funzione della morte, cioè della seconda nascita: "Deh, rompi ormai la tela al dolce incontro!" sospiro con S. Giovanni della Croce.. vado via contento, felice. Guardo con riconoscenza la terra che mi ospitò e mi nutrì, che mi fu ampio e vago libro di lettura e mi fece comprendere il poema della proposta di amore da parte di Dio. Sorrido con riconoscenza grande a quanti mi furono amici, consiglieri, collaboratori, misericordiosi samaritani, indulgenti compagni di viaggio, esempio e stimolo a ben fare. Rivedo con tenerezza i luoghi della mia giovinezza e del mio ministero sacerdotale ed episcopale.
Nulla rimpiango, tutto saluto con brio, felice, lo ripeto, di veder tutto sfumare in un tramonto di sole, mentre altra più vivida luce si proietta in me. Ripeto con tutta convinzione e gravità il Credo del mio Battesimo, della mia Cresima, della mia ordinazione sacerdotale ed episcopale. Bacio con devozione immensa il piede al Papa, successore di S. Pietro e Vicario di Gesù Cristo. In osculo pacis saluto i confratelli nell'episcopato e tutti i sacerdoti della mia diocesi e che ho incontrato come fedele e come ministro. Benedico il mio popolo e tutta la famiglia umana. Sono certo del perdono di tutti.
Confido nella preghiera di molti, almeno per un po' di tempo. Invito tutti a una vita di grazia e a vivere in un clima di gratitudine. Maria, il "grazie" fatto carne, la Donna sublime del Magnificat, mi venga incontro con la mia mamma e con il mio babbo e con tutta la lunga e folta schiera di persone care che Dio mi dette a conforto e a sostegno e Maria si faccia generosa dispensiera del mio "grazie" a tutti e supplisca quelle dimenticanze che la fatica dell'agonia e la ebbrezza dell'estremo viaggio, rende inevitabili."
La maturità di una vocazione adulta che lo fa essere umilmente adulto tra il suo gregge; ovunque egli fu chiamato a guidare, a correggere, a sorreggere le ragioni della fede, del credo, del rispetto verso la Chiesa e verso il clero. Verso i giovani seminaristi ebbe una predilezione speciale. Quando fu chiuso il Seminario di Ecône, fondato dal vescovo tradizionalista, Mons. Marcel Lefebvre, per volere della Santa Sede, egli pur di non perdere quelle sante vocazione decise di accogliere i giovani seminaristi nel Seminario di Massa.
Fu eletto Vescovo di Gravina e Irsina il 14 maggio 1953. Vescovo a quarantadue anni, veniva così ad essere il più giovane presule d'Italia, volutamente scelto dal Santo Padre Pio XII per la sua fama di predicatore e di parroco amato dalla gente che viveva una vera povertà evangelica. Ricevuta la consacrazione episcopale nella sua stessa parrocchia, approdò a Gravina il 13 settembre 1953. Venne poi trasferito alla sede episcopale di Diano - Teggiano, nel Salernitano, oggi diocesi di Teggiano – Policastro, il 30 novembre 1961, e dal 23 aprile 1970 divenne Vescovo di Apuania, oggi diocesi di Massa Carrara – Pontremoli, incarico che ricoprì fino alla rinuncia emessa il 23 febbraio 1988.
"Come S. Francesco, attingeva da Cristo per diventare il più possibile una sua icona. Come S. Francesco fu semplice, umile e povero. Non sapeva però che il suo impegno di configurarsi a Cristo negli ultimi anni e alla fine dei suoi giorni sarebbe stato coronato dall'esperienza di un vero calvario. S. Francesco fu segnato dalle stigmate, mons. Forzoni, nel 1982, sarebbe stato colpito da un ictus cerebrale che avrebbe imposto alla sua vita una tanto penosa Via crucis. Lui, così dinamico, sarebbe stato privato dell'autonomia motoria. Lui, dalla parola così fluente e vivace per la grande padronanza di linguaggio che possedeva, tanto che era anche poeta, egli stesso a Gravina diceva di essere "venuto dalla terra dei poeti", sarebbe stato condannato a balbettare.
Fiaccato nel fisico proprio nei doni più preziosi che il Signore gli aveva fatto, conservò però la lucidità della mente fino alla fine. In seguito all'ictus, gli venne affiancato un Vescovo ausiliare con diritto di successione nella persona di mons. Bruno Tommasi, che in seguito diverrà Arcivescovo di Lucca; ma l'aiuto più grande, seppur meno evidente, è quello prestatogli quotidianamente dai suoi seminaristi e dalle altre persone che in vari modi lo assistevano nelle indigenze della malattia.
La sua vita si concluse con il sigillo, il marchio del fuoco: l'oro fu purificato. Mons. Aldo Forzoni morì all'ospedale di Massa nella tarda serata del 7 dicembre 1991, in seguito ad un incidente dovuto ad un cortocircuito che lo bruciò lentamente riducendo tutta la parte destra del suo corpo un'unica grande piaga. Stando al racconto del diacono che lo assisteva in quelle ultime ore di agonia, si spense dolcissimamente: "Ad un tratto ha dato un lungo respiro poi ha aperto gli occhi e sorriso, ha reclinato il capo ed è spirato".
Ciò che egli fu. Quali le note significative del suo ministero sacerdotale ed episcopale sono racchiuse nella originalità del suo testamento spirituale, redatto l' 8 novembre 1969, che val la pena di essere riportato per intero e nel quale si legge:
"Nel nome della SS. Trinità, Amen.
È dolce immaginarsi sul punto di comparire dinanzi alla vera Luce. Accarezza il cuore il pensiero di cadere tra breve nelle braccia dell'Essere, tuffarsi nell'Amore, sapere finalmente cos'è la Vita nella conoscenza di Dio. Fa fremere di impazienza l'attesa di un reciproco possesso, pieno, completo, fecondo, unico. Sono certo che Chi mi volle tra i vivi, mi condurrà tra gli eletti. Infinite prove mi ha dato di tenerezza e di fedeltà. Non vedo l'ora di potergli dire il "grazie" più tranquillo e sincero. Le mie colpe? Sono seppellite nella Sua misericordia.
Confido nella Carità della Chiesa. So che è Santa e possedendomi nel circolo della sua vita mi proietterà nella spirale dell'Amore. Confido nella mia estrema povertà. Nessuno può immaginare (né ha mai potuto intravedere) quanto e come sia stato povero, miserabile. Nulla assolutamente nulla ho mai potuto offrire al mio Signore. (Quando lo dicevo non mi si credeva, né crederà chi legge qui, ma questo non cambia la realtà). Ma appunto per questa mia estrema, incredibile nudità trovo la gioia di morire e di presentarmi a Lui. Povera pagliuzza arida e spoglia, questa mia esistenza non poteva non riflettere il sole tutte le volte che Lui si degnava rivestirla con i Suoi raggi.
Sì, sono contento di essere stato creato e non ho ringraziato abbastanza il mio Creatore per il dono della vita. Ma la vita non l'ho mai intesa se non in funzione della morte, cioè della seconda nascita: "Deh, rompi ormai la tela al dolce incontro!" sospiro con S. Giovanni della Croce.. vado via contento, felice. Guardo con riconoscenza la terra che mi ospitò e mi nutrì, che mi fu ampio e vago libro di lettura e mi fece comprendere il poema della proposta di amore da parte di Dio. Sorrido con riconoscenza grande a quanti mi furono amici, consiglieri, collaboratori, misericordiosi samaritani, indulgenti compagni di viaggio, esempio e stimolo a ben fare. Rivedo con tenerezza i luoghi della mia giovinezza e del mio ministero sacerdotale ed episcopale.
Nulla rimpiango, tutto saluto con brio, felice, lo ripeto, di veder tutto sfumare in un tramonto di sole, mentre altra più vivida luce si proietta in me. Ripeto con tutta convinzione e gravità il Credo del mio Battesimo, della mia Cresima, della mia ordinazione sacerdotale ed episcopale. Bacio con devozione immensa il piede al Papa, successore di S. Pietro e Vicario di Gesù Cristo. In osculo pacis saluto i confratelli nell'episcopato e tutti i sacerdoti della mia diocesi e che ho incontrato come fedele e come ministro. Benedico il mio popolo e tutta la famiglia umana. Sono certo del perdono di tutti.
Confido nella preghiera di molti, almeno per un po' di tempo. Invito tutti a una vita di grazia e a vivere in un clima di gratitudine. Maria, il "grazie" fatto carne, la Donna sublime del Magnificat, mi venga incontro con la mia mamma e con il mio babbo e con tutta la lunga e folta schiera di persone care che Dio mi dette a conforto e a sostegno e Maria si faccia generosa dispensiera del mio "grazie" a tutti e supplisca quelle dimenticanze che la fatica dell'agonia e la ebbrezza dell'estremo viaggio, rende inevitabili."