Passeggiando con la storia
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Suor Addolorata Pepe, Carmelitana. Una suora che ha fatto storia

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

Il titolo dell'odierna puntata della rubrica, l'ho estratto dalla pubblicazione del compianto don Nicola Tommasini, sacerdote irsinese, docente di Antropologia: "Gravina storia di un Carmelo", BMG Matera. Di questa consacrata al Signore sulle vie del Carmelo, secondo gli insegnamenti di Santa Teresa d'Avila, l'autore attinge alle notizie biografiche, partendo dalla condizione sociale ed economica della famiglia. Nata da una famiglia agiata e ragguardevole della città, fu ultima di otto figli. Un fratello fu sacerdote della nostra città, Don Michele Pepe, Canonico del Capitolo Cattedrale, docente di Filosofia e Storia Civile nel Licente, docente di Lettere nel Ginnasio vescovile.

Suor Addolorata della Croce e dello Spirito Santo, chiamata, per antonomasia, Madre Maestra, perché all'interno della comunità esercitò la mansione d Maestra delle novizie, nonché, anche quella di Priora. Ma prima che entrasse nel Carmelo, la sua vocazione fu contrastata dai suoi, compreso il fratello prete. Passò da prove difficili e tutte superate, grazie alla sua forza di volontà; grazie alla sua tenace fermezza, dimostrata sin dall'età di 14 anni, quando comunicò ai suoi genitori di lasciare il mondo per consacrarsi totalmente al Signore.
Lei si era formata alla scuola e grazie alla guida spirituale di don Domenico Digiesi, Canonico, noto compositore locale di musiche sacre e brillante poeta dialettale. La famiglia le impedì ogni forma e possibilità di incontro con il suo padre spirituale. Anzi, suo fratello, don Michele, quando scoprì la presenza di alcune lettere di corrispondenza tra sua sorella e don Digiesi, reagì contro il suo confratello, intimandogli ed imponendogli di desistere dall'assistere spiritualmente sua sorella.
La giovane, per nulla intimorita da queste minacce, neanche velate, continuò imperterrita per la sua strada, fino a rimetterci sullo stato di salute, che la portò ad avere, per tre mesi febbre altissima. Questo stato cagionevole fu buona scusa per i suoi parenti più stretti e il medico di famiglia, che era, anche il medico della comunità, per farla desistere dall'intraprendere una vita austera e rigorosa, come quella condotta da quelle che sarebbero diventate le sue consorelle. A costui ebbe la forza di dire che la causa del suo malessere, della sua malattia era soltanto il Carmelo e che soltanto questo poteva costituirne il rimedio. O il Carmelo o il cimitero, aggiunse.

La giovane aspirante alla vita claustrale non si dava pace e ciò che le era di conforto, era la preghiera continua, costante. Un giorno prese l'iniziativa di far chiamare un suo cugino sacerdote, don Salvatore Bozzella, con l'intento di confessarsi, e a lui consegnò una lettera da mettere l'indomani sull'altare e lasciarla lì per tutto il mese di maggio. La lettera conteneva una supplica alla Vergine di non lasciar trascorrere il mese di maggio senza che risolvesse positivamente il suo caso.
Con il consenso del medico, ella fece ingresso nel monastero di Santa Maria delle Domenicane, perché le Carmelitane, essendo prive di una sede dignitosa e, in attesa di poterla ottenere, in quel periodo facevano vita comune con le figlie di San Domenico, il 31 maggio, di sabato, ultimo giorno dedicato alla Madonna. Richiesta esaudita! La Madre Priora, Suor Maria Teresa Nardone, l'accolse con animo gioioso e trepido, facendola porre subito al letto.

Vinse la sua battaglia, grazie all'intervento di quelle forze divine nelle quali aveva creduto e aveva riposto tutta la sua fiducia. L'indomani mattina, dopo una giornata intera di sonno, si svegliò, prese coscienza di essere in quella casa che aveva ardentemente desiderato, sfebbrata riprese a mangiare e dopo pochi giorni tornò sana, pronta a compiere la volontà della sua chiamata.
Donna intrepida, generosa, disponibile, di intensa spiritualità. Gli incarichi che ricoprì all'interno del monastero lo dimostrano. Un monaco carmelitano che l'aveva conosciuta, in occasione della sua morte, scrisse alle sue consorelle una lettera con queste parole: "Una carmelitana tutta d'un pezzo, ancorata allo spirito dell'Ordine e delle sue sane tradizioni, maestra che insegnava più con la vita che con le parole, ma soprattutto riflesso di serenità e di pace. Beata vostra riverenza, buona madre che le è vissuta accanto per tanti anni ammirandone e ricopiandone le virtù e beate tutte le monache di codesto monastero che, chi più chi meno, hanno veduto e contemplato in una consorella lo spirito della Nostra Santa madre Teresa".
Lei che si definiva "piccola sposina di Gesù", attinse tutto dalla preghiera, dal rapimento mistico, dal raccoglimento. Una donna che anelava la perfezione evangelica, racchiusa in quei giorni di tormenta, che non l'avevano scalfita o impoverita. Anzi, arricchita, resa più disponibile all'ascolto, alla mitezza, alla docilità e alla dolcezza di sentimenti che comunicava attraverso il suo esempio e i suoi scritti. Fogli di carta disordinati, frammenti di carta sui quali scriveva parole d'amore. Vere pillole di saggezza che le sue novizie impararono a conoscere e praticare.
Che l'intera comunità ne fece tesoro di riflessione, di meditazione, soprattutto nel periodo che ebbe la responsabilità di essere la Madre di tutte. Una Madre che aveva conosciuto il crogiuolo delle sofferenze, che l'aveva maturata, a dimostrazione e a conferma di quel detto "che ogni persona matura con il dolore e la sofferenza".
  • Giuseppe Massari
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