Passeggiando con la storia
Vincenzo Tota Medico, Podestà, Segretario della locale sezione del Fascio, Amministratore della Banca Cooperativa Agraria
Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari
giovedì 12 marzo 2020
15.40
Finora, la data certa, in mio possesso e su cui poter contare è quella di morte: 1° agosto 1985. Podestà di Gravina dal 1936 al 1938 e dal 1938 al 1939. Nell'ambito di questo incarico pubblico, il 1937, cedette a Mons. Frà Giovanni Maria Sanna, vescovo della Diocesi Gravina-Irsina dal 1922 al 1953, nonché fondatore della Congregazione delle Suore di Gesù Crocifisso, i locali del convento di san Felice, dove dimorò la Curia Generalizia della neonata comunità religiosa.
Secondo i bene informati, e voce sempre ricorrente, di bocca in bocca, da parte dei gravinesi. fu proprio in questo anno che l'esponente politico "si macchiò" di una colpa che ha pesato molto negativamente sul futuro e sul destino della nostra città. Il 1937, infatti, fu l'anno in cui furono istituite nuove province, tra le quali Matera, ripescata e prescelta solo perché Gravina, pur potendo vantare le giuste e legittime potenzialità, rinunciò a favore della città dei Sassi per motivi ed interessi personali, di natura patrimoniale,da parte di colui che tutti chiamavano e conoscevano come don Vincenzo Tota, avendo, egli, nel frattempo, sposato una materana, proprietaria di molti appezzamenti in quel territorio.
Di questa parte di storia cittadina non scritta, sarebbe stato meglio non fare alcun riferimento e cenno, non avendo la certezza delle prove, ma il vox populi, vox Dei, (voce di popolo, voce di Dio). Purtroppo, ho ritenuto giusto farne menzione, sia pure con le pinze e non con il bisturi della vendetta, perché se la storia non ha avuto un suo filone positivo o un suo epilogo naturale, ma forzato, era altrettanto doveroso, verso la storia, ricollocare questa pagina nell'alveo di una ingiustizia subita, di un torto inflitto a chi non lo meritava. Soprattutto a se stesso, visto che Gravina era la città che gli aveva dato i natali.
Depositando, senza rancore, negli scaffali del dimenticatoio e della memoria questa incresciosa parentesi dolorosa e proseguendo lungo il cammino dell'attività podesterale del nostro, attingendo dal testo: "Da Convento a Comune, storia del Palazzo di Città di Gravina, Pubblistampa Bongo, Gravina 2001, lavoro di ricerca svolto dagli alunni della Scuola Media Statale "don Eustachio Montemurro" di Gravina in Puglia e curato dalla professoressa Grazia Pace, il Tota, dopo aver stabilito di confermare definitivamente la sede del Comune nell'ex convento dei francescani, occupando per i 2/3 l'intero immobile, mentre la restante parte rimase ai frati conventuali, "fu deciso di migliorare l'aspetto e la struttura destinata al Comune. Fu decisa la realizzazione di una facciata più decorosa e indipendente su uno dei tre ingressi. Si scelse l'ingresso di via Vittorio Veneto, facilmente raggiungibile da tutti i rioni di Gravina.
La progettazione fu affidata all'ing. De Martino, mentre i lavori all'impresa Nicola Loglisci, con un costo di 234.863 lire. In corso d'opera un nuovo progettista, l'ing. Filippo Lacalamita, approvò una ulteriore ed importante variante al progetto: la sopraelevazione della parte centrale della facciata per l'applicazione di un orologio avente il quadrante del diametro di metri 1.40 (anziché costruire la vera torre dell'orologio); la copertura della gabbia della scala; la nuova e ampia scalinata di accesso al comune, disposta a tenaglia e abbellita dalla presenza dei busti del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena; la sistemazione del piazzale antistante la nuova facciata con una gradinata lunga quanto il prospetto per il libero accesso da ogni punto, migliorando così l'armonia dell'insieme".
A lui si deve la denominazione, Cripta Tota, in qualità di proprietario, di una delle chiese rupestri ubicate a Gravina e censite sin dal 1939 da Alba Medea nel volume: Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi". Cripta che, tra l'altro, fu acquisita al patrimonio dello Stato, per essere sottoposta allo stacco dei suoi affreschi, al fine di proteggerli e salvaguardarli, come era già avvenuto, nel 1957, per la cripta di San Vito Vecchio, da parte di Cesare Brandi. Il preventivo di 14 milioni di vecchie lire, presentato dallo stesso Brandi, al Ministero per la Cassa per il Mezzogiorno, per mancanza di fondi non fu finanziato e le opere d'arte sono andate in malora o pressoché trafugate.
Chiusa questa dolorosa parentesi e ritornando al nostro, lo troviamo attivo in qualità di amministratore della Banca Cooperativa Agraria. Più esattamente nella veste di vice presidente dell'istituto di credito, eletto nel corso dell'Assemblea dei Soci del 24 febbraio del 1929, in seguito alle dimissioni dell'avvocato Sergio Marvulli, mentre la Presidenza era nelle mani dell'onorevole Pasquale Calderoni-Martini, fratello di Michelangelo, fondatore della medesima banca. Il dottor Tota, secondo quanto scrive Renato Angiolillo nel già citato volume Puglia D'oro, "diede maggiore elasticità al bilancio e rafforzò l'Istituto locupletando il movimento di depositi fiduciari e sviluppando le operazioni".
Altre fonti, distanti politicamente dalle sue, descrivono il Tota come uomo di prestigio e di comando, uomo coscienzioso, rigido, con idee chiare fino al punto da non chiedere e non pretendere nessuna parcella per il suo incarico di Podestà. Nell'esercizio della professione medica fece altrettanto, sempre secondo queste fonti non sospette di simpatie fasciste. Fu medico del popolo, non percepì mai una lira per le visite che effettuava. Il suo impegno quale amministratore bancario durò circa un anno. Nei primi mesi del 1930 serpeggia un malcontento tra gli azionisti. Ci sono nuove tensioni e nuove elezioni. Il clima non è tra i più sereni. Si prospetta un pericoloso futuro per l'istituto. Il presidente Calderoni- Martini, già a causa delle sue precarie condizioni di salute, e disgustato, anche per quanto stava avvenendo, rassegna le dimissioni dal suo mandato. Insieme a lui anche il dottor Vincenzo Tota.
Secondo i bene informati, e voce sempre ricorrente, di bocca in bocca, da parte dei gravinesi. fu proprio in questo anno che l'esponente politico "si macchiò" di una colpa che ha pesato molto negativamente sul futuro e sul destino della nostra città. Il 1937, infatti, fu l'anno in cui furono istituite nuove province, tra le quali Matera, ripescata e prescelta solo perché Gravina, pur potendo vantare le giuste e legittime potenzialità, rinunciò a favore della città dei Sassi per motivi ed interessi personali, di natura patrimoniale,da parte di colui che tutti chiamavano e conoscevano come don Vincenzo Tota, avendo, egli, nel frattempo, sposato una materana, proprietaria di molti appezzamenti in quel territorio.
Di questa parte di storia cittadina non scritta, sarebbe stato meglio non fare alcun riferimento e cenno, non avendo la certezza delle prove, ma il vox populi, vox Dei, (voce di popolo, voce di Dio). Purtroppo, ho ritenuto giusto farne menzione, sia pure con le pinze e non con il bisturi della vendetta, perché se la storia non ha avuto un suo filone positivo o un suo epilogo naturale, ma forzato, era altrettanto doveroso, verso la storia, ricollocare questa pagina nell'alveo di una ingiustizia subita, di un torto inflitto a chi non lo meritava. Soprattutto a se stesso, visto che Gravina era la città che gli aveva dato i natali.
Depositando, senza rancore, negli scaffali del dimenticatoio e della memoria questa incresciosa parentesi dolorosa e proseguendo lungo il cammino dell'attività podesterale del nostro, attingendo dal testo: "Da Convento a Comune, storia del Palazzo di Città di Gravina, Pubblistampa Bongo, Gravina 2001, lavoro di ricerca svolto dagli alunni della Scuola Media Statale "don Eustachio Montemurro" di Gravina in Puglia e curato dalla professoressa Grazia Pace, il Tota, dopo aver stabilito di confermare definitivamente la sede del Comune nell'ex convento dei francescani, occupando per i 2/3 l'intero immobile, mentre la restante parte rimase ai frati conventuali, "fu deciso di migliorare l'aspetto e la struttura destinata al Comune. Fu decisa la realizzazione di una facciata più decorosa e indipendente su uno dei tre ingressi. Si scelse l'ingresso di via Vittorio Veneto, facilmente raggiungibile da tutti i rioni di Gravina.
La progettazione fu affidata all'ing. De Martino, mentre i lavori all'impresa Nicola Loglisci, con un costo di 234.863 lire. In corso d'opera un nuovo progettista, l'ing. Filippo Lacalamita, approvò una ulteriore ed importante variante al progetto: la sopraelevazione della parte centrale della facciata per l'applicazione di un orologio avente il quadrante del diametro di metri 1.40 (anziché costruire la vera torre dell'orologio); la copertura della gabbia della scala; la nuova e ampia scalinata di accesso al comune, disposta a tenaglia e abbellita dalla presenza dei busti del re Vittorio Emanuele III e della regina Elena; la sistemazione del piazzale antistante la nuova facciata con una gradinata lunga quanto il prospetto per il libero accesso da ogni punto, migliorando così l'armonia dell'insieme".
A lui si deve la denominazione, Cripta Tota, in qualità di proprietario, di una delle chiese rupestri ubicate a Gravina e censite sin dal 1939 da Alba Medea nel volume: Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi". Cripta che, tra l'altro, fu acquisita al patrimonio dello Stato, per essere sottoposta allo stacco dei suoi affreschi, al fine di proteggerli e salvaguardarli, come era già avvenuto, nel 1957, per la cripta di San Vito Vecchio, da parte di Cesare Brandi. Il preventivo di 14 milioni di vecchie lire, presentato dallo stesso Brandi, al Ministero per la Cassa per il Mezzogiorno, per mancanza di fondi non fu finanziato e le opere d'arte sono andate in malora o pressoché trafugate.
Chiusa questa dolorosa parentesi e ritornando al nostro, lo troviamo attivo in qualità di amministratore della Banca Cooperativa Agraria. Più esattamente nella veste di vice presidente dell'istituto di credito, eletto nel corso dell'Assemblea dei Soci del 24 febbraio del 1929, in seguito alle dimissioni dell'avvocato Sergio Marvulli, mentre la Presidenza era nelle mani dell'onorevole Pasquale Calderoni-Martini, fratello di Michelangelo, fondatore della medesima banca. Il dottor Tota, secondo quanto scrive Renato Angiolillo nel già citato volume Puglia D'oro, "diede maggiore elasticità al bilancio e rafforzò l'Istituto locupletando il movimento di depositi fiduciari e sviluppando le operazioni".
Altre fonti, distanti politicamente dalle sue, descrivono il Tota come uomo di prestigio e di comando, uomo coscienzioso, rigido, con idee chiare fino al punto da non chiedere e non pretendere nessuna parcella per il suo incarico di Podestà. Nell'esercizio della professione medica fece altrettanto, sempre secondo queste fonti non sospette di simpatie fasciste. Fu medico del popolo, non percepì mai una lira per le visite che effettuava. Il suo impegno quale amministratore bancario durò circa un anno. Nei primi mesi del 1930 serpeggia un malcontento tra gli azionisti. Ci sono nuove tensioni e nuove elezioni. Il clima non è tra i più sereni. Si prospetta un pericoloso futuro per l'istituto. Il presidente Calderoni- Martini, già a causa delle sue precarie condizioni di salute, e disgustato, anche per quanto stava avvenendo, rassegna le dimissioni dal suo mandato. Insieme a lui anche il dottor Vincenzo Tota.